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Un Milan in stile Rocky
Balboa, tanto sudore e tanta voglia di vincere, conquista a mani
basse lo scalpo di una Roma a dir poco imbambolata davanti allo
strapotere fisico, tecnico e psicologico della compagine rossonera.
E dire che alla vigilia del match i proclami di superiorità
capitolina erano stati molteplici. Dei veri e propri "Io
ti spiezzo in due" lanciati nell'aria, senza tener conto
delle disastrose conseguenze alle quali si poteva andare in contro.
L'effetto boomerang-calcistico è sempre dietro l'angolo
soprattutto di fronte ad esempi di ostentazione di una superiorità
(quantomeno presunta) così espliciti. Il responso del
campo lo conosciamo tutti. Una squadra pronta all'appuntamento,
capace di tessere un calcio armonioso, sintesi di bellezza antica
e dinamismo moderno. Diagonali difensive perfette, pressing continuo
estenuante a metà campo (un nome su tutti certamente,
motorino-Gattuso) a devitalizzare le fonti di gioco romaniste:
Emerson e Dacourt. Questi ultimi, semplicemente eccezionali nelle
precedenti quattordici partite, sembravano spaesati nell'affrontare
un sistema di gioco nuovo per loro che li metteva sempre in inferiorità
numerica. Nel momento forse più efficace del loro gioco,
l'impostazione della manovra, veniva loro a mancare la razionalità
necessaria per poter dare palloni giocabili ai loro compagni
d'attacco. Inutile sarebbe soffermarsi con altre parole sulle stupefacenti individualità rossonere. Inutile aggiungere ulteriori parole di glorificazione alle oniriche prestazioni di Shevchenko, killer dai piedi fatati o di Seedorf in uno stato di grazia assoluto (oltre al lancio millimetrico per l'ucraino, difficilmente fattibile con le mani per qualsiasi essere umano, la prestazione dell'olandese è stata sopra le righe per sostanza e qualità espresse). Superfluo spremere ulteriormente il vocabolario per un Gattuso infaticabile, il cui unico doping sembra essere la sete di vittoria o per il duo Kakà - Rui Costa, splendido tandem (finalmente riproposto dal tecnico) tutto fantasia e corsa. Nella lettura dell'incontro tre momenti ne inquadrano sinteticamente l'andamento: nel pre-partita la lettura tecnico-tattica perfetta di Carlo Ancelotti che, sapendo quanto un'unica punta può far male ad una difesa a tre (soprattutto per il relativo infoltimento del centrocampo che questa scelta comporta), ha deciso di tornare all'antico riproponendo il Milan fluente dell'inizio stagione scorsa. Il secondo momento è relativo all'inizio della ripresa: squadre di nuovo in campo e Milan concentrato e furente per il semi-torto arbitrale subito (e non parlatemi dell'ammonizione di Kakà, perché se il recupero viene aumentato tale decisione va comunicata ai capitani. Paparesta deve aver dimenticato qualche passaggio visto lo stupore di Maldini!!). Tutta la rabbia scaricata in un secondo tempo da occhi iniettati di sangue rosso (nero) sui poveri giocatori delle Roma, inermi. Terzo e ultimo momento nel post gara quando, un atterrito Fabio Capello, alzando una bandiera bianchissima inusuale per lui, ha ammesso di essere stato battuto da una grande e meritevole formazione. La Roma stellare resta sullo sfondo in questa elegia rossonera, a leccarsi le ferite e a imparare una lezione esemplare: nel calcio vince semplicemente il più forte sul campo, senza bisogno di strilli, urli e proclamazioni di vittorie annunciate nei giorni di vigilia. |