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Italia, terra di illazioni… o di verità da sospetti?

di Marco Baldi (3/12/2002)

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Complotto o non complotto? L’angoscioso dilemma, riportato con forza alla ribalta dopo le ennesime stranezze messe in atto, consapevolmente o meno è questione di punti di vista, da parte della sempre più dilaniata classe arbitrale italiana, impegna l’Italia calciofila tutta, Roma in testa, insinua il dubbio nelle coscienze dei tifosi, non solo romanisti, corrode ulteriormente l’ingranaggio di un meccanismo, quello del calcio, già da tempo sull’orlo di rottura, e trova, anche fra gli addetti ai lavori, sostenitori via via più numerosi ogni settimana (e scandalo) che passa.

Su una cosa almeno sono tutti (o quasi) d‘accordo: gli errori ci sono, negare l’evidenza sarebbe un’idiozia, il dibattito verte piuttosto sulla quantità di tali errori e soprattutto sulla loro causalità o meno. Raramente in passato, e soltanto nei casi ritenuti più eclatanti e palesi (vedi De Santis di Juventus), c’era capitato di associarci all’ormai periodico e frequentatissimo balletto dei sospetti, appellandoci alla credenza in quel principio, che in questo mondo cominciamo purtroppo a pensare ormai anacronistico, che predica l’iniziale presunzione d’innocenza per tutti. Ma stavolta ci appare arduo davvero estraniarci senza dubbi o domande dall’infuocato dibattito, o comunque parteciparvi sostenendo sicuri la tesi, da tempo immemore portata avanti dai padroni del pallone e loro servitori, dell’indiscussa buonafede arbitrale.

Lungi da noi chiudere gli occhi sulle attuali evidenti lacune giallorosse, figlie dell’insufficiente campagna acquisti e di una concentrazione spesso latitante, oltre che della famigerata jella che continua ad alloggiare stabile dalle parti di Trigoria, sia in fase realizzativa, dove segnano solo Totti e Cassano, sia soprattutto in quella difensiva, con Antonioli trafitto già per ventuno volte dall’inizio del torneo. Ma davvero troppe coincidenze, stranezze, ed attacchi fuori e dentro il campo sempre, o quasi, verso la stessa squadra e società, per non pensare che sotto ci sia qualcosa di ben preparato, studiato a tavolino dai tradizionali grandi del pallone. Arbitraggi tipo Rosetti (Bologna), Farina (Modena), Dondarini (Brescia), Bertini (Juventus), e soprattutto Racalbuto (Inter), colpevoli tutti di errori (solo errori?) più o meno gravi e palesi, ma comunque capaci tutti di togliere alla Roma quei sei-sette punti complessivi, che avrebbero permesso a Capello di restare fra i primi ed affrontare con meno angosce e meno ultimatum il prosieguo della stagione; inibizioni plurimensili per i presidenti che osano andare contro il potere precostituito e suscitare perplessità sul sistema vigente, seppur talvolta in modo forse eccessivamente forte; provvedimenti come la squalifica dell’Olimpico dopo i fatti di Parma, giusta nella sua singolarità, anche se ci sarebbe sempre da discutere sul contraddittorio criterio della responsabilità oggettiva, ma iniqua se messa in rapporto con decisioni su episodi simili, riguardanti Inter e Juventus, trattati con diverso metro di giudizio.

Parecchie insomma le motivazioni che conducono dritte dritte al sospetto, come nella migliore (e spesso azzeccatissima) tradizione italiana; ovvio comunque che prove certe non ce ne siano, e che sia pure difficile trovarne, tanto per chi protende per l’assoluta casualità, sostenendo l’indiscussa buonafede arbitrale, e non solo arbitrale, tanto per quelli che osano andare contro il potere precostituito e metterla in discussione, adducendo indizi più o meno rilevanti.

Permangono insomma il dubbio, l’incertezza, la solita quanto fastidiosa poca chiarezza, l’onestà e la correttezza di arbitri e dirigenti restano in bilico sul filo sempre più sottile della credibilità popolare: si spezzerà definitivamente od acquisirà piano piano robustezza? Impossibile dirlo, personalmente crediamo si sia ben capito per quale delle due protendiamo.

Ed a questo punto, dopo tutta questa sequela di (purtroppo inutili) parole che vi abbiamo propinato con rara crudeltà, e di questo ci scusiamo, nel tifoso la domanda sorgerà sicuramente, e giustamente, spontanea: perché continuare ad andare allo stadio, e spendere centinaia di euro per biglietti, abbonamenti, pay tv, pay per view, gadgets, merchandising, e chi più ne ha più ne metta, se non si è sicuri neppure che quello che si vede sia autentico davvero, o comune inquinato solo marginalmente dalle storture tipiche di questo nostro mondo contemporaneo? La domanda è classica e scontata, la risposta, magari per nulla soddisfacente, pure: semplicemente il tifo è il sentimento irrazionale per antonomasia, bellissimo da vivere, impossibile da spiegare; nei rari momenti di lucidità ed estraniazione da tifo, capita di sentirsi un cretino ad entusiasmarsi tanto per undici ragazzi in calzoncini che corrono appresso ad una pallone, ma basta ricordare una giocata, una prodezza, un semplicissimo tocco di palla di Totti, Del Piero, Zidane, Figo, Cassano… e ricordi, seppur solo per un attimo, per poi rituffarti quasi subito nel dubbio, perché continui ad amare senza remore questo stranissimo mondo pieno di problemi, contraddizioni ed indecenze assortite.