SPORT

IN CAMPO COL FISCHIETTO

di Marcello Mormone (14/3/2003)

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E’ uno strano lavoro. Ci guida la passione e la voglia di fare sport. Ma spesso mi chiedo se vale la pena la domenica abbandonare, magari durante il pranzo, la moglie, i figli che chiedono: papà, dove stai andando? Cosa gli rispondo: A farmi prendere a parolacce, oppure a farmi picchiare? Il mondo del calcio provinciale è esasperato da voglia di far carriera, voglia di riuscire ad emergere, voglia di sfogare le rabbie settimanali…. E a farne le spese siamo sempre noi: gli arbitri. Mi è capitato spesso di assistere a partite di colleghi che arbitrano nelle categorie giovanili, quindi alle prime esperienze, a cui viene contestato di non correre, di non essere in linea per il fuorigioco, di non aver visto questo o quel fallo. Le grida arrivano talvolta fuori lo stadio e gli occhi del giovane collega si abbassano fino alle punte delle scarpe. Credo sia forse legittimo che un giovane calciatore, animato dalla voglia di diventare un campione, o semplicemente di vincere la partita, contesti o si arrabbi ad una decisione contraria. In fondo sono pari età, entrambi con la voglia di crescere e di imporsi all’attenzione delle rispettive organizzazioni. Ma quando ad eccedere sono dirigenti, allenatori, o comunque persone adulte, viene davvero la voglia di rispondere per le rime, di rompere quel muro che impone il silenzio, la pura e semplice cronaca del fatto, la crudele frustrazione di pensare di non essere oggetto delle critiche o degli improperi. Il dovere, oltre che l’educazione, ci impone solo di segnare tutto sul taccuino. Bisognerebbe che il mondo degli addetti ai lavori si rendesse conto che anche gli arbitri sono giovani e, soprattutto, in formazione, in crescita, stanno maturando esperienza; creargli intorno un clima ostile non produce altro che uguale ostilità da parte dell’arbitro. La perfezione esiste solo in Serie A e se i nostri giovani fossero perfetti il mondo non starebbe funzionando come si deve.