SPORT - Calcio

STAGIONE 2001-02

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2^: Bianconeri in testa a punteggio pieno con la matricola Chievo (KEVIN 9/9/2001) Alla vigilia di Atalanta-Juventus,il tecnico bianconero Marcello Lippi aveva detto (metaforicamente) che la sua squadra era affamata e non vedeva l'ora di mettersi a tavola. Quindi Juventus affamata di successi che da alcuni anni mancano dalla bacheca bianconera (Campionato, Champions league e Coppa Italia).
E questa seconda di campionato ha confermato che la "vecchia signora" del calcio italiano, quest'anno e' partita con il piede e le motivazioni giuste. Confermato l'undici che aveva travolto il Venezia, i bianconeri regolano anche l'Atalanta, con la stessa coppia di goleador : Del Piero e Trezeguet, un gol a testa dopo le rispettive doppiette della prima di campionato.
Pinturicchio sembra essere tornato quello di una volta sia in fase di rifinitura, sia in fase di realizzazione, mentre il francese si conferma bomber implacabile (10^ gol consecutivo nelle ultime sette partite).
Gol a parte la Juve sta dimostrando di essere solida e quadrata in ogni reparto, sia in difesa così come a centrocampo, dove a giorni rientrerà anche l'olandese Davids, così come in attacco sarà sicuramente importante l'apporto che potrà dare il matador cileno Salas.
Quindi siamo solo all'antipasto e se l'appetito vien mangiando.......

3^: Juve sola in vetta (KEVIN 17/9/2001) La Juventus,complice anche il discusso rigore a pochi minuti dal termine,vince lo scontro diretto con l'altra capolista,la splendida sorpresa di questo inizio di campionato,il Chievo Verona che aveva accarezzato il grande sogno di rimanere in vetta alla classifica.
C'è da dire comunque,che la squadra bianconera ha dimostrato un grande carattere,a reagire al tremendo uno due iniziale della compagine veronese,complice sul primo gol anche una papera del portierone Buffon.Quindi una volta raggiunto il pari con caparbietà,i bianconeri confermando che hanno sete di vittorie,non si sono accontentati e hanno cercato la vittoria che poi è arrivata come già detto,sul contestatissimo calcio di rigore segnato da Salas,per un fallo di mani probabilmente inesistente,da parte di un difensore veronese,nel prosieguo di un'azione iniziata con un fuorigioco,proprio del cileno.C'e' da dire comunque che anche la Juve può recriminare per un gol annullato a Trezeguet per un inesistente fuorigioco.Quindi c'è stata qualche disattenzione della direzione arbitrale,che ha macchiato una scintillante partita giocata a viso aperto da entrambe le squadre.

3^: JUVE CHIEVO 3-2 DAVIDE CONTRO GOLIA: LA STORIA PER POCO NON SI RIPETE. (Marco BALDI 17/9/2001) Magari chiamarla sfida scudetto sarà un pò esagerato, ed in effetti …, ma è innegabile che Juve-Chievo fosse un match quantomeno affascinante. Perché si incontravano le prime due regine del nuovo campionato, due fra le pochissime, forse uniche insieme al Brescia, riuscite finora ad esprimere un gioco degno di questo nome, entrambe trainate in avanti dalla spinta dei giornali e dall’entusiasmo dei tifosi, certo, ma soprattutto perché Juve-Chievo era lo scontro per eccellenza fra due realtà totalmente opposte, talmente lontane fra loro da sembrare di eccessivo contrasto per essere in Serie A.
Juve-Chievo, insomma, doveva essere la risposta, seppur a breve scadenza, ad un quesito che da tempo ci assilla, e che per molto continuerà a farlo, la risposta sembrerebbe ovvia, ma, credeteci, non lo è poi sempre. Ossia: cosa conta di più in questo cervellotico, velenoso ed inquinato calcio moderno? I soldi o l’ingegno? La tecnica o la tattica? Gli alti ingaggi o le grandi motivazioni? Ad una prima analisi superficiale della cosa sembrerebbe abbiano trionfato i primi, che Golia abbia battuto il Davide della situazione. In realtà non è esattamente così, il gigante di città ha rischiato più che seriamente di soccombere nuovamente dinanzi alla piccola realtà di periferia. Eh sì, perché il Chievo, il piccolo Chievo, con il suo palmares praticamente inesistente, i suoi nemmeno 20mila tifosi, i 5 miliardi e mezzo spesi per la campagna acquisti e gli appena 28 complessivi di gestione, che basterebbero a malapena a pagare lostipendio lordo di Del Piero, ha giocato a lungo alla pari, se non di più, con la Vecchia Signora. Avanti 2-0 dopo nemmeno venti minuti, è andato più che vicino a fare uno scherzo più che mai inaspettato alla Juve, la grande Juve, squadra fra le più titolate al mondo, con 25 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, altrettante Intercontinentali, e chi più ne ha più ne metta, con i suoi 13 milioni di tifosi sparsi per l’Europa raggruppati in 1200 club, un parco giocatori (e parliamo solo di titolari) valutato 600 miliardi e rotti, 300 miliardi spesi solo per la campagna acquisti.
Miracoli del calcio? Certo, ma non è poi così assurdo. Personalmente questo Chievo ci ricorda molto da vicino, fatte naturalmente le dovute proporzioni, l’ultimo Valencia di mister Cuper, quello senza Claudio Lopez, Gerard, Farinos & c., tanto per intenderci: giocatori non eccelsi, ma nemmeno da buttare, tattica curata nei minimi dettagli, allenatore bravo, soprattutto a motivare, mettere in campo la squadra ed organizzare il gioco. Quel Valencia arrivò ad una finale di Champions persa ai rigori, al Chievo nemmeno i più arditi osano sperare tanto, ma i buoni risultati, sempre fatte le dovute proporzioni, non saranno poi tanto rari, cominciamo a crederlo veramente. Juve in difficoltà, dicevamo. Lo credevamo, ma poi ecco Bolognino che rimette le cose “a posto”. Forse sembrerà prematuro cominciare a parlare di arbitri ed affini, ma, ci scuserete, questa volta non riusciamo proprio ad esimerci dal farlo. Diteci un po’ voi come si fa a vedere un fallo di mano, ed in più a giudicarlo volontario, quando il colpevole ti volta le spalle e sei semi - coperto da un altro giocatore. O come è possibile, e qui entra in gioco uno dei guardalinee, Ragone, non vedere un fuorigioco incredibile netto come quello di Salas, almeno due metri al di là dell’ultimo difensore gialloblù. A “scagionare” parzialmente Lippi e c., ma non certo Bolognino, né i suoi collaboratori, come spesso accade non proprio all’altezza della situazione, interviene l’altro guardalinee, Saglietti, che sul 2-1 per i ragazzi di Del Neri annulla un gol più che regolare ai bianconeri per un fuorigioco di Trezeguet che vede solo lui. O forse (e qui vogliamo essere maligni), che il signor Saglietti non ricordi una delle regole basilari del fuorigioco, che molti non conoscono, è vero, ma che un guardalinee, e sa fare il mestiere, dovrebbe conoscere quantomeno quasi come il Padre Nostro? Che, cioè, un giocatore (e questo è il caso di Trezeguet su suggerimento di Nedved) non potrà mai essere in posizione irregolare se al momento del passaggio del compagno si trova dietro la linea del pallone.
Insomma, campionato che è appena al via, ma solite polemiche che già si riaffacciano, e che rendono una domanda quantomeno doverosa: Moggi, almeno questo campionato, sarà regolare? (Se vi interessa la mia opinione specifica in merito, se volete potete consultare l’articolo intitolato “Parola di Moggi Vittorie romane? Colpa degli arbitri”, datato 18/7/2001 ed a firma naturalmente sempre di Marco Baldi).

PAROLA DI MOGGI: VITTORIE ROMANE? COLPA DEGLI ARBITRI (Marco BALDI 18/7/01) Moggi parlò, e tutti si destarono. Un mese, o poco meno, tanto è durata l’apparente ma piacevole tranquillità della scena calciofila italiana, solitamente fin troppo devastata da crisi, minacce di fallimento, passaporti, doping e quant’altro. Il periodo estivo dovrebbe essere territorio esclusivo del sontuoso calciomercato, e per un po’ lo è stato pure, basti pensare alla quantità impressionante di denari volati da una parte all’altra (ma non c’era una crisi economica in atto?) ed i sempre più numerosi trasferimenti di presunti calciatori bandiera a mò di mercenari. Ma è bastata la solita quanto ormai noiosa frase ad effetto del dg bianconero a riaccendere una polemica che pareva ormai sopita ed a rimettere in discussione due campionati, gli ultimi, a nostro parere più che regolari. Il primo, quello della Lazio, macchiato dall’alluvione di Perugia, ed il secondo, fatto suo da una Roma neo scudettata grazie a presunti favori arbitrali.
Il dire di Moggi, a voler essere sinceri sino in fondo, al contrario di qualcun altro, era sibillino, poco chiaro, si prestava a diverse interpretazioni, ma si è comunque rivelato sufficiente per accendere una corta miccia e provocare, grazie alla collaborazione di molti altri, giornalisti in primis, una fragorosa esplosione. Eh sì, perché alle sue dichiarazioni ne sono seguite altre, da ricordare quelle di Sensi, che liquida l’avversario con schiettezza <<Lui parli pure che io continuo a vincere>> ed ironia <<Al nord campano di bridge e cavalli, noi di pane e pallone>>, ma senza dare l’impressione di sferrare un deciso contrattacco: in fondo le vacanze sono ancora nell’aria, ed a pochi, forse solo a Moggi, va di cominciare un’inutile discussione che non porterebbe da nessuna parte. Non dimentichiamo Bettega, che in perfetto stile Juve, ossia inesistente, si lancia alla difesa del collega di società, ma ci fa piacere soprattutto sottolineare l’atteggiamento di quello che con molte probabilità, considerata l’antipatia della minestra riscaldata Lippi verso Antonio Conte, sarà il nuovo capitano della Juventus, Alex Del Piero, che lancia una frecciatina al suo dirigente <<se abbiamo perso è anche colpa nostra>> ammette, ma non riesce a far a meno di evidenziare <<ma è vero, negli ultimi due anni c’era un’atmosfera strana>>, quasi a voler preservare con tranquillità il ricco (e finora immeritato) contratto.
Perplessità viene quindi da una domanda che porsela è quantomeno inevitabile: se la responsabilità degli insuccessi juventini è da attribuirsi esclusivamente a fattori esterni, perché cacciare Ancelotti e rientrare dopo tanto tempo nell’elitè del calciomercato? Non bastava cercare di eliminare tali fattori esterni? Risposta: perché Moggi e la Juve hanno finalmente capito come negli anni scorsi, mentre le concorrenti da una parte mettevano sotto contratto Montella e Batistuta, Emerson e Samuel, e dall’altra si assicuravano i servigi di Crespo e Salas, Peruzzi e Claudio Lopez e Veron, in un’altra società acquistare gente del calibro di Zanchi e Paramatti, Maresca ed O’Neall, Oliseh e Mirkovic, Brighi ed Esanider e Max Vieri non voleva dire esattamente essere competitivi ai massimi livelli.
A suscitare ilarità è però in particolare l’atteggiamento di Moggi verso la questione arbitri: è curioso come se ne lamenti proprio chi fino a un paio di anni fa additava come “piagnoni” chi osava fare altrettanto. Moggi, a forza di trasferirsi da una società all’altra, tende poi a dimenticare come sia dirigente della Juventus, e non di una piccola società di provincia (ogni riferimento alla Reggina non è da considerarsi puramente casuale) che naviga in cattive acque spesso per colpe altrui. A tal proposito, sarebbe opportuno rievocare la stagione 97-98, anno dell’ultimo scudetto juventino, troppi goal fantasma e rigori negati per non gridare allo scandalo, od all’anno dopo quando il tricolore fu letteralmente regalato al Milan e scippato alla Lazio (non che questo dispiaccia a chi scrive, sarebbe da ipocriti negarlo, ma ogni tanto occorre essere anche obiettivi), ma chissà perché nessuno ne parla.

SUPERCOPPA ITALIANA ROMA FIORENTINA 3-0 I CAMPIONI HANNO ANCORA MOLTA FAME (Marco BALDI 18/7/01) La Roma ricomincia da dove aveva finito, vincendo, e sull’onda dello scudetto conquistato non più tardi di un paio di mesi fa, mette in bacheca senza troppi problemi anche la Supercoppa italiana, la prima della sua storia, che sarà pure una di quelle coppette estive, un po’ come i gironcini iniziali della Coppa Italia, che si giocano solo perché il regolamento li prevede, ma vincere, si sa, non fa mai male, e non può non far piacere, Capello ne è la dimostrazione vivente. Vittoria facile per la Roma, dicevamo. Eh sì, perché ad una squadra mai sazia, non certo appagata dallo scudetto, ormai convinta appieno dei propri (stratosferici) mezzi, e vogliosa di dimostrare che quel triangolino di stoffa cucito sulle maglie non è stato solo un caso del destino, se ne contrapponeva una, la Fiorentina, che ha palesato in maniera fin troppo evidente i suoi limiti tecnici, inevitabilmente ingigantiti dalle vicende societarie.
Fin dall’inizio il match si incanala sui giusti binari per la squadra giallorossa, che dopo 90 minuti a tratti persino noiosi per l’imbarazzante differenza tecnica fra le due compagini, porta a casa il trofeo e si “vendica” di Mancini e della sconfitta inflittale quell’ormai famigerato lunedì nove aprile. Sconfitta, questa, che rimane tuttora l’ultima in ordine di tempo subita dalla formazione di Capello, che tra gare ufficiali ed amichevoli varie vanta ormai l’invidiabile record di 17 partite di imbattibilità, racchiuse nello spazio di quattro mesi e rotti, striscia positiva che sembra destinata, a meno di clamorosi scossoni, ad allungarsi ancora, e non di poco.
La Roma si presenta in formazione tipo, o quasi, con Fuser ed Assuncao a sostituire (egregiamente) Cafu ed Emerson, con il modulo tipo, il 3-4-1-2, che quando ci si difende si maschera in 4-5-1, quello dello scudetto, per intenderci. Mancini al contrario affida le fioche speranze iniziali all’attacco, piazzando Nuno Gomes come unica punta, ma assistito da dietro più che massicciamente, con Chiesa, Morfeo e Rossi a mo’ di tri-trequartista. Troppo spregiudicata, se si gioca contro la Roma e, di questi tempi, ci si chiama Fiorentina.
Pochi minuti e la partita è già virtualmente chiusa. Prima Assuncao riesce non si sa come a divorarsi un goal già fatto, ma poi ci pensa Candela: bolide terra-aria da 35 metri, Taglialatela, coperto dalla muraglia umana di viola racchiusi in difesa, vede il pallone solo quando è ormai troppo tardi. Roma in vantaggio e sono passati solo sei minuti. Nei venti che seguono sembra di assistere a Prima squadra contro Allievi: superfluo specificare chi faccia le veci della prima squadra e chi degli allievi.
Da una parte assoluto protagonista è Fuser (ci vien da ridere a pensare che è solo una riserva), che si piazza fra le linee di Moretti e Chiesa, nessuno arriva a marcarlo, è libero di imperversare come vuole ed approfitta al meglio dell’occasione; Tommasi comincia la nuova stagione esattamente come aveva condotto per intero la precedente: correndo come un forsennato; Montella più arretrato, quasi alla Delvecchio, è ancor più micidiale; per Totti, se continua così, il Pallone d’oro non sarà più un miraggio; Candela, vedi Fuser, si afferma ormai, a nostro giudizio, come miglior esterno al mondo, alla faccia di Lemerre. Sull’altra sponda Chiesa corre come un matto, ma un po’ per l’ottima vena di Zebina, che non gli lascia spazi, un po’ per i passaggi dei compagni, non proprio illuminanti, le conclusioni a rete latitano; Morfeo si accende a sprazzi; Baronio è quello visto, o meglio non visto, nella Lazio. Tutta la squadra ne risente e la barca viola, al cospetto dei Campioni d’Italia, affonda senza possibilità di salvezza.
Dominio assoluto, ma inefficace, quello della Roma. Infatti, in parte grazie a Taglialatela, che in più di un paio di interventi sul Trio delle meraviglie non fa certo rimpiangere Toldo, in parte per l’imprecisione (di centimetri, a volte) dei numerosi tiri scagliati da fuori dai mediani giallorossi, il raddoppio non arriva, ed il risultato, nonostante tutto, resta in bilico.
Nell’ultimo quarto d’ora, però, la Fiorentina ha un sussulto: Chiesa e Nuno Gomes, complici ingenue disattenzioni della difesa giallorossa, l’unico reparto da rivedere, ma nemmeno troppo, ci vanno vicini come non mai, ma Pelizzoli imita il collega fiorentino e dimostra di meritare la tanto discussa maglia da titolare.
Ripresa: stessi ventidue in campo, schema inalterato per la Roma, diverso per i viola. Al 4-2-3-1 della prima frazione Mancini alterna ora un 3-4-1-2 più prudente, con Moretti stabilmente sulla linea di difesa, Chiesa ad affiancare Gomes in avanti, Morfeo nelle vesti di suggeritore, Marco Rossi e Di Livio a fungere da esterni. Il tutto per frenare Fuser da una parte e Candela dall’altra, inarrestabili propulsori di una Roma che non sembra avere limiti; ma Di Livio e, soprattutto, Rossi, son tutto men che marcatori, e si vede, eccome. Morale della favola: la Roma Campione continua a fare quello che le pare, nel bello e nel cattivo tempo, la Fiorentina ormai non ci capisce più nulla, e dopo nove minuti la partita finalmente si conclude: geniale l’invenzione di Totti dalla destra, bravo Batistuta a tenere occupati tutti i marcatori, inaspettato il sinistro di Montella dal limite, che spiazza il numero 1 viola e consegna il meritato raddoppio alla squadra giallorossa. Quel che segue è un lungo monologo dei Campioni, che giocano in scioltezza travolti dagli entusiastici olè del sempre meraviglioso pubblico: in assenza di Cafù, Totti manda tutti in visibilio (Trapattoni compreso) con numeri da giocoliere di solito appanaggio del brasiliano; Candela è già in forma campionato, alla faccia di Lemerre (scusate la ripetizione, ma ci pare doverosa); Tommasi non sembra conoscere la stanchezza; Fuser sembra tutto meno che una riserva. Subentrano Guigou, Balbo (a destra) e Delvecchio, ed anche loro fanno la loro bella figura. Dinanzi a tanto splendore, l’arresa della Fiorentina è ormai totale: Mancini mette addirittura Tarozzi per il come sempre evanescente Baronio, l’intenzione sarebbe quella i limitare i danni, ma anche questa mossa si rivela un fallimento: dopo quasi un’ora e mezzo di agonia, per i viola arriva infatti il colpo di grazia: ad infliggerlo è Totti (ma come ti sbagli) che riprende una corta respinta di Tagliatela su rasoterra di Candela (pure stà volta ma come ti sbagli) ed insacca in delizioso pallonetto. C’è giusto il tempo per il salvataggio sulla linea di Zago ad evitare l’immeritato 1-3, poi il fischio di Cesari e la festa può cominciare, o, meglio, continuare. Doppia coppa al cielo, secondo trofeo scucito ai cuginastri (ed il lavoro è completo), secondo giro di campo in quindici giorni per i ragazzi di Capello: e molti ne seguiranno.

TROFEO BERLUSCONI 18 AGOSTO 01 MILAN - JUVENTUS (CLARK 23/8/01) In una Milano semi-deserta, San Siro era pieno 70 mila spettatori circa, gli unici posti vuoti erano quelli transennati per manutenzione. Questa partita è una classica anche se giocata in clima amichevole, tutti a vedere la propria squadra come si prepara ad affrontare il campionato oramai alle porte. Molti juventini a giudicare dal boato al gol della vecchia signora, i milanisti incuriositi dal nuovo tecnico Terim. Veniamo alla partita: fiammata iniziale della Juve che si concretizza con il gol di Del Piero al 6’ minuto, il Milan solo qualche spunto per tutto il primo tempo. La Juve una minaccia costante per Abbiati per tutto il primo tempo. Il duello Thuram-Inzaghi vinto nettamente dallo statuario difensore. Nella ripresa non cambia di molto la musica, i rossoneri osano un po’ in più che alla fine gli procura un rigore, trasformato da Serginho. Si va ai rigori, molti errori, quello decisivo viene fallito proprio dall’ex di turno Inzaghi, che regala il trofeo Berlusconi 2001 alla Juve. Milanisti abbastanza contrariati, anche se qualcuno sostiene che perdere il trofeo porta la vittoria in campionato. Per concludere esprimiamo delle considerazioni personali: il Milan manca di un difensore centrale da affiancare all’eterno Maldini; la Juve deve assimilare gli schemi per essere competitiva.

BARZELLETTA NANDROLONE (Marco BALDI 11/9/2001) Un anno, o quasi. Tanto è passato dal primo, o meglio, i primi casi dell’ormai famigerato nandrolone. Coinvolti i perugini Bucchi e Monaco ed un sconosciuto, fino ad allora, atleta del Pescara, società in altalena fra la B e la C, Andrea Da Rold. Pochi ne parlarono, meno se ne preoccuparono, la stampa, in toto, fu la prima a fregarsene. La soluzione fu rapida ed indolore, per tutti, meno che per gli interessati: demonizzati, catalogati come delinquenti, nemici dello sport, squalificati a 16 mesi in prima istanza, poi ridotta ad 8. In fondo la diagnosi fu semplice, la decisione ancor più; bastò porsi tre quesiti fondamentali: potenti in gioco? Macchè. Miliardi? Per niente. Interessi? Troppo pochi per pretendere di essere presi in considerazione. E quindi: chi se ne frega fu il grido che si alzò dagli uffici di una federazione senza presidente, investì i giornali, coinvolse gli stessi tifosi.
Passavano i mesi, agli appelli dei tre (se fondati o meno ci è impossibile saperlo, ma la democrazia , se ancora esiste, ci insegna che è quantomeno doveroso concedere a tutti il beneficio del dubbio) tutti rimanevano insensibili, tutti se ne lavavano le mani, sembrava tutto finito. Rapido ed indolore. Ma non era così. Ad aprile, o giù di lì, scoppiò la bomba: altri sei, più o meno importanti, rimasero invischiati nella rete: Torrisi (Parma), Caccia e Sacchetti (Piacenza), Gillet (Bari), ma soprattutto Davids (Juve) e Couto (Lazio). Ebbe finalmente inizio la campagna anti-nandrolone, la stampa si buttò a pesce sullo scottante caso, fioccarono le giustificazioni, più o meno etiche, più o meno plausibili, per i poveri calciatori, innocenti perché miliardari, si giurò a più riprese sul loro candore e buona fede (come sopra, è doveroso concedere a tutti il beneficio del dubbio, ma questa volta si è un pò esagerato) si accettarono scuse e giustificazioni fra le più strane: assunzione di carne di cinghiale, sciroppi omeopatici di dubbia provenienza, integratori inquinati (apparsa a molti come la più probabile, o meglio, la meno assurda, ma, guarda un po’ la novità, non è che sia stata fatta granché chiarezza) ed, addirittura, il famigerato “shampoo al nandrolone” (e su questa, preferiamo esentarci dal commentare). Teorie, queste, tutte, o quasi, che in un forse eccessivo sforzo di tolleranza possiamo arrivare a definire più o meno verosimili, ma, che chissà perché, valevano per Davids e Couto, ma non per Bucchi, Monaco o Da Rold.
Poi, dopo quasi cinque mesi in cui ne abbiamo sentite di tutte e di più, finalmente la CAF si è pronunciata e, sulla scia della barzelletta De Boer (Barcellona), squalificato per lo stesso reato per due mesi scontati durante l’estate, ha deliberato la sua incredibile sentenza. Che è fin troppo facile riassumere, ancor più esporre: 4 mesi per ciascuno (esclusi naturalmente perugini e pescarese, che restano con i loro 8 mesi sul groppone), sentenza politica, e tutti di nuovo in campo. Vergogna, scandalo, scandalosa semi-assoluzione? Peggio. Per tre motivi:
1) Una sentenza simile genera fin troppi paradossi. In primo luogo, considerato che c’è l’estate di mezzo durante cui hanno potuto disputare le varie amichevoli, la squalifica effettiva per i sei imputati è quantificabile in poco più di un mese, 5 o 6 partite ufficiali in tutto, per intenderci. Punto secondo, è quantomeno curioso come in alcuni casi la sospensione cautelativa si sia rivelata più lunga della squalifica stessa. In particolare per Couto e Gillet: con la decisione della CAF che fosse arrivata appena una decina di giorni prima, entrambi avrebbe potuto disputare la prima giornata di campionato, uno con la Lazio, l’altro con il Bari, senza contare che il portoghese non sarebbe stato costretto a saltare un paio di gare di qualificazione ai Mondiali della sua nazionale. Terzo, ed ultimo, solidarietà (ma senza esagerare) al povero Da Rold, ancora in attesa per due settimane prima di poter tornare in campo, mentre altri suoi colleghi, squalificati dopo di lui, già da domenica hanno ricominciato a giocare regolarmente.
2) Una “ferma” di soli quattro mesi pone un quesito angoscioso, addirittura inquietante: potrà, una squalifica così breve, fare da stimolo (negativo, ci mancherebbe) a sperimentare senza troppe inibizioni sostanze non proprio lecite ad altri professionisti del pallone, consci di non rischiare poi tanto? Chi vivrà, vedrà. Inutile dire che ci affidiamo all’intelligenza dei singoli calciatori: su alcuni (abbastanza, per la verità) non abbiamo granché dubbi, su altri (nemmeno troppi) non ci sentiamo di giurare.
3) Squalifica giusta o meno a parte, rimane in sospeso ancora irrisolta (ma non avevamo dubbi fin prima della sentenza) la questione forse più oscura, nonché fondamentale soprattutto in chiave futura, dell’intera vicenda. Ossia: ammesso e non concesso che fra i nove beccati ci sia qualche innocente (che abbia cioè assunto in maniera totalmente inconsapevole, magari contenuto in qualche particolare sostanza, tale nandrolone), cosa ha provocato la sua positività? Domanda, questa, che rimarrà senza uno straccio di risposta, è una delle poche cose certe di tutta la storia, ancora per molto tempo, probabile che non lo sapremo mai. Forse semplicemente perché una sostanza del genere non esiste proprio (chi vuol capire, capisca).
Fra gli aspetti più comici (pochi) della vicenda, ecco poi le dichiarazioni di più o meno illustri personaggi del pallone nel periodo immediatamente post-nandrolone: Moggi e Cragnotti, d’altronde come Davids e Couto, con ipocrisia pari solo al loro reddito annuo giudicano più che giusta ed equa la sentenza della CAF; Caccia, unico onesto e sincero, ringrazia Davids per la propria semi-assoluzione; Sensi e Capello si trincerano dietro un no comment, o meglio un “accettiamo le decisioni della Commissione” fin troppo implicito (inutile dire che non possiamo che schierarci con loro).
Insomma, complimenti. Un po’ a tutti. Speriamo solo di dimenticare presto questa triste storia italiana.

BENTORNATI AL MEDIOEVO DELL'ITALICO CALCIO (Marco BALDI 29/9/2001) Ora ne abbiamo la conferma: siamo tornati ai vecchi tempi, belli o brutti dipende dai punti di vista. Eh sì, perché dopo tre anni senza scudetto, due nonostante i rituali regali, uno perché tanto per cambiare una volta tanto il campionato è stato quasi regolare, o quantomeno poco più pendente da altre parti, la Juve sembra essersi riappropriata una volta per tutte di quel fastidioso potere che per tanto tempo ha detenuto e conservato. Calcistico? Forse, ma politico, prima di tutto.
Solo ora ci accorgiamo di come il rigore con il Chievo che ha visto solo Bolgnino, lo svenimento in area di Amoruso contro il Celtic, o la “squalifica” a mò di farsa del nandrolonato Davids, fossero solo avvisaglie di un ritorno al passato che sembra trovare una prima, autorevole conferma nelle squalifiche inflitte ai violenti della 4’ giornata dal giudice sportivo Maurizio Laudi, 45 anni, di Torino (ma guarda un po’).
Coinvolti nel giudizio di Laudi tre juventini, Montero, Davids, e Trezeguet, due leccesi, Balleri e Savino, ed il romanista Zago. Per Montero e Savino, ispiratori della rissa di Via del Mare, è bastato leggere il referto di De Santis; risultato: entrambi espulsi, entrambi fuori due turni. E fin qui, tutti d’accordo. Per altri tre si è invece rilevato necessario il ricorso alla prova tv, e da qui le strane sentenze: tre giornate a Zago, due per parte a Davids e Balleri. Ora, premesso che riteniamo più che giusta e condivisibile la squalifica del brasiliano, stupido, ingenuo e vendicativo il suo gesto che poteva costare caro alla Roma, e che arriviamo ad accettare i due turni inflitti a leccese e bianconero, anche se ci è difficile comprendere perché una gomitata a Vanoli sia pensata più grave di un pugno a Balleri, le perplessità maggiori nascono quando a valutarsi è la posizione di Trezeguet, assolto con lode. Eh sì, perché fra le tante spiegazioni, più o meno assurde, più o meno plausibili, che ci è toccato sentire, ecco quella ufficiale di Laudi: secondo il giudice, nel referto dell’arbitro, sign. Massimo De Santis, si leggeva che il n.21 bianconero fosse accorso tempestivo sul luogo del delitto esclusivamente per sedare la rissa, non certo con bellici propositi.
Ma se per Del Piero tale giustificazione appare più che veritiera, chiaro il suo tentativo di dividere gli improvvisati boxer, per il centravanti francese parlare di intenti riconciliatori sarebbe (è) quasi come ammettere, e come qualcuno ha sproloquiato, che il viso di Savino fosse stato spinto verso il gomito, non si sa perché spianato, di Trezeguet, e non viceversa. Questo in pratica sembra aver scritto De Santis, e da qui nasce un’altra incredibile casualità (?): strano, davvero strano, constatare come proprio chi, con le sue decisioni, aveva dato adito ad una delle ultime grandi polemiche del calcio italiano (ricordate Juve-Parma 2000? E Cannavaro?), ora, a quasi due anni di distanza, con nuove, ancor più cervellotiche disposizioni, autorizzi la rinascita in grande stile di tali polemiche, e sempre a favore della stessa società. Strano, davvero strano. E se è vero che, come diceva Agata Christie, due indizi fanno un sospetto, tre una prova, temiamo non passerà molto tempo prima di avere la definitiva conferma di tale stranezza. A tal proposito preferiamo poi sorvolare sulla quasi totale indifferenza di stampa ed affini sulla gomitata di Rossini a Totti, o sulla grande “sportività” dei fiorentini, Mancini in primis, che non si sono degnati di buttare fuori un pallone con il capitano giallorosso a terra: il discorso si farebbe fin troppo avvelenato.
Ora ci scuserete, forse cominceremo ad essere un po’ noiosi, ma anche questa volta la domanda non può che sorgere spontanea: Moggi, almeno questo campionato, sarà regolare?

COMMENTO ALLE DIMISSIONI DI MATARRESE (Nicola ZUCCARO 2/10/2001) "Tanto tuonò che alla fine piovve". Il popolare proverbio può sintetizzare quanto sta avvenendo nelle ultime ore a Bari. E'stato sufficiente il lancio di una pietra contro il portone del Condominio abitato dalla Famiglia Matarrese per indurre gli stessi ad andar via lasciando la gestione dell'A.S. Bari dopo lunghi venticinque anni.
La notizia, come era prevedibile, ha fatto il giro della città scatenando prevedibili reazioni di giubilo alle quali però si contrapponevano e tuttora si contrappongono perplessità e curiosità su quello che nell'immediato,sarà il quadro societario. Nel comunicato stampa diramato dalla società, si fa riferimento al prossimo CdA convocato per il 15 Ottobre. Per quella data si sapranno i nomi dei componenti del nuovo CDA biancorosso nonchè i nuovi proprietari e quindi il nome del nuovo Presidente. Nello stesso comunicato è ribadita l'espressa volontà che nessuno dei Matarrese entri a far parte del nuovo CDA. Ciò consente l'apertura di scenarii impensabili sino a qualche ora di distanza dalla partita contro il Crotone. E'troppo semplice dover pensare che sin da ora Divella si faccia avanti (premesso che la cordata ci sia e che sia compatta). Considerando che il patrimonio del Bari è stimabile attorno ai 165 miliardi, la trattativa per la cessione del pacchetto azionario non si potrà chiuderla in tempi brevi. Se l'intera cordata non sarà nelle condizioni finanziarie per rilevare il Bari sarà necessario ricorrere all'azionariato popolare.
Ipotesi questa che stà prendendo piede nelle ultime ore e che troverà ampia disponibilità in quei veri tifosi che per la profonda devozione verso i colori biancorossi, sicuramente non si tireranno indietro.
Se questo potrà essere il prossimo quadro del futuro societario del Bari si ignora un aspetto che sinora è passato inosservato. Le dimissioni di Matarrese potrebbero essere interpretate come una mossa politica che rappresenterebbe un arma a doppio taglio provocando due risvolti.
1. Consentire l'immediata apertura della trattativa per il cambio gestionale.
2. Creare difficoltà nel tifo organizzato e non, provocando nello stesso l'angoscia per le future sorti del Bari al punto da invocare i Matarrese a restare alla guida della società. Sarà un paradosso, sarà una contraddizione ma può essere il vero fine di questa mossa.
L'uscita di scena dei Matarrese indurrebbe a porsi il seguente interrogativo:"Chi verrà dopo di loro sarà capace di gestire l'A.S.Bari?" Nel calcio odierno oltre ai miliardi occorre la competenza e ci si chiede ulteriormente se chi verrà sarà in grado di mostrare le proprie competenze calcistiche. Se questo aspetto non verrà immediatamente verificato ed esaminato il rischio di una morte suicida del calcio a Bari sarà dietro l'angolo al punto da dover ammettere,clamorosamente, che si stava meglio quando si stava peggio.

A BARI LA NOMINA DEL NUOVO AMMINISTRATORE UNICO: NEL SEGNO DI REGALIA (Nicola ZUCCARO 16/10/2001) E' dalle ore 20 di Lunedì 15 Ottobre che Carlo Regalia è il nuovo amministratore unico dell'A.S. Bari. Succede al dimissionario Vincenzo Matarrese, al termine di un consiglio di amministrazione che ha dato un esito scontato poichè la scelta fatta sul nome di Regalia circolava sin dal momento delle annunciate dimissioni di Don Vincenzo Matarrese. Quello di Regalia sarà un compito da traghettatore nel passaggio dall'attuale alla prossima gestione che potrà avvenire entro Natale come entro la fine di questo campionato. I tempi di conduzione dipenderanno dalla durata delle trattative e prima ancora da quelli legati alla valutazione dell'intero patrimonio societario,la cui stima, è stata affidata ad una società inglese specializzata nel settore.
Per Regalia si tratta di un "doveroso" riconoscimento per quanto svolto a Bari. I giocatori da lui scoperti e lanciati nell'olimpo del calcio italiano (Zambrotta, De Ascentis ecc.ecc.) sono il biglietto da visita delle sue qualità di talent-scuot unite a quelle di mediatore nello spogliatoio biancorosso. I corteggiamenti di Inter e Torino sono
l'ulteriore conferma della competenza di Carlo Regalia. E allora è giusto domandarsi perchè affidare a questo personaggio del calcio nostrano un ruolo di semplice traghettatore? Perchè non affidare a lui il compito, sia pure oneroso, di ricostruire tutto l'entourage biancorosso anche con l'arrivo di un nuovo propietario? Chi verrà dovrà capire che nel calcio occorre innazitutto la competenza e Carlo Regalia risponde a questo requisito. Dinnanzi ad
un quadro a tinte fosche, come quello che emerge in questi giorni a Bari affidiamo ai posteri l'ardua sentenza.

ROBERTO BAGGIO: UN UOMO E IL SUO SOGNO (F.B. 4/2/2002) L'obiettivo l'ha fissato due anni fa, probabilmente e' nato in una calda sera parigina del 1998. Il suo sogno e' andare ai Mondiali per far parte del gruppo che vince la Coppa del Mondo che un destino irriverente gli ha negato per tre volte, sempre attraverso una lotteria beffarda e perdente! Per Baggio il tranquillo, il saggio, l'umile, l'immodesto e, soprattutto, l'orgoglioso quel traguardo sarebbe l'apoteosi di una carriera luminosa ma avara di trionfi, sarebbe la
consacrazione di un campione che troppa sofferenza ha dovuto tributare alla sua passione piu' grande.
A Brescia e' il leader incontrastato, ha trovato l'allenatore ideale e la speranza di poterci provare ancora, ancora una volta! Ma la cattiva sorte si e' accanita ancora una volta con lui, l'ennesimo infortunio lo ha colpito nell'orgoglio e adesso i Mondiali sono molto lontani, ma il ragazzo di Caldogno forte di una tranquillita' interiore straordinaria
sicuramente non si e' arreso, e' un uomo testardo Baggio e siamo certi che il suo sogno e' ancora vivo e, chissa', su quell'aereo per il Giappone potrebbe ancora salirvi...

DERBY BEFFARDO PER LA LAZIO. VINCE LA RABBIA AGONISTICA DI MONTELLA (CULDEBOBBE 11/3/2002) La Roma si é riguadagnata il primo posto in classica. Ieri sera allo Stadio Olimpico di Roma si è disputato il derby tra le due squadre romane. Grande la Roma con i quattro goal di Vincenzo Montella e uno del capitano, Francesco Totti, inesistente la Lazio nonostante il goal di risposta segnato da Stankovich nel secondo tempo. Un derby unico come non se ne erano mai visti per i giallorossi. La Lazio ha pagato duramente le sue carenze. Troppo il distacco con la Roma, sia per la bravura dei giocatori che per la strategia di gioco firmata Fabio Capello.

CALCIO CON POLEMICA RIMA PERENNE (Marco BALDI 24/4/2002) Più lo osserviamo e più ci appare strano questo nostro calcio italiano, un mondo dove ormai da tempo polemica s'aggiunge a polemica con impressionate e preoccupante regolarità, e dove davvero pochi riescono ad esimersi dall'inutile dibattito, tutti intenti ad alimentare una miccia che prima o poi qualche scoppio lo dovrà pur causare. Che il calcio, nel nostro calcio italiano ma non solo italiano, fosse ormai da parecchio teatro più di discussioni fuori dal campo che di giocate dentro, non è certo cosa nuova, anche i vari argomenti, arbitri, Nazionale, presunte combine, infortuni inventati, tanto per citare i più recenti, non riescono a sorprenderci più di tanto, ma è innegabile come negli ultimi tempi toni e querelle si siano fatti sempre più aspri, querele, attuate o solamente minacciate, si siano moltiplicate, ed il clima sia ormai dichiaratamente sempre più quello di un business e sempre meno quello di un gioco. A testimoniarlo, su tutti gli ultimi mesi di calcio italiano, fatti come al solito di polemiche e contropolemiche, querele e contro querele, ed un po' in generale di una situazione dove ciascuno si sente in dovere di dire la sua, giusta o sbagliata che sia, spesso senza neppure conoscere i fatti.
S'era cominciato in inverno, con numerosi campi ghiacciati, allagati o nebbiosi, insomma impraticabili, ma comunque avventatamente utilizzati. A diluvio, tanto per restare in tema, le critiche su una federazione capace, solo per amor del dio danaro, di programmare posticipi serali in un periodo così imprevedibile, meteorologicamente parlando. Ed anche fra gli addetti ai lavori non è che le più accese discussioni si siano fatte certo invocare. A far da capofila il duetto televisivo fra l'habitué "don Fabio" Capello e la new entry "Harry Potter" Campedelli: oggetto del contendere il ghiacciato campo del Bentegodi, causa del rinvio di una paio di gare e della disputa, quantomeno azzardata, di qualche altra. Capello, forse presuntuosamente come qualche volta gli capita (fermo restando la personale e grandissima ammirazione di chi scrive nei confronti dell'allenatore giallorosso), suggeriva, ispirato ai campi di Milanello, il modo di risolvere il problema, con Campedelli pronto a rispondergli picche. Chissà perché, poi, la settimana successiva, proprio contro la Roma, fu possibile giocare grazie ad un sistema molto, fin troppo simile a quello ricordato da Capello. Mah.
S'era continuato, e a dire il vero non s'è ancora finito, con l'interminabile ed ormai assodata barzelletta dell'elezione del presidente di Lega, protagonisti proprio quelli, presidenti, dirigenti ed azzeccagarbugli vari, che le polemiche, invece d'alimentarle, dovrebbero metterle a tacere. Una telenovela stile Beautiful, in quanto a durata ed "amicizie" fra gli interpreti, meno se parliamo di colpi di scena, che ne siamo certi si protrarrà ancora per parecchio regalandoci nuove (emozionanti?) avventure.
Ed infine le ultime due settimane, quando, con la lotta scudetto entrata nel vivo, nubi grosse come gli stipendi degli attori del pallone si sono addensate minacciose sulla regolarità del campionato peggio che sui cieli d'Inghilterra, con la nocchietta di Vieri, i rigori di Collina, il labiale di Galante, i sospetti di Moratti sulla Juve. Ed a voler scavare ci sarebbe pure altro.
Insomma, se gli oggetti del contendere cambiano solo nelle loro immense sfumature, i contendenti sono un po' sempre quelli: onnipresente la Juve di Moggi, più amata e più odiata in Italia; gli si contrappone, altrettanto come al solito, la Roma; assenti ingiustificati Milan e Lazio, fuori da tutto da inizio stagione, le sostituisce più che egregiamente l'Inter, tornato ai piani alti dopo i brevi fasti del primo anno ronaldiano.
A sorprendere, casomai, la massiccia presenza di Moratti, signore vero lontano dalle beghe quando faceva da comprimario, protagonista assoluto attivo partecipante alle danze ora che fa da autorevole candidato alla vittoria.
Una volta a mettere d'accordo tutti, addirittura i tanto "odiati" milanisti, c'era Prisco e la sua sprezzante ironia, suo erede più diretto appare Sensi, che in quanto ad ironia, resa più ficcante dai numerosi romanismi, non ha nulla da invidiare a nessuno, ma certo che il potere ormai universalmente acquisito lo aiuta poco nella conquista di simpatie generali.
Un invito a giocare ed a lasciare da parte dibattiti ed inutili discussioni apparirà come scontato e sicuramente inascoltato, in fondo la polemica conviene un po' a tutti, a troppi: allenatori e presidenti per giustificare scarsi risultati, giocatori che minacciano fughe per ottenere compensi più corposi, giornalisti che ci fanno pagine e pagine di carta straccia, come forse è anche il nostro pezzo.
Non ci resta che augurarci, con ben poche speranze, un finale di stagione più tranquillo, ma state certi che qualche pelo nell'uovo qualcuno lo andrà sempre a trovare.