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Dopo i MOBY GRAPE, m'imbatto volentieri in uno dei gruppi piu' sottovalutati, snobbati e stroncati dalla critica rock: mi riferisco agli inglesi URIAH HEEP. L'album di cui dibattero' con enorme piacere sara' l'ormai leggendario "VERY 'EAVY...VERY 'UMBLE...", loro prima opera, e dai veri esperti considerato uno dei "dischi-manifesto" del primo hard-rock inglese (dominato allora dalla invincibile triade LED ZEPPELIN - DEEP PURPLE - BLACK SABBATH, tutt'ora l'indiscussa ed inconvertibile spina dorsale dell' hard inglese per antonomasia). Uno dei motivi predominanti che caratterizzano il disco d'esordio degli URIAH HEEP non verte prin- cipalmente sulla qualita' musicale del disco, bensi' sulla famosissima (quanto infame) affermazione della carneade Melissa Mills, allora (era il 1970) critica (?) musicale per il quotato ROLLING STONE: "SE QUESTO GRUPPO SFONDERA', IO MI SUICIDERO'" - una frase che desto' scalpore nell'ambiente musicale e che fece subito comprendere al gruppo quanto dura e irta di traversie sarebbe stata la scalata verso il successo. I critici si sono sempre (sadicamente) "divertiti" nell'affondare a piu' riprese (e spesso senza alcun motivo che giustificasse tali acide critiche) i complessi dei primi anni '70, complessi che proponevano azzardate quanto bizzarre miscele di hard-rock dalle venature blues, ma talmente esasperate da far apparire la loro proposta musicale spesso e volentieri "dissacratoria" ed ai limiti della sopportazione "uditoria". Va anche doverosamente sottolineato che questi gruppi erano sostenuti da un potenziale compositivo e strumentale larga- mente superiore alla media, sebbene il loro desti- no si sarebbe equamente diviso tra grande successo di pubblico e roventi, destabilizzanti e corrosive critiche da parte di giornalisti musicali e critici che forse (sostengo io) di competenza ne avevano ben poca, per non dire quasi nulla. Fra i gruppi piu' martoriati e vilipendiati vi sono appunto gli URIAH HEEP, "accompagnati" da BLACK SABBATH e GRAND FUNK RAILROAD, gli altri "maestri ambasciatori" della prima ondata hard mondiale. Costoro, nel proseguio degli anni forme- ranno la "grande triade degli incompresi", finendo regolarmente sui taccuini degli addetti ai lavori piu' per denotarne le lacune e le carenze composi- tive di un momento magari assai poco ispirato, piuttosto che evidenziarne (come sarebbe stato piu' onesto fare) i meriti e le competenze artisti- che od ammettere il successo commerciale fino a quel momento ottenuto. Nulla di tutto cio': i critici o presunti tali si sarebbero presi gioco pedissequamente di questo trio dalle grandi possibilita' mai del tutto riconosciute, e sia gli HEEP e SABBATH che i GRAND FUNK sarebbero stati "risarciti" dei soprusi subiti solamente un ventennio dopo, un lasso di tempo che avrebbe loro permesso di essere piu' compiutamente e seriamente valutati per cio' che avevano, sul campo, espresso molti anni addietro. Ed ho scelto proprio il primo disco degli URIAH HEEP in quanto sostengo si tratti di un'opera di indiscusso valore e di innegabile fascino, una, seppur a tratti un po' dispersiva, sapiente miscela di hard "marcato" di venature gotiche ed elaborate tessiture ed incroci vocali che avrebbero decretato il loro personalissimo "trade mark". Hard-rock, questo si', ma contraddistinto da un gusto per la melodia nettamente fuori del comune, erigendosi a portavoce di una forma inedita di rock duro inglese solitamente "sepolto" da tonnel- late di watt o poco piu'. In aggiunta a tutto questo VERY 'EAVY VERY 'UMBLE possedeva un magnetismo ed un fascino che ho raramente riscontrato nelle opere successive del complesso inglese. L'esordio degli HEEP e' una stramba amalgama di spigoloso rock inframezzato da affascinanti partiture vocali, sulle quali svetta l'appassionante, trascinante ugola di DAVID BYRON, a mio modesto parere uno dei vocalist piu' sottovalutati di tutto il panorama rock: costui possedeva una voce assai duttile ed espressiva, in grado di passare da tonalita' sofferte e drammatiche ad altre di piu' ampio respiro, adattandosi egregia- mente alla versatilita' che impera in questo disco. Gia' dal primo solco, il classico Heep per eccellenza GYPSY, vengono tracciate, imperiosamente e chiarifi- catoriamente, le coordinate del gruppo: sound monumentale, introdotto e diretto dal riff incalzante e monolitico di MICK BOX, chitarrista non dotatissimo tecnicamente ma capace di conferire pathos e colore alle composizioni del gruppo, nonche' strumentista istintivo e viscerale nel suo approccio alla sei corde ed elemento indispensabile quanto BYRON, all'interno della band. Completa il "trio-madre" il tastierista KEN HENSLEY, uno dei maggiori "keyboard-players" del panorama "hard/progressive", purtroppo anche lui vittima dell'ottusa ignoranza che regnava allora fra gli addetti alla stampa musicale. "GYPSY" apre superbamente VERY 'EAVY VERY 'UMBLE ed in pratica sintetizza in soli sei minuti la straor- dinaria gamma strumentale del complesso; riff, basso e tastiere procedono all'unisono, creando un martellante muro di suono che ha il pregio di creare una magnetica attesa, interrotta egregiamente dalla voce di DAVID BYRON, che in questo frangente rivela il suo carisma di vocalist aggressivo e dalla vocalita' "alto-vibrato" possente ed estremamente acuta. "GYPSY" prevede anche un arresto, e trattasi di un intermezzo di stampo "dark-gotico" con vaghe allusioni alla psichedelia, dominato dalle tastiere di HENSLEY e confinanti con i sinistri fraseggi di BOX che pone fine alla parte centrale del brano onde reintrodurre la possente vocalita' di BYRON. La traccia si conclude in pieno stile KING CRIMSON- prima maniera, con tutti gli strumenti strizzati al massimo quasi in un concitatissimo, coinvolgente finale; a dire l'ultima parola...anzi! l'ultimo acuto sara' BYRON che completa cosi' un vero e proprio "orgasmo in musica". Segue "WALKING IN YOUR SHADOW", introdotta da una batteria sincopata che prelude al riff granitico e tellurico di un ispirato MICK BOX; in questo fran- gente e' BYRON a fare la parte del leone, calibrando la sua interpretazione alla perfezione e fungendo da ottimo elemento compensatore ai cambi di direzione all'interno della traccia; sara' infatti il suo muscolare vibrato ad offuscare gli altri strumenti, facendo comprendere subito chi sara' il dominatore del disco. Dopo "WALKING IN YOUR SHADOW" assisteremo al primo autentico "break" del disco, la bellissima, sfuggente e decadente "COME AWAY MELINDA", che rivela,una volta di piu', quanto versatile sia la gamma vocale di DAVID BYRON. Tale e' la levigatezza, la dolcezza ed il pathos con cui il lead-singer interpreta questo drammatico spaccato di Seconda Guerra Mondiale, che rievoca il ricordo che una bambina ha di sua madre, deceduta proprio durante quella Guerra. BYRON tocchera' vertici espressivi raramente raggiunti da altri vocalists del suo periodo, e s'imporra' come talento dalla vocalita' originale e subito riconosci- bile. "LUCY BLUES", la quarta traccia, chiude la prima facciata senza infamia e senza lode, rappresentando l'unico vero punto debole di questo folgorante esordio. Il brano in questione forse risente di certo accade- mismo, trascinato lungo tutto il suo percorso, privan- dolo cosi' di mordente ed efficacia; "LUCY BLUES" e' un lento molle, quasi cantato con poca convinzione e necessario, con ogni probabilita', di maggiore spi- golosita' e accortezza, in particolare per quel che concerne l'arrangiamento, francamente scollacciato e senza una precisa identita'. Poco male, ora arriva il LATO B, e, gia' a partire dalla travolgente, eccitante "DREAMMARE" ci viene fatto notare come il gruppo sia ritornato, e nella maniera piu' convincente possibile, sul traccia- to giusto: riff-"killer", spietato quanto basta per lasciare campo libero ad un ispiratissimo BYRON, in vesti assolutamente imperiose, a riconferma di tutta la possenza e versatilita' di cui il cantante inglese e' capace; dopo le prime due strofe, si assiste ad un elettrico, spasmodico "break", ad opera della chitarra, sapientemente satura, di MICK BOX, che, pur producendo solo un paio di note o poco piu', stabilisce la sua fama di chitarrista poco tecnico ma efficacissimo ed assai essenziale. Ad "avvolgere" questo continuo crescendo magmatico di energia, muscolarita' e pathos musicale, sono le straordinarie e complesse partiture vocali, a cui praticamente partecipano tutti i membri del complesso, in modo da solidificare la gia' di per se' incredibile potenza vocale di BYRON, mai cosi' a suo agio con gli URIAH HEEP. "REAL TURNED ON", la seconda traccia del LATO B, e' un "hard" sanguigno e piuttosto potente, sul quale svetta, una volta di piu', un BYRON, in questa occasione mostrante una voce piu' acida ed aggressiva del solito. Discreto riff di MICK BOX, e buon assolo nella parte centrale del brano, ma nulla piu'. Segue "I'LL KEEP ON TRYING", oserei dire piuttosto tipico da parte dei primi URIAH HEEP, con un inter- cedere gotico, contraddistinto, coadiuvato dal loro classico gusto per l'epico, qui ai suoi massimi splendori. Ma la parte migliore, ed autentico "high- light" del disco, avviene nella sezione centrale, dove la band, sorprendentemente, si profonde in un "break-alla-BEACH-BOYS", regalando all'ascoltatore di turno un momento di dolcissima ebbrezza, quasi come fossimo "trasportati" verso un limpidissimo cielo e rimanessimo, in un'atmosfera tra surreale e fantasy, in dolcissima, onirica sospensione.... davvero un intermezzo di grande effetto, che pone in evidenza le straordinarie capacita' vocali in seno alla band londinese. Sul finire di questo stupefacente break, irrompe, si sovrappone la chitarra iper-satura e tagliente di BOX, impregnata di WAH-WAH fino al collasso nervoso..... Al termine di questo concitato marasma musical-schizophrenico s'insinua, nuovamente, la voce arrogante di BYRON, contrappuntata dagli usuali "epic-choirs" del gruppo e da un basso e tastiera martellanti ed all'unisono,che chiudono con vigore e spietatezza I'LL KEEP ON TRYING. E, dulcis-in-fundo, avremo il VERO capolavoro di "VERY 'EAVY... VERY 'UMBLE..." - "WAKE UP, SET YOUR SIGHTS", una composizione di chiara estrazione jazz, nonche' ennesimo pretesto delle velleita' artistiche da parte degli HEEP; un sommo esempio di versatilita' e, aggiungerei, anche di "inusualita'", considerando il rilevante (e per nulla da sottovalutare) fatto che, per essere un 1970, si tratto' di una scelta piuttosto audace e morbidamente provocatoria. E lo fu, senza ombra di dubbio, sebbene la critica perseverava nelle proprie noiose, patetiche torture ai danni del gruppo (e non solo, purtroppo). La voce di BYRON, inutile dirlo, e' straordinaria e conferisce al brano una duttilita' ed una complessita' vocale degna di nota, con il vocalist stesso che tende a doppiare la propria voce creando effetti molto affascinanti e di notevole "appeal". In "WAKE UP" c'e' tutta la classe degli URIAH HEEP: ritmica jazzata e sincopata, un tripudio di sussulti manifestati dalla espressiva chitarra di Mick Box, in definitiva un brano che segue diversi tracciati, le cui accentazioni ritmiche sono multiformi: una composizione "instabile", che sembra seguire di pari passo il testo, evocativo ma al tempo stesso ammonitorio, dal sapore e "mood" vagamente anti-militarista. Alla fine di tanta concitata frenesia musicale, giunge, in tutta la sua epica possenza, la voce-vibrato di DAVID BYRON, che ci lascia il suo testamento di uomo in preda alla disperazione ed invocante Dio, affinche' il Creatore blocchi questo eccidio, prima che egli lasci questo mondo e muoia estremamente addolorato. I secondi finali sono quanto di piu' bello ed immaginifico un disco di rock possa donare, una chitarra pizzicata soffusamente, di stampo squisitamente onirico, talmente suggestiva da farci cadere in un sonno pro- fondo, MOLTO profondo, ma talmente estatico e fluttuante da non doverci porre alcun problema; i sospiri e il "feel" vocale di BYRON compiono un piccolo prodigio di soavita' e leggerezza, mentre gli accordi onirici profusi dalla chitarra di MICK BOX sottolineano la sensibilita' e versatilita' di un musicista in costante ascesa creativa. Ed il sogno si concluse. Alla fine di questo solco, una cosa mi e' molto chiara: gli URIAH HEEP avranno prodotto dischi persino migliori di questo, ma per certo nessuna delle successive produzioni vantera' il pathos, il feel, l'appeal ed il magnetismo musicale di quest'opera fin troppo discussa ma dall'immenso valore storico. Questa e' la mia vivace, come sempre, opinione, ed essa appare essere inconvertibile. Come inconvertibile fu l'epico magnetismo ed il gotico fascino di questo caposaldo del primo hard-rock britan- nico. DA NON PERDERE!!! PAROLA....... DI UN UOMO ASSAI GOTICO E DALLE DIVULGAZIONI EPICHE.....
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