All'inizio degli anni
'70, la musica italiana avrebbe manifestato una maturita' senza
precedente, auto-promuovendosi da una fascia ideologicamente
ed indicativamente "adolescenziale" ad una piu' matura,
articolata e "progressista".
Non tutti, per la verita' la maggiorparte, non compresero appieno
la portata di tale evoluzione in pieno atto di espansione su
scala nazionale; peraltro i complessi portatori di questo "nuovo
verbo progressista" sarebbero stati
"vergognosamente" sezionati come "portavoce della
musica POP". Ed accezione piu' grossolana ed ingiustificata
non sarebbe potuta essere coniata; il termine POP, tanto per
intenderci, derivava da "musica popolare" e racchiudeva
una sterminata prosopopea di formazioni dalla creativita' piu'
o meno opinabile; la' dove il Rock si ergeva quale scomoda, blasfema
espressione di sovversione, il POP era idealmente la sua piu'
"naturale" ed acclamata antitesi: POP, oltre alla valenza
di "popolare", possedeva il connotato di "prodotto
commerciale", di "consumo", indirizzato a giovani
e meno giovani senza molte pretese intellettuali od esibizionistiche-generazionali.
Anche se questa distinzione vi potra' apparire generalmente superficiale
ed insufficientemente appagante, tale
"scissione" era musicalmente, ideologicamente e generazionalmente
rappresentata dai due gruppi-manifesto del decennio per antonomasia
delle grandi rivoluzioni: gli "SWINGING SIXTIES": I
ROLLING STONES, da una parte, ed i BEATLES dall'altra: i primi
"figli cattivi e perversi" del piu' lascivo ed anticonformista
rock'n'roll, i secondi, al contrario, superbi alchimisti del
nuovo fronte della melodia POP. Due modi, sebbene "generalisti",
di evidenziare un tipo di corrente alternata che avrebbe indelebilmente
influenzato generazioni di adepti, fans e musicisti delle ere
a seguire.
In Italia codesta netta distinzione non fu praticamente mai proposta;
assurdo, oggi, a distanza di piu' di trent'anni, cercare di comprendere
per quale chissa' illogica ed irrazionale ragione complessi innovativi
e estremamente "progressive" come AREA, LE ORME, OSANNA
E BANCO DEL MUTUO SOCCORSO ricevettero
questa infame, insulsa, riduttiva (ed assai offensiva, per la
qualita' musicale proposta) "etichetta".
Probabilmente, e questo va da se, il Rock (o cosiddetto "POP"...)
non venne preso mai troppo sul serio dagli addetti ai lavori,
in quei primi incerti anni di passaggio dal pop piu' convenzionale
ad una arte piu' raffinata, estetica e dall'altissimo flusso
creativo e distintivamente personale; gli unici che sembravano
stare al passo coi tempi si rivelavano essere gli avidi ascoltatori
(loro si DAVVERO progressisti...!!) del futuro genere dominante
in Italia nel corso di quella brevissima ma intensa stagione
che vide esprimersi conglomerati di musicisti proponenti formule
musicali articolatissime ed estremamente originali, innalzando
vertiginosamente il tasso di originalita' e di voglia di
totale rinnovamento di un morente e metastastico Rock italico.
Un periodo convulso ma di indiscusso fascino,
per la prima volta il Bel Paese avrebbe vantato una propria "specie"
figlia di un ecosistema socio-musical-politico dalla sorprendente
(e meritata) popolarita', una generazione di alchimisti prestati
alla musica in grado perfettamente di competere, in termini di
originalita' ed ardite composizioni contraddistinte da elevata
statura qualitativa, con i piu' mass-mediatizzati, iper-celebrati
"colleghi" d'Oltre Manica (generalmente ego smisurati,
talvolta irritanti e, non sorprendentemente, "ottusi"
nelle aperture verso il resto del Mondo Occidentale, se si eccettua
l'America unita a tutte le sue folli, inconprensibili contraddizioni).
Rispetto alla musica di allora, oggi e' stato totalmente (drammaticamente,
avanzerei...!) smarrito il senso di piacevole, sconsiderato rischio
che i grandi autori del progressive italiano amavano, provocatoriamente
ma con notevole gusto ed appeal, "sviscerare", in un
contesto storico dove tutto ed il contrario di tutto era lecito,
per cui il rapporto sincero che tali innovatori ebbero verso
il concetto estremo di improvvisazione e scomposizione di melodie
in favore di suites dalla bibliche proporzioni appariva piu'
che giustificato e legittimo, in considerazione di una nazione
solitamente repressa, musicalmente, dall'egemonia, schiavizzante
ed indigeribile, del mercato anglo-americano (basti pensare alle
precedenti mode, a mio avviso deleterie, di aver voluto a tutti
i costi "coverizzare" in italiano alcuni tra i successi
piu' famosi d'oltreoceano, questo per farvi appurare quanto poco
originale fosse il panorama dell'epoca "beat" italiana
in voga nei "favolosi" anni '60).
Come Newton espresse in una famosa espressione, "all'azione
corrisponde sempre una reazione", in questo preciso, delicato
contesto la "reazione" del caso sarebbe stata impersonata
dalla nascita e conseguente evoluzione della prima VERA ed autentica
generazione rockistica made-in-italy.
Percio' sarebbe stato piu' lecito parlare di ROCK ITALIANO piuttosto
che di POP; meglio: ROCK era un termine rozzo quanto riduttivo,
che non rendeva piena giustizia alle profonde, ammirevoli intenzioni
ed intuizioni degli artisti piu' creativi "figli legittimi"
di quella straordinaria generazione. Si trattava, molto semplicemente
di ROCK PROGRESSIVO ITALIANO. E alla tanto decantata espressivita'
compositiva e visionaria dei gruppi anglofoni allora osannatissimi
(quali ELP, GENESIS, YES, JETHRO TULL e, in particolare, I KING
CRIMSON di Robert Fripp e VAN DER GRAAF GENERATOR di Peter Hammill)
ed ammirati in tutto il mondo, veniva controbilanciata una nuova
forma di rappresentazione progressive/sinfonico/barocca, grazie
alle storiche formazioni precedentemente citate: PFM, BANCO,
OSANNA, e poi ROVESCIO DELLA MEDAGLIA, BALLETTO DI BRONZO, ACQUA
FRAGILE, i DELIRIUM di Ivano Fossati ed altri ancora i quali,
sebbene abbiano vissuto il tempo fugace di un sussulto o semplicente
di un piccolo lavoro discografico, vengono legittimamente ricordati
dagli artisti o fervidi collezionatori di dischi con grande,
genuino, spesso inestimabile affetto e grande devozione.
Sorta di "cult-heroes" made in Italy, entita' ora sconosciute
ma ugualmente celebrate, in quanto esponenti, seppur di minor
rilevanza, di uno spaccato generazionale realmente intenzionato
a sovvertire le regole eccessivamente dogmatiche e bigotte del
consumismo e provincialismo piu' tipicamente italico.
La PREMIATA FORNERIA MARCONI e' forse la prog-rock-unit piu'
rappresentativa e conosciuta all'estero, ma non la piu' valida
o particolarmente significativa per quel che concerne un discorso
strettamente compositivo: abilissimi e rispettati musicisti,
ma raramente in grado di "graffiare" o di incidere
un solco dotato di grande intensita' e ardita velleita' nell'infrangere
barriere musicali. Rimane tuttavia la testimonianza, vivida e
perentoria, di un capolavoro quale STORIA DI UN MINUTO, impreziosito
dalla canzone forse piu' squisitamente "pop" dell'era
progressive-italica (e indubbiamente anche la migliore, in senso
strettamente melodico), IMPRESSIONI DI SETTEMBRE (il cui testo
era niente meno che del grande MOGOL); da citare anche E' FESTA,
sorta di "hard-tarantella-rock", primo spaccato assoluto
di tarantella rivestita di arrangiamenti ammicanti ora all'hard
(in particolare il travolgente intro) ora al piu' quintessenziale
"kingcrimsoniano" progressive; e naturalmente la splendida,
evocativa, mistico-folkeggiante LA CARROZZA DI HANS, impreziosita
da fascinosi fraseggi e passaggi chitarristici degni del miglior
Mussida. In questo contesto il BANCO DEL MUTUO SOCCORSO ha indiscutibilmente
eccelso, con articolate suites barocco-mediterranee di notevole
spessore e inusualita' interpretativa, un'alternativa densa di
originalita' ma anche di forte, grintoso sentimento, da opporre
alla stantia e risaputa arroganza anglosassone. E, non dimentichiamolo,
tra le sue fila poteva disporre di un certo FRANCESCO DI GIACOMO,
una delle voci italiane piu' personali e significative del rock
italiano di allora (e, potrei senza remore dire, di sempre!)
GLi OSANNA si distinsero per la loro inedita rappresentazione
"teatral-musicale", a tratti dai forti connotati onirici;
primeggiava, in questa sezione, il pirotecnico, ma mai eccessivamente
pomposo, flauto di ELIO D'ANNA, uno dei massimi musicisti degli
anni '70, nonche' sommo flautista (sorta di IAN ANDERSON italico,
titolo da condividere forse con l'altrettanto eccelso MAURO PAGANI,
grande polistrumentista dotato di immediatezza improvvisativa
ed indiscusso eclettismo). Le loro tuniche bianche oggi possono
apparire superate e talvolta goffe e stimolanti il sogghigno,
ma all'epoca ebbero un impatto visivo conturbante e ricco di
connotati scenico-visivi (si viveva, peraltro, in piena era-GENESIS-PETER-GABRIEL....,
dato non da sottovalutare...).
Ma il complesso che piu' di ogni altro ha incarnato l'essenza
progressista della musica italiana d'autore, lungo tutto il corso
dei Settanta, furono gli indimenticati AREA, capeggiati da colui
che ancora oggi viene considerato il piu' grande, insuperato,
inarrivabile innovatore della voce, DEMETRIO STRATOS, un vocalista
dalla possente emissione ed intensita' (si dice potesse raggiungere
la vetta dei 7.000 hertz, in quanto a densita' timbrica), assimilabile
(almeno per quel che concerne gli inizi-carriera) ad un TOM JONES
nostrano, ma ardito esploratore di nuove, inusuali sonorita'
artistico-vocali, rendendo col tempo le sue pregiatissime corde
vocali uno strumento polifunzionale in grado di incastrarsi armonicamente
e con superba perfezione nelle intelaiature ed articolazioni
strumentali degli AREA. Un personaggio dotato di immensa inventiva
e soggiogante personalita' scenica, un animale di infinitamente
espressiva espressione vocale, mai sazio delle esplorazioni vissute
o delle barriere sormontate (e poi infrante) con innato, sconsiderevole
talento, classe sopraffina ed un apparentemente infinito pathos
musicale. E con il suo decesso ebbe a morire non solo un complesso
innovativo e decisivo per l'evoluzione del rock in Italia: contemporaneamente
la morte del grande Stratos tese a segnare (simbolicamente) il
definitivo epitaffio di una generazione e le sue folli ma tremendamente
passionali lotte, unite alle speranze di poter vivere un mondo
migliore, quel mondo che ben presto, con l'avvento degli insulsi
iper-consumistici-reaganiani anni '80, avrebbe risucchiato tutti
quegli ideali profusi e quelle voci di rivolta che avevano costituito
un elemento di splendida, inarrivabile "scomoda anarchia"
anti-istituzionale.
Fu la fine di un'era e forse, anche di noi impareggiabili, indomabili
sognatori.
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