Economia

NEW ECONOMY ?

Altro che l'invenzione della stampa, l'uomo moderno ha Internet.
di Rossella Di Bidino (13/3/2001)

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Crescere in un'era di abbondanza vuol dire anche venir addestrati alla fiducia immotivata della presunte fonte della presunta nuova ricchezza. Negli ultimi anni, a voler fare i modesti, l'euforia sui mercati finanziari è stata alquanto estesa e talmente esasperante da aver portato a coniare un termine arrischiato per glorificare ulteriormente il nuovo Eldorado: new economy. Certo si sa che con questo termine ci si riferisce al sistema economico così come risulta essere stato modificato dall'introduzione di Internet nella vita quotidiana.
Internet si è presentato come una fonte gratuita e bonaria di qualsiasi tipo di informazioni, di contenuti, di valori e di possibilità. Se gli albori sono stati così promettenti chissà cosa può riservare il futuro! Fiducia è stata la parola d'ordine. Ma i geni precoci o si trovano spaesati nel mondo dei grandi o muoiono altrettanto precocemente dando vita ai miti. Ed il genio ed il mito c'è stato negli anni '90: il primo impersonato dal web il secondo da Mister Alan Greenspan.
Altro che l'invenzione della stampa, l'uomo moderno ha Internet, un successo percepito come omogeneo e travolgente a livello mondiale. Peccato però che nella patria ufficiale di tale ben di dio, vale a dire gli U.S.A., negli ultimi dieci anni i collegamenti famigliari a Internet siano passati da poco più lo 0% al 38%. A prima vista un risultato eclatante anche perché si trascura l'impiego del web nei luoghi di lavoro. Ma effettuando un raffronto con il passato si vede che negli anni '20, decennio della sua introduzione, la radio era presente nel 40% delle case americane. Ancora, la TV vide incrementare la sua presenza dal 9% del 1950 all'87% nel giro sempre di dieci anni. Certo, Internet non è stato un fallimento, ma nulla al confronto quantomeno della discesa di dio in Terra.
Al di là delle statistiche si può argomentare che l'impiego sostanzialmente quotidiano del web ha inciso sulla natura dei rapporti economici. Eppure quando si acquista qualcosa, anche per via telematica, la parte cruciale della transazione, oltre il prezzo, è ancora il bene trattato. Internet accelera gli scambi o le possibilità di smercio o d'acquisto, ma senza i soggetti, fisici o giuridici, che partecipano all'operazione, senza il bene conteso, senza il denaro e, ancora, senza la volontà di negoziare nulla può avere luogo. Il web, dunque, c'è, esiste, funziona, ma non crea. E anche per questa nuova mirabile invenzione vale il motto secondo cui nulla si crea o si distrugge.
Se milioni di persone credono in un'idea, se milioni di persone vogliono avere fiducia in un simbolo e se l'aspetto morale-intellettuale della questione si traduce in un affare economico, come la quotazione in borsa, ecco che si crea un mito. Il mito dell'economia trasformata è un uomo, uno di noi: il presidente della commissione della Federal Reserve statunitense dal 1987, Alan Greenspan. Cosa sa di lui il famoso uomo comune, quello a cui il destino gli ha fatto il dono di vivere di questa nuova ricchezza? Sa che Greenspan decide, decide talmente bene che i mercati finanziari sono stati in grado di alimentare la crescita dell'era telematica. Dal canto suo Alan Greenspan predilige osservare tra gli altri il National Association of Purchasing Management index (NAPM) e ha anche delle preferenze in merito agli indicatori riguardanti il mercato del lavoro. Quindi a pensarci bene usa come telescopio sull'economia le vicende, a livello aggregato, delle cosiddette risorse umane e quelle relative alla produzione. Infatti il NAPM è un indicatore focalizzato sull'attività manifatturiera. Va bene che la Federal Reserve opera a livello macroeconomico, va bene che secondo l'economista britannico J.M.Keynes le statistiche servono soltanto a farsi un'idea della situazione, ma in tutto questo che fine ha fatto il ruolo egemone del comparto informatico-telematico?
Al di là di questo, il mito, ossia Greenspan, decide il tasso di sconto, ma ancora nulla è dato di sapere, neanche nella new economy, circa il circolo vizioso di causa ed effetto che è presente nei mercati finanziari. Ossia, Greenspan decide ed il mercato si assesta o il mercato viene semplicemente assecondato dalla FED per contenerne gli istinti maniacali, quali una bolla speculativa o una caduta marcata? Una new economy, come un Nuovo Testamento, dovrebbe essere in grado di dare risposte, nuove risposte a vecchi quesiti. Quali sono queste nuove risposte?
Tutta l'attenzione è stata catalizzata dall'economia, si parla infatti di new economy. Eppure Internet è intervenuta anche nella vita quotidiana, nei rapporti sociali. Quindi la politica non può rimanerne esclusa. La necessità di ridefinire il duopolio capitalismo-comunismo si fa sentire. Dopotutto è caduto un muro, si discute di globalizzazione, ma è ancora all'economia che ci si riferisce. Anche quello che è stato bollato come "popolo di Seattle" attacca l'economia. Eppure la parte più debole a seguito di tutte le trasformazioni che hanno avuto inequivocabilmente luogo è il tradizionale sistema di rappresentanza democratica. Emblematica è la vicenda del testa a testa infinito tra Al Gore e G.W.Bush in occasione delle ultime elezioni statunitensi. Emblematico perché sembra quasi uno scherzo del destino, una empasse che non poteva che realizzarsi ora. Forse è tempo di pensare e creare una new politics. Anche se si vuole far propria la tesi della new economy, si può osservare che l'economia non è certo separata dalla politica. Se una cambia l'altra è incentivata a modificarsi.
Attendo una new politics, pur non credendo nella new economy.