11.09.1973,
Santiago del Cile
Ricordo
nitidi quegli attimi d'attesa prima dell'azione decisiva. Santiago
era deserta fin dal giorno precedente e la piazza del palazzo
presidenziale ci osservava incuriosita. Appariva ferma, vuota,
inanimata. Un acquario senza pesci.
Mi voltai un istante, tremavo. Fissai lentamente, ad uno ad uno,
i volti dei miei compagni.
Ero entrato nell'esercito da due mesi e con i miei "ridicoli"
diciotto anni ora mi trovavo lì, catapultato da qualcosa
certamente più grande di me.
Gli ordini erano chiari, non dovevamo pensare.
"Al segnale entrate nel palazzo con la forza, sfasciate
tutto, anche la testa di quel "porco" di Allende".
Era così ben proporzionato il Palazzo della Moneda da
quell'altezza e gli occhi dei miei compagni vogliosi di entrare
dalla porta principale della storia.
Il vento spostava un pulviscolo fastidioso per gli occhi. Non
riuscivo a guardare il cielo per cercare una risposta. "E'
davvero il generale Augusto il nostro liberatore?". Più
l'eco di questa domanda rimbombava nei miei pensieri e più
il pulviscolo si impadroniva dei miei occhi arrossandoli. Eppure
io cercavo ancora il tramonto.
11.09.2003,
Santiago del Cile
Trent'anni
dopo leggo le vicende del mio vecchio Cile sul giornale che ogni
mattina mi compra mia moglie, la donna che amo e che mi ha dato
la risposta che quel giorno io cercavo in cielo. I genitori di
mia moglie, anche lei cilena, sono nella lista dei più
di quattromila desaparecidos torturati e fatti sparire nell'
oceano del sud del mondo. La loro colpa? Credere nella libertà.
Ho voglia
di rispondervi oggi, si, oggi ho voglia di parlare. Osservo la
serenità ritrovata da mia moglie, mi immergo nel verde
profondo degli occhi dei miei due figli.
Oggi io posso urlarvi che il vero "porco" era il generale
Augusto. |