Quel
mattino la sensazione di un lento movimento rotatorio, il sordo
ronzio insonorizzato di un potente motore al di sotto, lo svegliarono.
Gli occhi si aprirono su massicce travi di legno di abete rosso
convogliate e raccolte al vertice di una grande cupola. Francesco
volse lo sguardo verso la parete interamente finestrata: l'ampio
vetro prima oscuro, attraversato dalla corrente elettrica, si
schiarì, divenne trasparente e incolore; in evanescenza
progressiva, come in dissolvenza di apertura, apparve un sole
nascente su scaglie luccicanti di mare. Poi il clac di un dispositivo
di marcia e di arresto e la casa smise di girare. In lontananza
si sentivano le voci degli uccelli della costa marina: il vagito
da neonato della berta maggiore e del gabbiano reale, la risata
beffarda della sula e quella maligna del marangone dal ciuffo,
il suono di congegno arrugginito del cormorano.
Che posto era quello, che ci faceva in quella casa da sogno che
avrebbe potuto essere l'opera discoidale dell'architetto Patrick
Marsili? Il letto non era il suo, quello a soppalco in acciaio.
L'appartamento in centrocittà nemmeno. Lì, al risveglio,
avrebbe per prima cosa vista una grande, gonfia macchia di muffa
e solo scaglie di calcina umida a lato sopra l'armadio color
miele; di fronte appena un vasistas con il vetro sporco sopra
la porta finestra e lo smalto beige dei vecchi scuri. Anche il
materasso non era il suo, e ne ebbe consapevolezza per via di
un piacevole movimento di pompaggio alternato appena cominciato.
Doveva essere ad aria con compressore. Un massaggio delizioso.
Che avesse dimenticato d'essere a casa di qualcuno? Una curiosa
mattutina amnesia? Invero, della sera dianzi non ricordava proprio
nulla di particolare, di diverso dal solito.
Le 6:42 verde acqua erano proiettate su una trave della volta
dalla stazione meteo elettronica. Si sentiva in splendida forma,
mai così riposato e sereno da una vita. E nessun colpo
squassante di tosse asmatica, come sempre. Cominciò una
musica. Era Nick Drake. Veniva da due diffusori BeoLab e da uno
stand da pavimento Bang & Olufsen con 6 alloggiamenti cd
e timer. I diffusori neri, alti e sottili posti davanti la parete
di fronte il letto sembravano due monòliti. "Sono
David Bowman nel misterioso finale di 2001 Odissea nello Spazio",
mormorò a mezza voce. "
Mi hanno rapito i Grigi,
a quanto pare. Questo cos'è, un Ufo? Mi hanno impiantato
un microchip nell'ipofisi?".
Non gli restava che alzarsi e cercare l'ospite facoltoso a cui
chiedere spiegazioni. Indossava solo un paio di boxer, che almeno
riconobbe essere i suoi. Trovò e infilò un paio
di sandali e un kimono in raso azzurro. Quel che vide girando
per la villa lo lasciò semplicemente di stucco: era la
casa perfetta per lui, arredata e accessoriata con tutto ciò
che avrebbe scelto lui stesso potendolo fare senza badare a spese.
E per di più a picco sull'oceano. Quella era la casa che
da sempre avrebbe voluto. Se l'era sempre immaginata così,
con quelle cose, con i medesimi particolari che andava man mano
scoprendo ed anche di più, a sorpresa, come la tappezzeria
disegnata e firmata da David Bowie nell'ingresso living e due
suoi autoritratti su tela, un olio e un acrilico. Il suo idolo!
Ma, a parte questo, non vi trovò nessuno. Uscì
allora sul retro in giardino. Era un giardino giapponese su dolci
collinette artificiali di argilla e rocce. Era primavera e fiorivano
l'azalea, il rododendro, la camelia e la kornos causa detta "china
girl". Il prato era di muschio, quello che canta quando
piove, e nelle zone d'ombra vi erano le felci e l'hosta. L'acer
palmatum dalle foglie rosse, i salici piangenti, il Diospyros
Kaki, il ginkgo dalle foglie a ventaglio e la cadenza studiata
di ciotoli neri levigati delimitavano i passaggi di ghiaia o
sabbia ondulata dai rastrelli, metafora del mare. Quindi vasche
in pietra e l'acqua di un laghetto di ninfee e di carpe dai diversi
colori, un torrentello artificiale e i ponticelli di legno: ogni
elemento al suo posto come ogni nota e pausa su uno spartito
musicale, ed ogni orizzonte di qua precluso da muretti di bambù,
invito al raccoglimento introspettivo, di là invece l'orizzonte
nella sua manifestazione in senso assoluto dell'oceano, espansione
contemplativa. Micro e macrocosmo, finito e infinito, dentro
e fuori. Ovunque isole di pietre mai pari e mai simmetriche come
isole di pensiero, composizioni segniche ricomposte ogni giorno
per distogliere l'attenzione dai pensieri quotidiani e favorire
nuovi pensieri, la fantasia e la calma, la ricerca interiore.
Francesco si stupì di sapere tutto. Guardava cose sconosciute
prima di allora ed era come se di volta in volta gli si aprisse
davanti un libro sull'argomento. Non aveva mai saputo granché
di fiori eppure, come ne scorgeva uno, subito riconosceva l'azalea
indica o il rododendro ponticum, argenteum o quello arboreum
e nella mente riaffiorava con chiarezza tutto ciò di cui
si possa avere cognizione d'ogni specie e dei principi di giardinaggio,
del giardino Zen secondo epoche e scuole, o dell'ululone dal
ventre giallo scorto semisommerso con il solo muso sporgente
nella pozza d'acqua. "Toh, guarda, una Bombina variegata
ma com'è possibile che io sappia così bene cos'è?
Per me quella fino a ieri sarebbe stata solo una rana qualunque,
una ranocchia con la pancia gialla. Se avesse il ventre rosso
sarebbe invece una Bombina bombina
ma tu guarda!".
Resosi conto di ciò Francesco fu preso da sgomento. Se
invece si domandava cosa fosse successo alla sua vita, ancora
nulla lo illuminava. Gli rimaneva tuttavia intatto ogni altro
ricordo del passato fino alla sera dianzi. Era andato a dormire
tardi, all'una, dopo due bottiglie di birra e l'attualità
sulla cattura di Saddam Hussein in un buco di ragno a Tikrit.
Doveva assolutamente trovare qualcuno che gli spiegasse. Ripercorse
il giardino giapponese per tornare alla villa che ruotava secondo
il sole fino alla balaustra sul limite della falesia. Vi si affacciò.
Sotto lo strapiombo una cala tranquilla, una spiaggia di sabbia
bianchissima e un molo. Alla banchina di ormeggio una barca.
"E' l'ultima Najad di 11 metri, svedese, veloce, solida,
elegante, dislocamento di 8.300 kg, scafo e coperta resinati,
albero Seldén poggiato in coperta con due ordini di crocette
in linea e con sartie basse direzionate a poppa e a prua per
evitare l'uso delle volanti. Mai saputo nulla di barche, di vele
e di mare
Sento che fa tutto parte di questa casa. E questo
è l'oceano Atlantico. Sono in Bretagna. So dove sono ma
non so come vi sono arrivato!". Tornò indietro, andò
a ispezionare una tettoia. Qui vi trovò una Aston Martin
DB9 e una Mercedes-Benz 300SL ala di gabbiano argento metallizato
del '56. "Roba da nababbo sopraffino", pensò.
Tornò dentro, visitò di nuovo ogni ambiente. Nessuno.
Ma il letto dove aveva dormito era stato rifatto. "C'è
nessuno?" disse prima con voce flebile, poi ripeté
urlando. Riguardò ogni stanza daccapo. Sostò davanti
a uno specchio sagomato del maestro Bruber con la cornice in
vetro artistico di Murano cesellata a mano e decorata di oro
e smalti naturali. Si riconobbe senza dubbio. Non c'era alcunché
di strano o diverso nel suo aspetto. Sullo specchio in alto v'era
incisa la frase cuique suum reddit. "Restituisce a ciascuno
il suo
" tradusse Francesco, ignaro finora di latino.
"L'immagine che mi restituisci è mia" disse
rivolto allo specchio, "ma dov'è la mia solita vita?
Non che questo posto mi dispiaccia. Anzi, direi che l'altra vita
era ormai diventata un vero fallimento e risvegliarmi qui, per
me, anche dovessi starvi per un giorno soltanto, beh, è
uno strano regalo inatteso
ma non è casa mia, tornare
poi alla mia realtà sarà peggio di tutto e ancora
non so neanche a chi appartenga tanta cuccagna, perché
a lui sì e a me no, e perché mi ci ritrovo".
Dunque il suo aspetto, almeno quello, gli era completamente familiare.
A parte il ventre, solitamente gonfio per la birra, ora perfettamente
piatto, quasi concavo. A ben vedere anche la schiena adesso era
dritta come un fuso, senza più cifosi. E i capelli aveva
meno diradati, non più precocemente brizzolati, ma di
un bel colore acciaio uniforme. Inoltre non aveva gli occhiali.
La sua vista però gli parve perfetta. Fece una prova coprendosi
con la mano l'occhio sinistro per vedere da quello destro, il
più afflitto da miopia e astigmatismo. Ci vedeva benissimo.
"Finalmente so cosa voglia dire vedere con dieci decimi.
Gli alieni mi hanno operato stanotte con il loro laser
e mi han pure fatto la tinta! Che carini". pensò.
E sveglio, era sveglio: un sogno si riconosce in fondo anche
mentre si sogna. Soprattutto non ci si pone il problema di doverlo
riconoscere come tale. O aveva varcato la soglia di una qualche
corrispondenza magica tra sé e la sua copia, come ritenevano
gli antichi? In chiave più moderna, qualcosa con a che
fare i multiversi e i molti mondi della meccanica quantistica?
Altrove, le sue occasioni perdute erano state invece colte e
avevano continuato a vivere di vita e di energie proprie ed ora,
chissà come, lui vi era penetrato? Era la teoria del fisico
teorico David Deutsch nata dalla constatazione che ci sono fenomeni
microscopici in cui una particella si comporta come se interferisse
con una controparte, invisibile ma reale. Non due realtà
alternative, ma che si verificano contemporaneamente, ciascuna
in un proprio universo. Anche il minimo cambiamento di una particella
subatomica creerebbe quindi una biforcazione generando una rete
frattale pressoché infinita di mondi, tutti dotati di
una propria concretezza. E se esistono infiniti altri universi
creatisi al momento di ogni misura in cui il verso delle particelle
è orario o antiorario, è possibile che tra gli
altri mondi e il nostro avvengano scambi, separazioni e intersezioni.
Ma questa era solo una ipotesi, per quanto suggestiva, decisamente
"spinta". O era morto? Un brivido orripilatore gli
attraversò la schiena e le braccia, lo stomaco ebbe una
stretta calda. "Mannò, mica ci insegnano che l'aldilà
sia così fisico e multimiliardario". Un'usanza popolare
vuole che alla morte di un uomo si coprano gli specchi, o la
sua anima rimarrebbe imprigionata ancora nelle parvenze del mondo,
nella camera dei defunti, invece che accedere nell'aldilà.
Forse, dopo morto da solo in casa sua, nessuno avrebbe potuto
e nondimeno saputo di dover coprire gli specchi. Questa poteva
essere quindi la cosiddetta camera dei defunti? "Se questa
è la camera dei defunti, mica male! Sembra tutto vero,
verissimo. Figurati l'aldilà cosa non dev'essere!",
pensò. "Comunque, nell'incertezza, qui mi ci posso
anche fermare volentieri
e meno male che mentre me ne andavo
nessuno copriva specchi o recitava cose come il libro tibetano
dei morti. Con tutto il rispetto, ho sempre odiato l'idea di
farmi spiritello immateriale appagato da sempiterna gloria celeste
e niente più". Ad ogni modo, potendosi specchiare,
doveva essergli andata bene: diavoli e incarnazioni diaboliche
(e lui la carne addosso se la sentiva e come), si dice non possano
riflettersi o tollerare la propria immagine riflessa da uno specchio.
In effetti, un posto così era decisamente un pezzo di
paradiso salvo prima o poi svanire crudelmente, in una sorta
di commisurato contrappasso dantesco. Ma per contrasto o somiglianza
a quale suo peccato in vita? Quello d'aver sognato, desiderato
un giorno tutto ciò? A questo punto fu sopraffatto da
un sospetto ben più atroce: che avesse fatto un patto
con Mefistofele? "Me ne ricorderei". Gli tornò
in mente quanto da ragazzo fu affascinato dalla storia di Johann
Faust, di cui aveva letto dapprima nel libro di Spies, quindi
Marlowe, Goethe, Pessoa e Thomas Mann. "Ho dannato la mia
anima per ricchezza, giovinezza, sapienza, felicità dei
sensi e poteri straordinari
e per quanti anni? Dodici,
sedici, ventiquattro soltanto? Quanti, che poi passano? A meno
che il baratto non sia capitato involontariamente, magari nel
subconscio del sonno, chissà, non è da me. Io non
credo affatto in cose del genere! Figuriamoci. Senza contare
che, per come sono andato a letto ieri sera, avrei subito e per
prima cosa chiesto di ricominciare da un'orgia tipo Eyes wide
shut, o da una notte d'amore con almeno un fac-simile di Catherine
Zeta Jones o Monica Bellucci. Comunque, qui c'è del mistero
e in qualcosa di strano devo pur cominciare a credere. Che diamine,
deve esserci qualcuno. Chi mi ha rifatto il letto?" Un segnale
acustico intermittente venne dalla cucina. Andò a vedere.
La caffettiera collegata a un timer borbottava. Beh, era quello
che ci voleva. Si guardò intorno, il caffè espresso
era uscito completamente, attese, il bip riprese implacabilmente
a suonare. Non lo raggiunse nessuno. Spense il Caffedrin e se
ne servì due volte in una elegante tazzina quadrata Ocki
design. "Ci fosse una cosa come tante altre qui dentro!".
Sorbito il caffè, cominciò a ispezionare ogni angolo,
frugando questa volta dappertutto con cura. Nei cassetti della
scrivania dello studio trovò un pacchetto di sigarette
e un accendino a benzina (ne accese una). Fumava e sorrise pensando
che se poteva fumare, allora non era nemmeno entrato in un film.
Ormai non si vedeva più fumare nessuno nelle pellicole.
Anzi, tra un po' sarebbe finita come nel romanzo di Arthur Clarke,
quello sul recupero del Titanic che inizia così, con alcuni
personaggi impegnati in una professione singolare: rimuovere
tutte le sigarette fumate nei film, togliendola perfino di bocca
ad Humphrey Bogart in Casablanca. Ahhh
Che orrore! Magari
un giorno lo faranno anche coi libri (e questo passo del mio
racconto, zac, via). Finalmente trovò dei documenti. Un
passaporto e una patente magnetica, degli estratti conto e carte
di credito illimitate.
Restò
a lungo sospeso, di sasso, sentì freddo, poi caldo
Non poteva crederci: su ogni documento c'erano le sue generalità.
Nome e cognome, data e luogo di nascita, fotografie, tutto corrispondeva.
Quanto alla residenza però non v'era più indicata
quella di Milano, bensì quella di Rue de Charenton, Paris.
Nella mente di Francesco apparve il ricordo del quartier Daumesnil,
il palazzo fine Ottocento e l'appartamento di 253 metri quadrati.
"Cos'è, un trapianto di ricordi come in Blade Runner?".
Un fruscio di ventola attirò la sua attenzione. Il computer
era acceso. Mosse un po' il mouse wireless e lo schermo a cristalli
liquidi con il modulatore interferometrico a iridescenza si illuminò.
Lo screensaver era quello da lui impostato - non sapeva meglio
definirla che così - nell'altra vita: una Maserati Boomerang.
Provò a inserire la sua password ed ebbe accesso. Vi trovò
i suoi files, tutti. Davvero non capiva. A questo punto prese
il telefono, compose il numero di un amico. Libero, ma non rispose
nessuno. Fece altri numeri noti, ma nessuno rispose. Ne fece
allora qualcuno a caso, e gli risposero persone che non conosceva,
a cui non avrebbe saputo davvero cosa chiedere della sua nuova
condizione senza indurli a pensare a uno scherzo e riagganciare.
Andò su Internet. La sua casella di posta elettronica
era vuota. Navigò un po', ma non trovò nulla di
interessante: i siti preferiti erano al loro posto, gli indirizzi
che ricordava si collegavano a pagine già note, le news
dal mondo erano più che attendibili. Silenzio di Saddam
Hussein. Gli Usa: Il dittatore iracheno l'indomani dalla sua
cattura non collabora e non parla. Intanto continua la guerriglia:
2 attentati con 8 morti. Spense. Prese da un cassetto una chiave
d'auto, a vedere dal portachiavi con il marchio alato, sicuramente
della Aston Martin. Francesco aveva deciso di raggiungere il
primo paese, di incontrare gente che lo aiutasse a capire cosa
fosse successo nella sua vita.
Tornò in camera per vestirsi. Rivide il letto misteriosamente
rifatto. "Mah! Di tutte le anomalie della giornata, questa
è in fondo la minore
però mi dà molto
fastidio, come se qualcuno qui non volesse farsi vedere pur spiandomi
e manifestandomi la sua presenza!". Entrò nella cabina
armadio, praticamente un'altra stanza. Per vestirsi avrebbe avuto
soltanto l'imbarazzo della scelta: lì dentro era pieno
di capi firmati, pregiati, di classe, e avrebbe per un po' di
giorni potuto trascorrervi anche sei ore al giorno per conoscere
il suo nuovo guardaroba, provare, riprovare e vestirsi e rivestirsi
come il "Beau" Brummell. Lui però aveva fretta,
almeno quella mattina, fretta di sapere, così non vi si
trattenne più del necessario e optò quasi subito
per un abito in tweed grigio del sarto parigino Patrick Hollington,
uguale il berretto floscio, camicia bianca con colletto classico
e quindi cravatta, dello stesso tweed. Francesco si ammirò
nello specchio. "L'eleganza non esiste più se la
si nota, disse Jean Cocteau. Mi sembra una scemenza oggigiorno.
L'eleganza, rara di questi tempi, si nota ormai sempre e comunque.
Bene, andiamo dunque a farci notare".
Giornata luminosa di sole e vento, tiepida e nitida, vitrea,
carica di seducenti odori dal mare e dalla natura. Francesco
salì sulla Aston Martin. Neanche nel migliore dei sogni!
Il lusso, l'odore del cuoio Connolly inebriavano. Aprì
il cassettino del cruscotto, cercò e trovò il libretto
di circolazione. L'auto era di sua proprietà! Gli girò
la testa, si paralizzò qualche minuto con gli occhi sgranati
nel vuoto. Non sapeva davvero che cosa pensare.
Nell'altra vita aveva guidato soltanto utilitarie, si sentì
perciò un po' imbarazzato ma poi, d'un tratto, fece le
cose giuste con estrema scioltezza, come se non avesse mai guidato
altro. E partì. Percorse il vialetto e col telecomando
aprì il cancello automatico. Scese a guardare la targhetta
del videocitofono: c'era il suo nome. Da che parte andare? Che
ne sapeva della "fine del mondo", come in bretone si
chiamava appunto la Bretagna? Sì, ma che ne sapeva poco
prima anche del nome "Pen ar Bed" venutogli in mente
e della lingua bretone in generale? Doveva abituarsi a convivere
con quella sorta di onniscienza che sbucava all'improvviso. "A
questo punto, se me lo chiedo, devo anche sapere da che parte
andare e verso dove". E infatti
Prese in direzione
della Pointe du Raz. Nel caricatore del cd disponeva dei Kraftwerk
e dei Swingle Singers, Tour de France e Jazz Sebastian Bach.
La strada era tortuosa, ma bella, costeggiava l'oceano su e giù
tra le spiagge e gli Abers, i larghi fiordi bretoni, e la macchina
era uno sballo. Andò inizialmente senza tirare, con prudenza,
incrociando - grazie a Dio! - altre automobili normali, normalissime,
con persone sopra. "Di certo non mi trovo in Paradiso. Se
fosse così, non ci sarebbe quella 106, o quel vecchio
Volkswagen Van
a meno che non sia l'anima di qualche hippy.
Anima poi! Non mi pare che siamo anime, ma tutti belli in carne
e ossa. A meno che nell'aldilà non siamo tutti una sorta
di replicanti. Non c'era anche quella storia della resurrezione
dei corpi? Sì, ma dopo il giorno del Giudizio! Che ci
sia già stato e nessuno se n'è accorto? E comunque
non si spiega la 106! O ci sono anche qui i miliardari ma snob
o spilorci per cui un'auto, meglio economica, deve giusto portarli
da qualche parte?". Si trovò davanti una Clio guidata
da un vecchio. Andava troppo piano. Francesco si trovò
a scalare, accelerare e superare prima ancora di pensarlo e già
la Aston Martin sibilava a centodieci. Ebbrezza del rischio e
massimo autocontrollo, Francesco cominciò a guidare da
dio, curva dopo curva, l'adrenalina saliva procurandogli la pericolosa
assuefazione della velocizzazione. Su un lungo rettilineo, da
60 a 140 orari in cinque secondi, un cervo saltò fuori
dalla foresta sulla carreggiata: frenata, derapata e inversione
di marcia in tre secondi. Salvi tutti e tre: lui, il cervo e
l'Aston Martin. "Caspita! Sono un fico della madonna! Come
cavolo m'è riuscito? Non avevo mai fatto cose del genere
".
Riguadagnò velocità, agli ottanta ripeté
la derapata per invertire nuovamente il senso di marcia e tornare
nella direzione di prima: manovra di nuovo perfettamente riuscita.
Sì, era proprio capace. Riprese la corsa tra villaggi
di piccole case bretoni tutte bianche e le imposte colorate,
in pietra nuda, in scisto rosso, in granito rosa, coi tetti in
ardesia, qualcuno di paglia. Francesco non riusciva a fermarsi
per il piacere mai prolungato abbastanza di guidare quell'auto
V12 da 450 cavalli, e di scoprire se stesso così inaspettatamente
bravo in tutte le tecniche avanzate di guida sicura e veloce.
Sembrava non avesse mai fatto altro nella vita che il pilota
o il collaudatore.
La mente di Francesco andava a mille. Non aveva mai fatto alcun
corso speciale di guida, eppure
"Perbacco! Gli alieni
mi hanno superdotato! Cerebralmente, almeno. Massì, il
resto va bene anche così, nella media. Uhm, ma vuoi mettere
la sorpresa di togliersi le mutande e lei, oops, però!
Se vedo gli alieni, gliene chiedo un altro più generoso
ah, ah". Finalmente si fermò a Vannes. Parcheggiò.
Si guardò intorno, si incamminò. C'era gente che
passeggiava, che entrava nei portoni e usciva dai negozi, che
guidava automobili e camioncini, che portava il cane a spasso
e al guinzaglio, con la paletta e il sacchetto, che leggeva il
giornale sulle panchine graffitate, che vendeva il pane e chi
comprava la baguette e il filone francesi, che sostava nei bar
per un cappuccino e una brioche
Bambini, ragazzi, giovanotti,
adulti, anziani, uomini e donne. Una zingara mendicava seduta
per terra davanti a un supermarket. Insomma, ovunque c'era gente
normale, gente di una cittadina. "Allora, escludo di trovarmi
in paradiso, dal momento che non avrebbe senso trapassare, anzi
passare a miglior vita continuando a portare tre volte al giorno
il cane a fare i suoi bisogni e a raccoglierli, o a fare una
vita di lavoro come quella del panettiere o del barista, dell'autista
o del commerciante. Né quella di merda del mendicante.
Poi penso che non dovrebbero esserci anziani o bambini in paradiso:
dovremmo avere tutti un'età eternamente ferma per incanto
e compresa tra i 20 e i 40 anni, mai meno e mai di più
A meno che non sei come David Bowie anche a 57 anni, o Catherine
Deneuve. Oddio, così la penso io. Poi, da vivi, che ne
sappiamo del paradiso? Dovremmo saperne da morti. E siccome continuo
a non saperne anche adesso, vuol dire che non sono morto. No,
secondo me regge più l'idea del rapimento alieno. Chissà
quando hanno cominciato a rapirmi? Fin da fanciullo? Questo spiegherebbe
perché sono stato un bambino strano, direi un po' autistico.
E spiegherebbe anche il mio interesse a vent'anni verso gli Ufo
e gli alieni, così che divenni volontario inquirente per
il Gruppo Ufologico Italiano. Non successe mai nulla però,
non vidi mai un Ufo o un alieno, non ebbi mai conferme dai miei
studi se non che sui falsi, le furberie, le frodi e le personalità
border. E i pochi veri misteri residui mi pare siano rimasti
sempre tali. Invece, alla fine
Allora esistono! Cosa sono,
una sorta di loro eletto? Magari hanno bisogno di me per qualche
loro piano. Bene, se così è, aspettiamo che si
facciano vivi".
Francesco sentì fame, si rivolse a un passante in impeccabile
francese. "Scusi, non sono del posto: mi saprebbe gentilmente
indicare un bistrot non troppo lontano?".
"Di Parigi, eh? Si sente dall'inflessione. Più avanti,
a due trecento metri ce n'è uno proprio su questa strada".
"Grazie, buongiorno"
"A lei"
"Che bel francese, come mi viene spontaneo, fluente, pure
parigino! Io sapevo bene solo l'inglese, solo quello", pensò.
Giunse al bistrot, entrò, salutò, sedette a un
tavolo. Venne la cameriera, giovane, sì o no venti o ventun
anni, molto carina, finalmente donna e ancora bambina. Niente
male. Anzi, proprio bella. Capello corto ma non troppo, nero,
volutamente arruffato qua e là, grandi occhi neri, ciglia
nere lunghissime, sopracciglia sottili e brevi, pelle bianchissima,
un seno a dir poco prosperoso, bel corpo, ovale ideale del volto,
naso piccolo e ben fatto, bocca che hai subito voglia di baciare
"Buongiorno, cosa posso servirle?"
Francesco si tolse il berretto e non fece in tempo a restituire
il saluto
"Ma lei è François Ivaldi, la rockstar italiana!"
"Io
ehm
Mi chiamo Francesco Ivaldi a dirla giusta".
"Sì, ma qui in Francia la chiamiamo François
L'ho vista l'anno scorso all'Olympia. Sono una sua fan".
"Di chi, di me?"
"Siiii
Mi piacciono anche molto i Noir Desir, Michel
Fugain e Skin. Ma lei, di più. Vero che mi fa un autografo?"
Francesco mise da parte il problema della rockstar, non si interrogò
subito a fondo in proposito, ma sentì altra urgenza: la
guardò intensamente, la desiderò sopra ogni cosa,
passione, amore a prima vista. Con bella, intensa voce impostata
e bassa cominciò a recitarle versi di Pedro Salinas. "Adesso
t'amo / come il mare ama l'acqua:/ dal di fuori, e dall'alto
/ in essa senza tregua / facendosi tempeste, fughe,/ ristagni,
anfratti, bonacce./ Che frenesia è l'amarti! / Che entusiasmo
d'alte onde, / quanti struggimenti di spuma / che vanno e vengono!
/ Una calca di forme fatte, disfatte, / che galoppano scomposte
".
Si interruppe perché i versi qui prendevano un'altra piega,
fuori luogo, di un amore più quieto, affidato, dove più
oltre dell'onda e della spuma cerca l'amore il suo fondo, laddove
il mare fa pace con l'acqua, quello sicuro di non finire quando
finiscono i baci, sicuro di non morire com'è sicuro il
grande amore dei morti. E quando mai sarebbero finiti i baci
con simile creatura? "Galoppano
scomposte" soggiunse
quindi per concludere come un'eco.
"E' una sua nuova canzone? Non la conosco. E' bella, sa."
rispose lei amabilmente.
"E'
una poesia; non è mia, ma gliela dedico. Lei è
bellissima e, chiedo scusa, ma sento di essermi preso una fulminea
sbandata, una di quelle che non si può, non si deve aspettare
a confessare. Anzi, ti prego, diamoci del tu o mi farai sentire
ancora più vecchio di così. Come ti chiami?"
"Ah, ah, lei, cioè tu mi vuoi creare dei problemi
con le amiche. Non mi crederanno più quando dirò
loro che François Ivaldi non solo è venuto nel
mio bistrot
e fin qui può passare
ma mi ha
in due minuti dedicato una poesia, mi ha chiesto di dargli del
tu e che mi ha pure fatto una dichiarazione su due piedi, senza
ancora nemmeno sapere il mio nome, che comunque è Martina".
" Su due piedi forse, ma non più per terra, e tremando
dolcemente col cuore in gola, in una ondata di calore che tende
ogni nervo come corda di un arco verso il cuore selvaggio del
mondo".
"François
" lo richiamò con un dolce
imbarazzo.
"Martina, non posso chiederti il sacrilegio di portarmi
qualcosa e servirmi. Ti chiedo invece di venir via con me, adesso,
o più tardi, quando vuoi. Vorrei offrirti il pranzo, parlare
e parlare con te, non smettere mai di guardarti negli occhi.
Sai, ho una barca ormeggiata qui vicino. Se ti va, domattina,
potremmo andare alla Belle Ile. Non dirmi di no! Ah
No,
guarda, non è come potresti pensare. E' solo che ti ho
visto e ti ho amata. Scusa, magari hai un fidanzato o comunque
di me non te ne potrebbe giustamente importare nulla".
Martina sorrise. "Invece sarebbe stupido da parte mia non
approfittare della situazione, Ivaldi! Non sono mai stata indifferente
alla tua voce, alle tue canzoni, al tuo aspetto
Sai com'è,
da fan
certi pensieri si fanno. Vieni alle due. Ho il cambio
a quell'ora. Per intanto va bene un pranzo. Poi, per domani,
si vedrà
"
Lui si congedò con un elegante saluto arabo portando la
mano destra alla mente, bocca, cuore e svolazzo. Pur sapendo
che pochi lo conoscevano in Occidente, l'aver toccato i tre punti
del corpo e non uno o due soltanto fu un modo per dirle che lui
era già completamente sua.
Francesco, a due ore ancora dall'appuntamento, vagolò
per Vannes pensando alla somiglianza straordinaria di Martina
con una ragazza conosciuta anni prima, l'unica di cui si fosse
mai veramente innamorato. Solo che se ne accorse troppo tardi,
non essendo stato in grado, per eccesso di saggezza, di lasciare
per lei la sua fidanzata. Che poi, questione di tempo, finì
soltanto che perse entrambe. Aveva davanti a sé una occasione
incredibile di recupero, finalmente un antidoto a quel tossico
ricordo che nell'altra vita lo aveva ormai ridotto sull'orlo
dell'alcolismo. E cominciò anche a riflettere sulla questione
della rockstar. Lui aveva per molto tempo da ragazzo cantato
e suonato diversi strumenti, chitarra e basso, tastiere e sax
tenore, e aveva effettivamente desiderato di diventare una star
della musica rock. Dopo aver composto centinaia di canzoni, quasi
tutte in lingua inglese, suonato dal vivo nelle solite birrerie
con gruppi diversi, e inciso qualcosa in alcune raccolte underground
su vinile, aveva infine mollato a ventisei anni. Era stato bravo,
cantava bene, aveva avuto una bella voce, un po' alla David Sylvian,
ma in Italia certa musica "alternativa" non incontrava,
specialmente se cantata, anche se benissimo, in inglese ma da
un italiano in Italia. Ricordò un discografico a cui aveva
sputato in faccia quando questi gli disse: "No, no
Ci vuole un buon vecchio gruppo all'italiana, come I Nuovi Angeli,
quelli sì". Anche i demo spediti all'estero a etichette
indipendenti inglesi, francesi, belghe e olandesi non avevano
però portato a niente. "Quindi, com'è possibile
che io sia ora la rockstar che avrei voluto essere, ma non fui?
Ho escluso la morte e il paradiso, il patto col diavolo
Forse è vera la teoria dei mondi paralleli. Qualcosa come
"Sliding doors", un po' più complessa però.
Ma dove si sarebbe sdoppiata la mia vita? Non certo salendo o
perdendo un metrò. Forse nel sonno, in qualche sogno".
Dieci minuti prima delle due Francesco era fuori dal bistrot.
Aspettò fino alle due e un quarto. Martina uscì.
Francesco le aprì lo sportello della Aston Martin.
"Martina, scusa, ma mi devi dire tu cosa preferisci mangiare
e dove. Io non sono di qui se non che da poco".
"Sono vegetariana".
"Vegana?"
"No, solo vegetariana".
"Se ti piacciono i formaggi avrei un'idea
Ho visto
un posto girando stamattina"
"Fai tu allora, per me va bene"
Fu uno spuntino in un bar à fromage. Boulette d'Avesne
a pasta molle, Gaperon di Auvegne aromatizzato all'aglio, dell'Arsivò,
una formaggetta di latte di capra stagionata nelle foglie di
noce, ciliegio, gelso e fico, del St. Maure de Touraine e una
bottiglia di vino rosso Chateau de Paillet Quancard del '96.
Francesco fu galante, affascinante, divertente, coltissimo, praticamente
un irresistibile uomo di mondo. Ed era ancora carino. Le parlò
anche di viaggi mai fatti. Cioè, era come se avesse due
memorie diverse. Il vecchio sé non era mai andato all'estero
oltre la Svizzera italiana e la Costa Azzurra, San Marino e San
Pietro in Vaticano, mentre il nuovo ricordava di viaggi lungo
la Panamericana in camper, poi nel Mali, a Mosca, in Nuova Guinea
e Tasmania, Argentina, Amazzonia e Perù, Honduras, Libia,
Uzbekistan, Londra, Dublino e Budapest e avanti, come se davvero
vi fosse stato. Ne raccontava con garbata cultura, suscitando
davvero interesse e divertendo con alcuni aneddoti personali.
E quando sei uno che ha viaggiato, e viaggia, è praticamente
fatta!
"E adesso dove mi porti?" chiese Martina dopo che Francesco
ebbe pagato il conto.
"Che ne dici della foresta di Brocéliande alla ricerca
della tomba di Merlino?"
"Noooo
E' tardi per fare quella cosa lì. Portami
a casa tua piuttosto. O qui sei in albergo?".
"No no, ho una casetta. Ci andiamo eccome!".
In macchina Francesco ebbe un attimo di esitazione. Non era sicuro
di saper ritrovare la strada per tornare alla sua nuova villa
che ruota come un girasole. Che figura stava per fare! Poi decise
di affidarsi all'altro sé. Girò la chiave e via.
In effetti, aveva preso le strade giuste, riconoscendole come
da tempo già molte volte praticate. Quando arrivarono,
Martina non smetteva di credere ai suoi occhi.
"Ma quanto sei ricco tu?"
"Mah
in effetti
" farfugliò Francesco.
Entrarono in casa, lui le preparò un parisian cocktail.
"Un terzo di gin, un terzo di bicchiere di vermouth dry,
un cucchiaio di crème de cassis, ghiaccio a cubetti, mescolare
piuttosto forte, lasciar riposare uno o due secondi, riprendere
a mescolare ma lentamente. Servire subito".
"C'è qualcosa che non sai dire o fare? Che bel pianoforte!
Mi suoni qualcosa?"
Nel centro del salone un Bosendorfer nero a coda. Francesco aveva
sempre desiderato un pianoforte, ma non aveva mai avuto lo spazio
adeguato anche solo per noleggiarne uno verticale, così
si era sempre accontentato di tastiere da mettere via dopo l'uso.
Alla richiesta fu colto quasi dal panico. Non suonava da tredici
anni. E anche allora era stato capace più che altro di
suonarvi qualche suo pezzo per registrare le parti di piano in
studio, così, a orecchio. Ma si affidò nuovamente
all'altro. Si accomodò sullo sgabello e le sue mani cominciarono
a suonare "Le onde" di Ludovico Einaudi, poi, tra movenze
ed espressioni ora appassionate ed ora malinconiche, "the
heart asks pleasure first" di Michael Nyman. Qualunque cosa
avrebbe voluto suonare, Francesco si rese conto che l'avrebbe
potuto fare. Smise incredulo, quasi impaurito. Martina fu teneramente
attratta da quel suo smarrimento, gli passò una mano sui
capelli, poi un'altra carezza e ancora carezze e baci. Senza
smettere di baciarsi, toccarsi, si spogliarono. Lui la prese
in braccio, l'adagiò sul bordo del letto e le passò
la fiamma su e giù lungo l'interno delle cosce, dardeggiò
la lingua sul clitoride. La vulva profumava delicatamente di
madreperla. Non si fermava in nessun punto. Mordicchiò
con leggerezza i capezzoli e le areole, tornò in basso
schioccando la lingua con tocco leggero prima del vellutato "no".
Martina si mise alla francese, massaggiò il suo perineo,
poi tra un tocco di farfalla e un vortice di seta, baciò
a lungo l'asta di giada. Lei venne. Ricominciarono. Lui sopra,
dietro, à la parasseuse, seduti uniti abbracciati, yab
yum, piacere trattenuto a lungo nella gioia travolgente, incontenibile
sorriso di mille onde tantriche, con il petto premuto uno contro
l'altra e all'universo intero. Con lei sopra, il controllo dell'angolo
e della profondità della penetrazione, la velocità
crescente della spinta, occhi negli occhi, i seni nelle mani
di lui, giunse lenta a invaderli l'estasi, amore, amore, amore,
un raro, simultaneo orgasmo. Energia che esplode più facile
se ne vende la maggior parte, ma solo questo è l'Immutabile
che unisca due vite così. Fecero ancora l'amore, a lungo.
Passarono tre ore come un attimo.
"Devo tornare a casa. Mi accompagni? Però possiamo
vederci più tardi. Ti va di andare al cinema?"
Francesco la riaccompagnò. Si sarebbero rivisti più
tardi. Tornò quindi a casa. Pensando a Martina, si sedette
di nuovo al pianoforte e cantò una canzone di Ivano Fossati.
"Bella, che ci importa del mondo? Verremo perdonati, te
lo dico io, da una bacio sulla bocca un giorno o l'altro. Ti
sembra tutto visto, tutto già fatto, tutto quell'avvenire
già avvenuto scritto corretto e interpretato da altri
meglio che da te. Bella non ho mica vent'anni, ne ho molti di
meno e questo vuol dire, capirai, responsabilità, perciò
volami addosso se questo è un valzer, volami addosso qualunque
cosa sia, abbraccia la mia giacca sotto il glicine e fammi correre,
inciampa piuttosto che tacere e domanda piuttosto che aspettare,
stancami e parlami, abbracciami, guarda dietro le mie spalle
e poi racconta e spiegami tutto questo tempo nuovo che arriva
con te. Mi vedi pulito, pettinato, ho proprio l'aria di un campo
rifiorito e tu sei il genio scaltro della bellezza che il tempo
non sfiora. Ah, eccolo il quadro dei due vecchi pazzi sul ciglio
del prato di cicale, con l'orchestra che suona fili d'erba e
fisarmoniche. Ti dico bella che ci importa del mondo
stancami
e parlami abbracciami, fruga dentro le mie tasche e poi perdonami,
sorridi, guarda questo tempo che arriva con te
guarda quanto
tempo arriva con te
". Dunque, era di nuovo, finalmente
innamorato. Che bel giorno, che benessere, che felicità!
Francesco ricordò la faccenda della rockstar. Andò
a vedere tra le migliaia di dischi e cd. Cercò a lungo,
spesso distratto dalla scoperta di avere questo o quel titolo,
anche rarità, vere e proprie chicche per un appassionato
di musica, roba di valore per i collezionisti. I microsolchi
originali dei Magma! Infine trovò i suoi dischi. Francesco
Ivaldi: L.P.me!, Daimon, Underset, Useless for business
"Non ci posso credere". Guardò i titoli. Erano
proprio le sue canzoni. On razor's edge, Wheels within wheels,
Inwards outwards, Love is between, It's a way to move
C'erano tutte. Ma ancora più stupefacente fu leggere i
credits. Aveva inciso quei dischi per etichette come la Virgin,
con alcuni dei suoi vecchi musicisti, altri session men italiani
e inglesi decisamente quotati. Qua e là ospiti coi quali
da sempre aveva vagheggiato di suonare una volta almeno nella
vita: le chitarre di Robert Fripp o Adrian Belew, la regia del
suono di Brian Eno, le percussioni di Talvin Singh o di Evelyn
Glennie, la batteria di Bill Bruford, il basso fretless di Mick
Karn, le tastiere di Mike Garson, un duetto con Battiato, il
backing vocal di Alyson Goldfrapp, perfino il trautonium di Oskar
Sala prima che morisse, e il theremin di Lydia Kavina, pronipote
e allieva di Leon Theremin. "Mio Dio!" esclamò
Francesco, "questo l'ho registrato negli studi di Peter
Gabriel!". Mise nello stereo i suoi dischi e i suoi cd,
saltando sempre più entusiasta da uno all'altro, da un
brano all'altro
Erano proprio le sue canzoni, suonate,
arrangiate mostruosamente bene. Ed erano belle davvero, proprio
come sapeva che sarebbero state se suonate dalla gente giusta,
in studi di registrazione e non per lo più lo-fi con il
quattro piste a cassette. Fuori imbruniva. Si sentì stanco,
quello stato di esaltazione e di euforia cominciò a infastidirlo
e smise di ascoltarsi. Quel giorno aveva fatto il pieno di gioie
e sentiva che non avrebbe retto oltre senza prendersi un attimo
di tregua e riflessione. Prese una bottiglia di Scotch, andò
nel giardino Zen, sedette per terra vicino a un'isola di pietre.
Cominciò a ricomporle. "Tutto questo è stupendo,
ma ho bisogno di potermelo spiegare! Non è ragionevolmente
possibile: sonno e sogno, morte e paradiso, rapimento e premio
di alieni, multiverso
Qual è la verità? Quando
stasera sarà ora di chiudere gli occhi e dormire, riuscirò?
Domattina dove potrei svegliarmi di nuovo? Qui, nella vita di
un solo giorno? O non piuttosto nell'altra vita, quella sì,
reale e garantita quanto i 37 anni che vi ho vissuto e i quattordicimila
sonni e risvegli senza prodigi come questo. Oppure devo già
temere le glabre teste a pera rovesciata, i grandi occhi a mandorla,
neri, gli esili corpi di pelle grigia dei reticuliani chini su
di me stanotte prima del rapimento col raggio traente sul disco
volante
o come si dice in gergo, abduction
".
Un passo, un'ombra, due belle scarpe. Francesco alzò spaurito
lo sguardo. "Un signore sui cinquanta, di aspetto molto
distinto, ben vestito, abito e gilet di Ermenegildo Zegna, pochette,
cravatta con motivi macclesfield
"Buonasera signor Ivaldi"
Francesco
indugiò, si sentì per un attimo impacciato "Buonasera
E' lei dunque, dunque è lei il proprietario di questa
casa e, insomma, tutto il resto
Magari mi sa anche dire
come mai io sia finito qui! Forse uno scherzo, è un programma
televisivo, ci sono state telecamere nascoste?". A quest'ultima
ipotesi Francesco non aveva effettivamente pensato prima. Sì,
ma come ce l'avevano portato lì? Gli tornò in mente
Patrick MacGoohan, "Il Prigioniero" e il Villaggio.
Spruzzando quindi del gas soporifero dalla serratura di casa
sua, forzando la porta, entrando e sequestrandolo? Sapeva di
fantascienza e spionaggio. E lui non si era dimesso da nessuna
"Organizzazione" segreta. Eppoi, ricostruire i suoi
dischi, come avrebbero potuto farlo?
"No. Questa è casa sua. Le automobili sono le sue.
Anche la barca e l'appartamento a Parigi sono suoi. Ed altro
ancora che lei non sa ancora di avere. Cioè in breve qualunque
cosa lei desideri. Se domattina vorrà una Bentley o una
Ferrari, perfino una Bugatti, non ha che da desiderarlo. Vuole
un aereo? Lo ha già. Donne? Quante ne vuole, chi vuole.O
come le vuole. Voglio dire, ha presente Webbie Tookay
la
modella-mosaico virtuale con le gambe della Schiffer, il seno
di Naomi Campbell, lo sguardo di Isabelle Adjani
Ma vere,
non fatte di bit! Orge? Che c'è di male? Non fanno mica
danno a qualcuno? Anzi, è pur sempre amore. Vuole andare
in crociera in Antartide? Il biglietto è già nel
primo cassetto del suo comodino, quello a sinistra. O preferisce
un soggiorno nella Zvezda che ospita gli astronauti della Stazione
Spaziale Internazionale? Vede, al polso ha un bellissimo Jaeger-Le
Coultre che prima non aveva. Stamattina ne ha visto uno in quella
gioielleria, le è piaciuto ma non ha pensato di comprarselo.
Non importa. Vede, ne ha comunque avuto uno. Vuole parlare norvegese,
o l'isizulu dello Swaziland
Quando sarà il momento,
scoprirà di saper parlare in qualunque lingua
".
"E Martina?"
"Martina è vera, ed è vero amore, no? Anche
lei è vero. Io sono vero. Siamo tutti veri, tutto è
reale qui. Più reale del reale e
a tempo illimitato!
Può anche sposarla, se crede".
"Mi dica per favore che storia è questa?"
"Non le piace?"
"Mi piace fin troppo. Vorrei soltanto capire".
"Ebbene, questo è, come d'altronde lei ha già
pensato, il Paradiso. Sissignore. Si stupisce, pensa che non
possa essere così dal momento che anche qui c'è
gente subalterna che lavora, che mendica, che vive in piccoli
appartamenti, che porta a spasso i cani tre volte al giorno o
guida una 106 invece che le auto da sogno come le sue
Ma
quelli, attualmente, sono infatti all'Inferno, o al Purgatorio.
Quanto al resto, beh, diciamo che tutto è basato su una
copia perfetta del Mondo".
"Ma
Non capisco. E chi sta nella condizione di Inferno
o Purgatorio non può più cambiare, deve restarsene
così senza possibilità di riscatto? Sarebbe peggio
che in vita".
"Eccolo il vecchio Francesco di sinistra! A parte che l'Inferno
dovrebbe essere effettivamente peggio che in vita
Ma la
risposta è no. Tutto può cambiare. Per chi è
in questo Paradiso, si può accedere a livelli superiori
di Paradiso, oppure, per gli altri, tornare sulla Terra, riprovarci.
Anche chi è in questo Paradiso può comunque tornare
sulla Terra, se proprio gli manca, o pensa di avere qualche buona
missione da compiere".
"E io, com'è che ho guadagnato il Paradiso?"
"Beh, lei era dopo tutto una bella persona. Ha avuto una
famiglia drammaticamente impoveritasi, negativa, lavorava per
i disabili, pianse a vedere le fosse comuni di Srebrenica o quando
l'Uomo Elefante recitò il Salmo ventitreesimo nel film
di Lynch. E non smise mai di leggere e farsi una gran cultura.
Nonostante gli sforzi profusi, non le è però mai
riuscito di riscattarsi a causa di un mondo spietato, ottuso,
disattento; lei non era, non fu mai abbastanza egocentrico. Secondo
noi ha sofferto il giusto per meritarsi questo".
"Secondo noi chi?"
"Questo non posso dirlo".
"E lei chi è, un angelo?"
"Una specie. Diciamo un messaggero".
"E quanto durerà tutto questo?"
"Tutto il tempo che lei vorrà. Anche per sempre".
"Vuol dire per l'eternità?"
"Già".
"Un'ultima cosa: come sono morto? Nel sonno?"
"Non proprio. Ieri notte, permettimi di darti del tu, qui
la faccenda si fa delicata e ci vuole un po' di amicizia, hai
avuto un brutto, bruttissimo risveglio alle tre. Dispnea. Un
forte, forte attacco d'asma. Non respiravi, ancora mezzo addormentato,
spaventato, dovevi scendere al più presto dal letto per
prendere e spruzzarti la bomboletta del broncodilatatore. Ti
sei agitato, rigirato, hai perso l'orientamento, non ti sei accorto
Purtroppo hai scavalcato dalla parte sbagliata il letto a soppalco,
dove non c'era la scaletta. Sei volato solo quei due metri, ma
hai battuto malamente il capo contro il bordo della scrivania
dabbasso".
"E sono deceduto così, sul colpo? Ma è una
cosa a dir poco grottesca
Non è giusto morire così!
Un ictus sarebbe stato più dignitoso."
"Eh sì. Strana fine. Nella nostra decisione anche
questo ha contribuito, sai
Beh, ora sei qui. Magari, infine,
ne può essere valsa la pena".
"Uhm
Effettivamente
sì. Direi di sì.
Ma chi mi ha scoperto, dal momento che vivevo da solo e sfidanzato?"
"In verità non sei morto subito. Ti sei rialzato,
hai barcollato, sei uscito sul pianerottolo, poi sei ulteriormente
rotolato giù dalle scale".
"Il colpo di grazia?!"
"Eh!"
"Ah! Che scalogna
"
"Ora sei più tranquillo? Posso andarmene?"
"Sì, certo. Ma ti posso rivedere? Non si sa mai.
Avessi bisogno di chiedere qualche altra delucidazione
".
"Se lo desideri, pensalo e aspetta".
Il Messaggero si voltò, camminò, se ne andò.
"E' sera! Devo andare da Martina. Che splendida serata,
fresca, tagliente, stellata. Mette voglia di cose nuove, lontane
e segrete".
Francesco andò a prendere la macchina. Si sorprese. L'Aston
Martin non c'era più. Al suo posto però una Porsche
Carrera GT-2001, 2 posti secchi, tettuccio abbassato a scomparsa.
Proprio quel che ci voleva in una simile serata. Le chiavi erano
al volante. Salì a bordo, strinse il volante con una mano,
con l'altra la cloche di rivestita di alluminio del cambio. In
un attimo sentì crescere la piena consapevolezza della
situazione, e fu oltremodo felice. Per sempre una vita così!
Una gioia, una levità, una pace immensa, una scarica di
endorfine benedette percorsero il suo essere fino a farlo sentire
immateriale. Si librò dolcemente in alto, sul soffitto
di una stanza d'ospedale. Il suo corpo era laggiù, sul
lettino, con degli elettrodi sul capo e sul torace. Un'esperienza
extracorporea, di pre-morte? Ma non era già morto? Un
medico accorse chiamato da un infermiere. L'elettroencefalogramma
si fece improvvisamente piatto. Il quarto livello di coma divenne
morte cerebrale. Il medico disse che non c'era più niente
da fare. "Spenga tutto. E' andato". Con smisurata angoscia
Francesco, in quel corpo astrale che ancora gli rimaneva, capì
di aver vissuto soltanto un sogno così vivido e reale
o realistico a causa del coma profondo. Che amarezza! E intanto
anche lui svaniva
svaniva. Sentì ancora una voce
"Morire cadendo dalle scale, forse addirittura da un letto
a soppalco
poveraccio!". E Martina? Martina, almeno
Martina! Nero
Sempre più nero, completamente nero,
soltanto nero che avvolge, intrauterino, caldo, e silenzio, profondo
senso di pace
Chissà? Chissà?
(Segue
pagina completamente nera, quasi un calligramma. Cosa c'è
dopo resta dunque un mistero insondabile ai vivi. Oppure, il
nulla. Chissà?). |