L'alba mi stava rincorrendo,
come sempre, mentre anche questa volta rientravo, incerto, verso
casa. La strada lucida svoltava, e sempre mi prendeva una fastidiosa
sensazione nell'attraversare quell'angolo scoperto, eppure c'ero
abituato, non ho mai incontrato nessuno, solo topi e gatti a
volte, ma quella che credevo di conoscere era la strada che non
avevo mai visto.
Ho passato la sera e
la notte, poi, al giornale aspettando le "ultime" per
la "ribattuta" delle tre, quell'edizione che finiva
nelle edicole cittadine. Vent'anni di questa vita non mi avevano
ancora abituato a svoltare gli angoli. Il portacenere a fianco
del videoterminale era colmo. La prima edizione, sparpagliata,
aspettava di essere di nuovo riattestata, ma non ne avevo voglia,
aspettavo che il capo-redattore del turno mi desse il via, tanto
non succedeva mai niente, ma sì certo due hanno sbattuto
con la macchina, il solito "varesotto" che cercava
nelle buie, e ormai non più pittoresce vie del porto,
di spendersi le centomila a puttane, e regolarmente "lisciato"
del portafoglio, convinto che le nigeriame di viale Monza fossero
peggio di quelle di via Gramsci. No, io volevo, per una volta
tornare a casa più tardi, in mattinata, senza pioggia
e spazzini, forni e biosche, ma dopo essere corso al telefono:
"Sono Vito, dalla questura, dottore...", "Dai
dimmi, che c'è stato?",
"Dottore non le
posso dire, venga, ci vediamo sul portone, questa volta avrà
da fare stanotte, venga", "Non l'hai detto a nessuno,
solo io Vito?", "Dottore, se vuole, se non le interessa
chiamo Perdomi del Lavoro, okei", "No, dai, arrivo,
due minuti, arrivo"...
Alla svelta m'infilai
il soprabito scuro avendo a malapena il tempo di spegnere il
computer. Giù di fretta attraverso le scale, un passo
dopo l'altro, ansimando a tratti per non far troppo rumore. Non
ho mai capito perchè "sulla mezza costa della notte",
i gradini diventano sempre più alti e le sigarette sempre
più corte. Il vecchio tenente Pasquini direbbe che come
al solito penso troppo, ma in fondo ognuno fa il suo mestiere.
E forse questo è il mio.
Raggiunsi l'auto in fretta
e lasciandomi alle spalle la redazione ed il massacrante odore
di silicio, sfrecciai alla volta di un'innovazione che desse
un senso alla nottata. La strada correva umida, sotto al peso
delle ruote. Un'altra sigaretta. Ancora lampioni. Fu un viaggio
breve. Abbandonai la vettura in un parcheggio isolato vicino
al luogo dell'incontro e m'incamminai.
Ad un tratto arrestai
il mio passo. "Dottore" . Come "dottore"?
Vito non mi aveva mai chiamato in quel modo. Un omuncolo buffo,
semplice, di media estrazione. Decisamente non un galantuomo.
Quante volte lo avevo visto ad ore impensabili in locali di fama
certa... talmente palese da non lasciare nemmeno più il
beneficio della cosidetta "dubbia reputazione". Seduto
sempre come se l'avessero buttato nel posto in cui stava. Un
uomo decisamente non conforme allo standard del sistema. Eppure
un uomo particolare. Saldo a pochi principi, ai quali non sarebbe
mai venuto meno. Se c'era un cosa che sapevo sul suo conto, era
l'odio intrinseco verso le apposizioni. Verso il riguardo alle
strutture. Quante volte l'avevo sentito iracondo verso l'abbassare
la testa e mostrare riguardo, all'ingegnere tizio od all'avvocato
tale che gli si erano parati di fronte... Vito non avrebbe mai
chiamato nessuno "dottore". Affrettai nuovamente il
mio passo. Mi riproposi un tipico "Hai bevuto troppo...
o troppo poco". Ma un sorriso fastidioso e nervoso non accennava
ad andarsene, sfigurando il mio viso. Giunsi in vista del parking
celato dal complesso di corte Lambruschini. Il portone di Vito
si trovava proprio dietro l'angolo. Come si sà al destino
non manca certo l'ironia.
La mercificazione del
dolore non mi appartiene, io appartengo a quella parte di gente
che se ne frega del male, del dolore altrui, della sofferenza,
che di fronte al morto ammazzato grondo a braccia spalancate
che invoca la pietà che urla la moglie trattenuta da mani
mai completamente sincere, io me ne sbatto, la vera trinità
per me è il piacere, godere, pubblicare, sì sbattere
in cronaca la peggior storia immaginabile.
Girai l'angolo, rabbrividendo;
il buio illuminato dal neon "Libero" del parking che
lanciava sul selciato il verde inutile di un posto dove mettere
l'auto, di notte, feci alcuni passi più veloci come per
lasciare il punto pericoloso, e entrai nel portone.
Bam, ehi! Mani per terra mi evitano di affondare la faccia in
un giaccone bagnato, di che cosa, di che cosa, rialzati, presto,
chi dorme qui, no non dorme, blocca la porta d'alluminio trafilato,
un passo, due indietro, fazzoletto, mani, accendino.
Non vedo il viso, mi
avvicino e lo illumino, oddio è un macello, a mazzate
in faccia, non è Vito, avevo ragione, ma chi cazzo è?
Il cellulare non l'ho
mai voluto, con tutte le cabine che ci sono, e poi la mia donna
non mi deve cercare, so io quando andare da lei.
Ma in quell'istante l'avrei
voluto. Ero solo in un portone imbrattato di sangue, io e il
portone, non potevo risvoltare l'angolo e urlare a qualcuno,
alla polizia, se passasse, che qui c'era un morto sfigurato e
io che ci facevo lì? Alle tre.
Calma... calma. Dovevo
ragionare. So essere freddo ed implacabile. Con mente clinica
radunai laconicamente le idee. "Stronzo, non so chi tu sia,
ma mi hai messo in un bel casino". Trasportai il corpo all'interno
del palazzo. Il portone era soltanto socchiuso. Una breve occhiata
in giro. Nessuno. Cercai il sottoscala trovandolo subito. Una
porticina piccola e stretta color mogano, senza serratura nè
maniglia. Trascinando il cadavere per il bavero mi appoggiai
al legno umido con la schiena, aprendola e richiudendola in un
secondo tempo. Lasciai soltanto uno spiraglio per avere un minimo
di luce. Dovevo capire... Cosa stava accadendo o cosa era accaduto.
Esaminai l'uomo, frugando caparbiamente nelle tasche del giubbotto,
nel maglione zuppo e sporco, nei pantaloni. Niente. Nulla. Nessun
riconoscimento. Questo era a suo modo un indizio. Non era una
semplice aggressione. Questo mi appariva palese. Potevo scappare...
lasciare questa brutta situazione alle spalle, ma un odore fin
troppo familiare di inchiostro e sigarette, nella mia mente mi
riportava già ai titoloni ed alle inchieste. Come potevo
saperne di più?
Un corpo. Vestiti. Un
cadavere. Segni di violenza. Sangue. Nessun documento. Strappai
un brandello di stoffa dal giubbotto della "vittima"
e mi pulii le mani. Avevo soltanto il piccolo frammento di un
giaccone sporco di sangue. Nulla più. O forse qualcos'altro.
Qualcuno mi aveva chiamato. Una telefonata. Potevo forse rintracciare
l'ora esatta ed il posto? Forse esisteva un legame. Altrimenti
soltanto una via poteva riportarmi verso la superficie. Troppo
pericolosa forse. Scrivere. Una telefonatata anonima. Arrivare
sul posto appena dopo le "madame". Scrivere un articolo
enigmatico nel quale lasciar ad intendere di saperne abbastanza.
Aspettare gli aventi... Ma forse avrei soltanto ottenuto grane.
Forse nemmeno quelle. Dovevo ancora pensarci su.
Accesi un'altra sigaretta.
Ormai non era più
questione di tempo, non sarei mai riuscito a rincorrere informazioni
da un cadavere e della telefonata non avevo possibilità
alcuna di rintracciare l'informazione "infame" che
mi aveva attirato in questo guaio, bel casino.
Ma devo rigirarmici dentro
e così cominciai ad allontanarmi dall'androne buio e umido
del sangue del morto. Uscii a passi veloci dal portone e strisciai
lungo il muro verso l'angolo più vicino alla strada ormai
non più rumorosa di un cimitero di campagna. Non vidi
nessuno ma sentii la presenza vicino a me: "dove sei bastardo?"
pensai, "io sono uscito, ho svoltato l'angolo, dove mi aspetti?",
tremo d'adrenalina che mi scarica dentro la tensione, l'attenzione,
la voglia d'avere un'arma, per rassicurarmi; "dove sei?
ti sento, sei vicino, l'angolo l'ho svoltato, lo volevi, no?".
Ombre, due, ai lati del
vicolo buio prima della via illuminata, ma irriconoscibili mi
tenevano d'occhio, uno alto, "pesante", forse con una
mazza da baseball o un radello, l'altro, quasi nascosto da un
bidone stracolmo sembrava un gatto pronto, piegato sulle gambe
a saltarmi addosso a mani nude o con un coltello, ma non ho visto
luccicare la lama e forse non ce l'ha davvero, ma è grosso,
robusto, il tipo che non esita a fracassarti le costole e il
setto nasale e il fegato e tutto quanto gli opponevi mentre ti
riparavi.
"Ehi voi, chi cercate,
chi siete, adesso arriva la polizia, è stata avvisata,
c'è un morto e io non ne so niente. Chi mi ha telefonato
di voi stanotte? Adesso arriva una squadra di cronisti, non c'è
niente da vedere, e io me ne vado, ok?" e via mi misi a
correre dalla parte opposta, SCIAK SCIAK, cazzo questa e una
pistola, corri 'cazzo, SCIAK SCIAK vicino ai miei piedi, nel
muro e loro sempre dietro, 'cazzo corre il "pesante",
è il "gatto" che spara, corri, sei senza fiato,
li hai addosso...
Ancora un angolo da svoltare, stavo scoppiando, il cuore e i
polmoni chiedevano aiuto prepotentemente bussando nel mio petto
con violenza, ma dovevo correre più forte, quelli non
scherzavano, come sono finito in questo guaio, accidenti, era
stata una telefonata che io volevo da tempo per rientrare tra
i cronisti con qualcosa da dire di importante, quasi come un
film, alla ricerca del colpo di "culo" di una notizia
che nessuno avrebbe mai avuto tranne me.
Ma la realtà mi
spingeva verso un'ansa delle strade buie dietro la "corte",
mi blocco di colpo, altri due, come altri due? Chi sono, madonna,
due alle spalle che sparano e corrono e due di fronte, fermi,
controluce, armati di un coltello enorme, uno, l'altro di un
fucile "a pompa" con una canna che mi guardava nera,
espressivamente minacciosa aspettando di sputare tutti i suoi
pallettoni in faccia, a me.
Gli altri ci raggiungono
e si appostano ai lati dietro la mia schiena, il "gatto"
sempre nella sua posizione d'attacco, il "pesante"
anche lui lì, enorme, pronto a menare. E io che odio ogni
angolo, ogni svolta, mi trovo nel mezzo dei "quattro cantoni",
un gioco che non mi è mai piaciuto, specie ora. Ruoto
intorno a me stesso per tenerli d'occhio, loro mi guardano puntandomi,
avanzando lentamente ma inesorabilmente, armati, verso di me,
non posso far niente se non rannicchiarmi e prepararmi ad assorbire
le botte, dove colpirà la mazza, quando mi sparerà
col "12" pieno di piombo e il coltello dove affonderà,
poi il "gatto" mi darà il colpo di grazia alla
nuca. Dio, non ti ho mai invocato, ma aiutami, ero solo in cerca
di notizie, il morto nel portone che ci faceva, era meglio restare
in redazione, e questi. AIUTO!
"Cristiano, Cristiano,
CRISTIANO"
"Bum, bum, ...iano,
...IANO" No, non ancora, ahia, la testa, non sento più
niente, la testa mi bussa dentro, no, ahia, no, lasciatemi, sono
un giornalista, che volete, no, dai! No".
"CRISTIANO FRANCIOSI,
'cazzo, ti svegli o no?"
Chi si deve svegliare,
chi, io?
"Cristiano Franciosi,
minchione, lo sai o no che sono le cinque e mezza di mattina
e il giornale è chiuso, che cazzo ci fai qui, in redazione?
Hai bevuto? Ti sei fatto un cannone? Ehi, sono io, Pietro il
portiere di guardia. Pietro De Lucchi, hai presente. Credevo
non ci fosse più nessuno e stavo per chiuderti dentro,
dai andiamo, su. Cristiano! Sveglia.".
Una fatica incredibile
per tirare giù le gambe dalla scrivania, la testa distante
dalle spalle, come mozzata e autonoma, le spalle dolenti e le
braccia addormentate, la bocca aperta e gli occhi sgranati a
guardare in alto sopra e di fronte a me Pietro, Pietro chi, il
portiere, ah, già. Non sono ferito, non sono morto, non
sono nella piazzetta al buio con i quattro assassini, dove è
il morto, come mai sono qui, e la telefonata, Vito, il portone.
Ho sognato. Ho sognato, cazzo sono vivo, sono vivo, dormivo,
solamente. Sì arrivo Pietro, arrivo, andiamo, andiamo.
"Ok, adesso andiamo,
veramente, è tardi Cristiano, andiamo, così spengo
le luci".
Scendo le scale con Pietro,
e sorrido, non volevo veramente una storia così, mi bastava
un piccolo scoop, una storia di droga, una rapina in casa di
un gioielliere, una cattura d'un trafficante di "schiave".
Meno male che dormivo, non è successo niente, meglio così,
sarà per un'altra volta, però che "caga"!
"Pietro, non ricordo
dove ho lasciato l'auto, l'hai vista?".
"Si dottore. E'
dietro l'angolo, in vico del Corallo. Stia attento sembra sia
saltata l'illuminazione, c'è un buio cane. Stia attento
quando gira l'ANGOLO potrebbe inciampare. Vuole che l'accompagno
con la pila?"
"No, Pietro, no,
non è il caso, preferisco fare due passi e prendere un
taxi davanti la stazione". Ma realmente pensavo: per stanotte
basta angoli bui, basta! |