PrimiPASSI

L'ANGOLO

di Ale Yakke (7/8/2003)

Commento all'articolo


L'alba mi stava rincorrendo, come sempre, mentre anche questa volta rientravo, incerto, verso casa. La strada lucida svoltava, e sempre mi prendeva una fastidiosa sensazione nell'attraversare quell'angolo scoperto, eppure c'ero abituato, non ho mai incontrato nessuno, solo topi e gatti a volte, ma quella che credevo di conoscere era la strada che non avevo mai visto.

Ho passato la sera e la notte, poi, al giornale aspettando le "ultime" per la "ribattuta" delle tre, quell'edizione che finiva nelle edicole cittadine. Vent'anni di questa vita non mi avevano ancora abituato a svoltare gli angoli. Il portacenere a fianco del videoterminale era colmo. La prima edizione, sparpagliata, aspettava di essere di nuovo riattestata, ma non ne avevo voglia, aspettavo che il capo-redattore del turno mi desse il via, tanto non succedeva mai niente, ma sì certo due hanno sbattuto con la macchina, il solito "varesotto" che cercava nelle buie, e ormai non più pittoresce vie del porto, di spendersi le centomila a puttane, e regolarmente "lisciato" del portafoglio, convinto che le nigeriame di viale Monza fossero peggio di quelle di via Gramsci. No, io volevo, per una volta tornare a casa più tardi, in mattinata, senza pioggia e spazzini, forni e biosche, ma dopo essere corso al telefono: "Sono Vito, dalla questura, dottore...", "Dai dimmi, che c'è stato?",

"Dottore non le posso dire, venga, ci vediamo sul portone, questa volta avrà da fare stanotte, venga", "Non l'hai detto a nessuno, solo io Vito?", "Dottore, se vuole, se non le interessa chiamo Perdomi del Lavoro, okei", "No, dai, arrivo, due minuti, arrivo"...

Alla svelta m'infilai il soprabito scuro avendo a malapena il tempo di spegnere il computer. Giù di fretta attraverso le scale, un passo dopo l'altro, ansimando a tratti per non far troppo rumore. Non ho mai capito perchè "sulla mezza costa della notte", i gradini diventano sempre più alti e le sigarette sempre più corte. Il vecchio tenente Pasquini direbbe che come al solito penso troppo, ma in fondo ognuno fa il suo mestiere. E forse questo è il mio.

Raggiunsi l'auto in fretta e lasciandomi alle spalle la redazione ed il massacrante odore di silicio, sfrecciai alla volta di un'innovazione che desse un senso alla nottata. La strada correva umida, sotto al peso delle ruote. Un'altra sigaretta. Ancora lampioni. Fu un viaggio breve. Abbandonai la vettura in un parcheggio isolato vicino al luogo dell'incontro e m'incamminai.

Ad un tratto arrestai il mio passo. "Dottore" . Come "dottore"? Vito non mi aveva mai chiamato in quel modo. Un omuncolo buffo, semplice, di media estrazione. Decisamente non un galantuomo. Quante volte lo avevo visto ad ore impensabili in locali di fama certa... talmente palese da non lasciare nemmeno più il beneficio della cosidetta "dubbia reputazione". Seduto sempre come se l'avessero buttato nel posto in cui stava. Un uomo decisamente non conforme allo standard del sistema. Eppure un uomo particolare. Saldo a pochi principi, ai quali non sarebbe mai venuto meno. Se c'era un cosa che sapevo sul suo conto, era l'odio intrinseco verso le apposizioni. Verso il riguardo alle strutture. Quante volte l'avevo sentito iracondo verso l'abbassare la testa e mostrare riguardo, all'ingegnere tizio od all'avvocato tale che gli si erano parati di fronte... Vito non avrebbe mai chiamato nessuno "dottore". Affrettai nuovamente il mio passo. Mi riproposi un tipico "Hai bevuto troppo... o troppo poco". Ma un sorriso fastidioso e nervoso non accennava ad andarsene, sfigurando il mio viso. Giunsi in vista del parking celato dal complesso di corte Lambruschini. Il portone di Vito si trovava proprio dietro l'angolo. Come si sà al destino non manca certo l'ironia.

La mercificazione del dolore non mi appartiene, io appartengo a quella parte di gente che se ne frega del male, del dolore altrui, della sofferenza, che di fronte al morto ammazzato grondo a braccia spalancate che invoca la pietà che urla la moglie trattenuta da mani mai completamente sincere, io me ne sbatto, la vera trinità per me è il piacere, godere, pubblicare, sì sbattere in cronaca la peggior storia immaginabile.

Girai l'angolo, rabbrividendo; il buio illuminato dal neon "Libero" del parking che lanciava sul selciato il verde inutile di un posto dove mettere l'auto, di notte, feci alcuni passi più veloci come per lasciare il punto pericoloso, e entrai nel portone.
Bam, ehi! Mani per terra mi evitano di affondare la faccia in un giaccone bagnato, di che cosa, di che cosa, rialzati, presto, chi dorme qui, no non dorme, blocca la porta d'alluminio trafilato, un passo, due indietro, fazzoletto, mani, accendino.

Non vedo il viso, mi avvicino e lo illumino, oddio è un macello, a mazzate in faccia, non è Vito, avevo ragione, ma chi cazzo è?

Il cellulare non l'ho mai voluto, con tutte le cabine che ci sono, e poi la mia donna non mi deve cercare, so io quando andare da lei.

Ma in quell'istante l'avrei voluto. Ero solo in un portone imbrattato di sangue, io e il portone, non potevo risvoltare l'angolo e urlare a qualcuno, alla polizia, se passasse, che qui c'era un morto sfigurato e io che ci facevo lì? Alle tre.

Calma... calma. Dovevo ragionare. So essere freddo ed implacabile. Con mente clinica radunai laconicamente le idee. "Stronzo, non so chi tu sia, ma mi hai messo in un bel casino". Trasportai il corpo all'interno del palazzo. Il portone era soltanto socchiuso. Una breve occhiata in giro. Nessuno. Cercai il sottoscala trovandolo subito. Una porticina piccola e stretta color mogano, senza serratura nè maniglia. Trascinando il cadavere per il bavero mi appoggiai al legno umido con la schiena, aprendola e richiudendola in un secondo tempo. Lasciai soltanto uno spiraglio per avere un minimo di luce. Dovevo capire... Cosa stava accadendo o cosa era accaduto. Esaminai l'uomo, frugando caparbiamente nelle tasche del giubbotto, nel maglione zuppo e sporco, nei pantaloni. Niente. Nulla. Nessun riconoscimento. Questo era a suo modo un indizio. Non era una semplice aggressione. Questo mi appariva palese. Potevo scappare... lasciare questa brutta situazione alle spalle, ma un odore fin troppo familiare di inchiostro e sigarette, nella mia mente mi riportava già ai titoloni ed alle inchieste. Come potevo saperne di più?

Un corpo. Vestiti. Un cadavere. Segni di violenza. Sangue. Nessun documento. Strappai un brandello di stoffa dal giubbotto della "vittima" e mi pulii le mani. Avevo soltanto il piccolo frammento di un giaccone sporco di sangue. Nulla più. O forse qualcos'altro. Qualcuno mi aveva chiamato. Una telefonata. Potevo forse rintracciare l'ora esatta ed il posto? Forse esisteva un legame. Altrimenti soltanto una via poteva riportarmi verso la superficie. Troppo pericolosa forse. Scrivere. Una telefonatata anonima. Arrivare sul posto appena dopo le "madame". Scrivere un articolo enigmatico nel quale lasciar ad intendere di saperne abbastanza. Aspettare gli aventi... Ma forse avrei soltanto ottenuto grane. Forse nemmeno quelle. Dovevo ancora pensarci su.
Accesi un'altra sigaretta.

Ormai non era più questione di tempo, non sarei mai riuscito a rincorrere informazioni da un cadavere e della telefonata non avevo possibilità alcuna di rintracciare l'informazione "infame" che mi aveva attirato in questo guaio, bel casino.

Ma devo rigirarmici dentro e così cominciai ad allontanarmi dall'androne buio e umido del sangue del morto. Uscii a passi veloci dal portone e strisciai lungo il muro verso l'angolo più vicino alla strada ormai non più rumorosa di un cimitero di campagna. Non vidi nessuno ma sentii la presenza vicino a me: "dove sei bastardo?" pensai, "io sono uscito, ho svoltato l'angolo, dove mi aspetti?", tremo d'adrenalina che mi scarica dentro la tensione, l'attenzione, la voglia d'avere un'arma, per rassicurarmi; "dove sei? ti sento, sei vicino, l'angolo l'ho svoltato, lo volevi, no?".

Ombre, due, ai lati del vicolo buio prima della via illuminata, ma irriconoscibili mi tenevano d'occhio, uno alto, "pesante", forse con una mazza da baseball o un radello, l'altro, quasi nascosto da un bidone stracolmo sembrava un gatto pronto, piegato sulle gambe a saltarmi addosso a mani nude o con un coltello, ma non ho visto luccicare la lama e forse non ce l'ha davvero, ma è grosso, robusto, il tipo che non esita a fracassarti le costole e il setto nasale e il fegato e tutto quanto gli opponevi mentre ti riparavi.

"Ehi voi, chi cercate, chi siete, adesso arriva la polizia, è stata avvisata, c'è un morto e io non ne so niente. Chi mi ha telefonato di voi stanotte? Adesso arriva una squadra di cronisti, non c'è niente da vedere, e io me ne vado, ok?" e via mi misi a correre dalla parte opposta, SCIAK SCIAK, cazzo questa e una pistola, corri 'cazzo, SCIAK SCIAK vicino ai miei piedi, nel muro e loro sempre dietro, 'cazzo corre il "pesante", è il "gatto" che spara, corri, sei senza fiato, li hai addosso...

Ancora un angolo da svoltare, stavo scoppiando, il cuore e i polmoni chiedevano aiuto prepotentemente bussando nel mio petto con violenza, ma dovevo correre più forte, quelli non scherzavano, come sono finito in questo guaio, accidenti, era stata una telefonata che io volevo da tempo per rientrare tra i cronisti con qualcosa da dire di importante, quasi come un film, alla ricerca del colpo di "culo" di una notizia che nessuno avrebbe mai avuto tranne me.

Ma la realtà mi spingeva verso un'ansa delle strade buie dietro la "corte", mi blocco di colpo, altri due, come altri due? Chi sono, madonna, due alle spalle che sparano e corrono e due di fronte, fermi, controluce, armati di un coltello enorme, uno, l'altro di un fucile "a pompa" con una canna che mi guardava nera, espressivamente minacciosa aspettando di sputare tutti i suoi pallettoni in faccia, a me.

Gli altri ci raggiungono e si appostano ai lati dietro la mia schiena, il "gatto" sempre nella sua posizione d'attacco, il "pesante" anche lui lì, enorme, pronto a menare. E io che odio ogni angolo, ogni svolta, mi trovo nel mezzo dei "quattro cantoni", un gioco che non mi è mai piaciuto, specie ora. Ruoto intorno a me stesso per tenerli d'occhio, loro mi guardano puntandomi, avanzando lentamente ma inesorabilmente, armati, verso di me, non posso far niente se non rannicchiarmi e prepararmi ad assorbire le botte, dove colpirà la mazza, quando mi sparerà col "12" pieno di piombo e il coltello dove affonderà, poi il "gatto" mi darà il colpo di grazia alla nuca. Dio, non ti ho mai invocato, ma aiutami, ero solo in cerca di notizie, il morto nel portone che ci faceva, era meglio restare in redazione, e questi. AIUTO!

"Cristiano, Cristiano, CRISTIANO"

"Bum, bum, ...iano, ...IANO" No, non ancora, ahia, la testa, non sento più niente, la testa mi bussa dentro, no, ahia, no, lasciatemi, sono un giornalista, che volete, no, dai! No".

"CRISTIANO FRANCIOSI, 'cazzo, ti svegli o no?"

Chi si deve svegliare, chi, io?

"Cristiano Franciosi, minchione, lo sai o no che sono le cinque e mezza di mattina e il giornale è chiuso, che cazzo ci fai qui, in redazione? Hai bevuto? Ti sei fatto un cannone? Ehi, sono io, Pietro il portiere di guardia. Pietro De Lucchi, hai presente. Credevo non ci fosse più nessuno e stavo per chiuderti dentro, dai andiamo, su. Cristiano! Sveglia.".

Una fatica incredibile per tirare giù le gambe dalla scrivania, la testa distante dalle spalle, come mozzata e autonoma, le spalle dolenti e le braccia addormentate, la bocca aperta e gli occhi sgranati a guardare in alto sopra e di fronte a me Pietro, Pietro chi, il portiere, ah, già. Non sono ferito, non sono morto, non sono nella piazzetta al buio con i quattro assassini, dove è il morto, come mai sono qui, e la telefonata, Vito, il portone. Ho sognato. Ho sognato, cazzo sono vivo, sono vivo, dormivo, solamente. Sì arrivo Pietro, arrivo, andiamo, andiamo.

"Ok, adesso andiamo, veramente, è tardi Cristiano, andiamo, così spengo le luci".

Scendo le scale con Pietro, e sorrido, non volevo veramente una storia così, mi bastava un piccolo scoop, una storia di droga, una rapina in casa di un gioielliere, una cattura d'un trafficante di "schiave". Meno male che dormivo, non è successo niente, meglio così, sarà per un'altra volta, però che "caga"!

"Pietro, non ricordo dove ho lasciato l'auto, l'hai vista?".

"Si dottore. E' dietro l'angolo, in vico del Corallo. Stia attento sembra sia saltata l'illuminazione, c'è un buio cane. Stia attento quando gira l'ANGOLO potrebbe inciampare. Vuole che l'accompagno con la pila?"

"No, Pietro, no, non è il caso, preferisco fare due passi e prendere un taxi davanti la stazione". Ma realmente pensavo: per stanotte basta angoli bui, basta!