CULTURA - Tecnologia

TECNOLOGIA

di Marco Comandè (4/12/2000)

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La natura ha sempre affascinato gli scienziati, per via della sua infinita e mutevole perfezione tecnica. La natura contiene dentro di sè il misterioso gene della vita.
Tutta una serie di regole che non si sa da dove nascono. Ma esistono.
Per esempio, una legge della natura indica le condizioni per cui il DNA di una specie debba mutare di padre in figlio.
La scienza dice che le malattie si trasmettono per ereditarietà in famiglia. Allora proviamo a immaginare come ai tempi antichi gli animali fossero pochi. Nessuno ricorda la storia di Noè, che prese un solo maschio e una sola femmina per ogni razza?
I figli dovevano poi procreare in famiglia, fratello e sorella, cugino e cugina... Nessuno ricorda l'Antico Testamento, i matrimoni e i parti in famiglia?
Se il meccanismo non avesse avuto correttivi, tutti sarebbero nati malati. Invece, se il gene muta di padre in figlio, allora le malattie a poco a poco vengono eliminate.
Il meccanismo non è quello darwiniano della selezione naturale, cioè dei migliori. Ma è la mutazione casuale dei geni. Sarà poi la natura a selezionare attraverso la legge della sopravvivenza.
Di tutte le mutazioni, quella umana è particolare. L'uomo, infatti, è l'unica specie vivente con un corpo agile, un'alimentazione varia, e un intelletto sviluppato. Ma soprattutto è una specie ormai artificialmente contronatura.
Come si è potuto verificare tale salto?
La risposta sta nel meccanismo della coscienza. Questa è un'altra legge di natura.
Le specie viventi si possono distinguere in due grandi classi. Gli inanimati e gli animati. I primi sono gli alberi. I secondi sono gli animali.
Gli animali sono esseri animati perché hanno un corpo che deve muoversi per cacciare le prede, oppure per partorire, oppure per cercare erba.
Ma muoversi significa esplorare un territorio sconosciuto, e di conseguenza il movimento può essere anarchico, e quindi catastrofico.
Per eliminare il rischio, occorre un meccanismo sviluppato, che renda gli animali consapevoli del mondo esterno, e quindi in grado di padroneggiarlo attraverso l'intelligenza. Questo meccanismo è la coscienza.
Ma la coscienza è strettamente legata al corpo. Più il corpo è agile, più sviluppata è la coscienza. Non lo dicono gli scienziati, è solo una mia tesi. Ma la ritengo altamente attendibile. La coscienza è più sviluppata perché il corpo più agile ha bisogno di maggiore controllo mentale. In questo senso, tutti gli animali hanno coscienza. L’homo sapiens è l’essere più agile, quindi anche il più intelligente.
Ma non esiste solo l’agilità nel condizionare l’intelligenza. Anche la liberazione dall’istinto aiuta. Siccome prima si vive e solo poi si fa filosofia, allora la liberazione può avvenire solo attraverso il soddisfacimento dell’istinto. Per esempio, la fame. Quando si ha fame, l’unica cosa a cui si pensa è il cibo. Gli animali hanno coscienza, ma sono frenati proprio dalla fame. L’uomo invece si è liberato da questo istinto a poco a poco. Prima cacciatore, poi agricoltore, poi essere sociale, poi credente, poi filosofo, poi commerciante, poi capitalista, per finire ad oggi, consumatore sprecone. La tecnologia ha aiutato
moltissimo.
Ma attenzione al luogo comune: non è vero che la tecnologia è sempre più inquinante. Lo è sempre meno. L’esempio più banale: preferite l’agricoltura del passato, quella che distruggeva le foreste, oppure una centrale nucleare che potrebbe scoppiare da un momento all’altro?
Io la seconda: nel primo caso la natura si distrugge automaticamente, nel secondo ha meno probabilità.
Si fa notare come la tecnologia distrugge l’ambiente sempre e comunque, sia con l’agricoltura, sia con la centrale nucleare. Ma forse l’analisi è falsa per un semplice motivo: tutte le specie viventi tendono a adattare il territorio ai propri bisogni, per esempio i castori che costruiscono dighe. In questo senso, anche l’uomo è un animale che modifica l’ambiente. Il problema vero è un altro, ed è un paradosso della natura, uno dei più grandi misteri dopo quello della creazione dell’universo. Nietzsche odiava il concetto di prezzo per ogni cosa, ma questo è uno degli argomenti su cui aveva torto: se si vuole qualcosa, bisogna pagare un prezzo. In questo caso lo sviluppo della coscienza, seppur connaturato alla natura, spinge all’individuo artificiale, e sarà sempre più artificiale man mano che il cervello si ingrandisce.
Detto per l’uomo, la frase può sembrare banale, ma potrei capovolgerla con un’altra che sembra tratta dal cartone animato “Tom e Jerry”: un leone che ha fame mangia, ma quando è sazio potrebbe sviluppare una sorta di coscienza, potrebbe addirittura chiedersi se è giusto o non è giusto uccidere un cervo soltanto per il proprio sostentamento.
Nietzsche avrebbe aggiunto: è giusto o non è giusto uccidere l’istinto sessuale soltanto perché naturale? Insomma, il leone sazio e dominatore della natura, diventerebbe un essere artificiale, e perciò stesso sarebbe destinato a distruggere la natura. E’ accaduto all’uomo questo compito. Ed il prezzo è l’inquinamento attuale. Insomma, non è la tecnologia ad essere artificiale, ma l’uomo. Se qualcuno pensa che la tecnologia vada distrutta in quanto artificiale, dovrebbe aggiungere che l’uomo va sterilizzato in quanto artificiale. Ne avrà il coraggio?
Aggiungo che la frase di uomo artificiale vale anche per il discorso sulla morale religiosa. Mi riferisco al tema dei contraccettivi: la chiesa dice che i contraccettivi sono contronatura. Preferisce una procreazione portata all’esasperazione e perciò stesso tendente alla creazione di nuovi esseri artificiali, che distruggeranno ancora di più la natura? Insomma, tra un rimedio contronatura qual è la procreazione e un metodo artificialmente naturale qual è la pianificazione familiare, qual è meglio? La risposta è univoca: meglio rispettare la natura piuttosto che distruggerla. Forse una domanda aiuterà a capire
meglio: la Chiesa dice che le risorse bastano per 40 miliardi di persone. E quando ci arriveremo, che faremo? La chiesa non ha ancora risposto, sarebbe questa la naturalità della procreazione che si vuole difendere?
Adesso vorrei spiegare meglio come si sia arrivati all’homo industrialis attuale, con fabbriche, discariche, automobili… Tante
civiltà avevano a disposizione la tecnologia , per esempio l’impero romano conosceva l’uso di armi potenti, ma non le ha mai usate, almeno dicono gli storici questo. Un altro esempio è l’antica Cina: ha inventato le armi da fuoco e la stampa. Perché non le ha utilizzate, cedendo invece il passo all’uomo bianco? Paolo Sylos Labini lo ha spiegato in un suo libro, “Il sottosviluppo e l’economia contemporanea”, Laterza ’83.
La sua risposta è questa: fino a quando la natura è amica, non c’è bisogno di modificarla radicalmente, di conseguenza le innovazioni vengono accolte con molto scetticismo e timore. Ma nei paesi nordici, l’Inghilterra in primis, la natura è nemica. Lo era nel 1800, ai tempi della rivoluzione industriale. Se la natura è nemica, non si capisce perché bisogna difenderla: le fabbriche distruggono l’ambiente, ma se non c’è nessun ambiente perché farsi degli scrupoli di coscienza? Il fatto che la tecnologia si sia allargata a macchia d’olio in questi due secoli si spiega in due modi: uno è quello classico del profitto,
l’altro è quello ciclico della natura. Ciclico significa: prosperità, alta natalità, accumulo risorse, guerra, pestilenza, annientamento della popolazione, mancanza di braccia per coltivare i campi, fame, indebolimento degli eserciti in guerra, armistizio, ripresa economica.
Sono tutta una serie di variabili che non necessariamente si susseguono in quest’ordine. Insomma, finchè c’è la prosperità la tecnologia non attrae, ma non appena scatta la carestia la tecnologia è venerata come un dio. Se si vuole un esempio ancora attuale, basti pensare a quanto conti il dollaro per un povero del terzo mondo.
La prima spiegazione, quella classica del profitto, è efficacemente analizzata da Marx nel Capitale. Quando si dice che Marx è superato!
Per giunta si pretende che i paesi dallo sviluppo limitato del modo di produzione capitalistico, consumino e producano come i paesi capitalisticamente evoluti. Se così si intende affermare che la sovrapproduzione è soltanto relativa, questo è senz'altro giusto, ma tutto il modo di produzione capitalistico non è che un modo di produzione relativo, i cui limiti non sono assoluti, ma lo divengono per tale modo stesso, per la sua base. (Libro terzo, sezione 3).
Il limite del modo di produzione capitalistico si rivela qui: 1) Lo sviluppo della forza profuttiva del lavoro genera nella caduta del saggio tendenziale di profitto una legge che a un certo punto si oppone in maniera assoluta al suo proprio sviluppo e che quindi deve essere costantemente superata attraverso crisi. 2) L'allargamento o la ocntrazione della produzione non vengono decisi secondo il rapporto tra la produzione e i bisogni sociali, i bisogni di una umanità SOCIALMENTE EVOLUTA, bensì (...) secondo la legge del profitto (…continua a pagina successiva).
Non esiste un capitalista il quale applichi di buon grado un nuovo metodo di produzione quando questo, pur essendo assai più produttivo ed aumentando considerevolmente il saggio del plusvalore, provoca una diminuzione del saggio di profitto. Ma un tal metodo di produzione fa diminuire il prezzo delle merci (...). Il suo metodo di produzione è superiore alla media sociale: ma la concorrenza non tarda a generalizzarlo ed a sottometterlo alla legge comune. Ha allora inizio la diminuzione del saggio di profitto - che può manifestarsi in un primo tempo nella sfera di produzione del capitalista, per poi livellarsi al saggio di profitto delle altre sfere - senza che tutto ciò dipenda minimamente dalla volontà del capitalista (fine libro terzo).
Malgrado la diminuzione del saggio di profitto, occasioni e facoltà di accumulazione si accrescono: 1) perchè si ha accrescimento della sovrappopolazione relativa, 2) perchè con il progresso della produttività del lavoro aumenta la massa dei valori d'uso rappresentata da un medesimo valore di scambio, quindi aumentano anche gli elementi materiali del capitale, 3) PERCHE' I RAMI DI PRODUZIONE SI MOLTIPLICANO, 4) PERCHE' LO SVILUPPO DEL SISTEMA CREDITIZIO, DELLE
SOCIETA’ PER AZIONI ECC., PERMETTONO AGLI INDIVIDUI DI TRASFORMARE IL DENARO IN CAPITALE SENZA DIVENTARE ESSI STESSI DEI CAPITALISTI INDUSTRIALI, 5) perchè si accrescono i bisogni e il desiderio di ricchezza, 6) perchè si fanno forti investimenti di capitale fisso, e così via.
Le tre caratteristiche fondamentali della produzione capitalistica sono: 1) La concentrazione in poche mani dei mezzi di produzione, che cessano perciò di apparire come proprietà dei lavoratori diretti e si trasformano in potenze sociali della produzione, anche se in un primo tempo nella forma di proprietà privata dei capitalisti. Questi ultimi sono dei mandatari della società borghese, ma intascano tutti gli utili di tale mandato. 2) L'organizzazione sociale del lavoro mediante la cooperazione, la divisione del lavoro e l'unione del lavoro con le scienze naturali. In seguito alla concentrazione dei mezzi di produzione ed alla organizzazione sociale del lavoro, il modo capitalistico di produzione sopprime, sia pure in forme contrastanti, la proprietà individuale e il lavoro privato. 3) LA CREAZIONE DEL MERCATO MONDIALE.
L'enorme forza produttiva in relazione alla popolazione, quale si sviluppa in seno al modo capitalistico di produzione e, quantunque non nella stessa misura, l'aumento dei valori-capitali (non solamente dei loro elementi materiali) che si accrescono MOLTO PIU' RAPIDAMENTE DELLA POPOLAZIONE, si trovano in contrasto con la base per cui lavora questa
enorme forza produttiva, che relativamente all'accrescimento della ricchezza diventa sempre più angusta, e con le condizioni di valorizzazione di questo capitale crescente. Da questo contrasto hanno origine le crisi (…continua dopo una pagina).