Cultura - PrimiPASSI

TROPPO TARDI

di Francesco Puglisi

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Anche stamattina sono arrivato in ufficio molto presto, sicuro di vivere la solita e consueta giornata. Alle 8 sono già alla seconda sigaretta ed infastidisco la mia gola con quel sapore di fumo acre e troppo intenso per chi non è ancora sveglio. Il rituale è sempre lo stesso. Una mentre guido e ascolti la radio, con la ventiquattrore adagiata sul sedile, la mano ferma e stretta e la cravatta che mi annoia, avvolta sul colletto di una camicia tirata e reduce da ferro da stiro. La giacca mi stringe le spalle mentre giro il volante ma mi tiene caldo. Anzi, talvolta sono talmente impettito che le maniche mi fanno sudare e sono sempre indeciso se allacciare il bottone della giacca sulla pancia o lasciare i lembi del vestito a scivolare sgualciti verso i fianchi. Ed io avverto un certo fastidio nei confronti di quella divisa che mi cinge il corpo e di un "pesantissimo" telefonino cellulare nella tasca interna. E' un vestito non mio. La seconda la fumo nel parcheggio dell'azienda, nel centro direzionale più triste di Milano. Questa celebra l'apertura della mia giornata: tre minuti di respiro e di stacco, un attimo tutto mio prima di salire in ufficio ed entrare nella giungla, salire sul treno impazzito che mi porterà fino a sera senza che io me ne accorga, in un lampo. Senza avere il tempo di poter scendere ad attraversare un momento il binario e a raccogliere i pensieri più vivi e nascosti che arrancano freneticamente nello scompartimento del direttissimo dove sto viaggiando e che vorrebbero tanto posizionarsi di fronte ai miei occhi e farsi vedere nitidi invece che produrre un turbinio di sensazioni appannate. E allora quasi quasi prenderei un giorno di ferie per cercare di capire e di fermarmi un attimo. Ma l'ascensore verso il sesto piano è lì, a una manciata di secondi dalla seconda sigaretta, giusto il tempo di sentire il caffè che ti opprime la testa. Poi vai. E cominci.
Stamattina sull'ascensore ho incontrato una collega che, come al solito, mi ha squadrato da cima a fondo e che si è fermata sulla mie occhiaie. Un sorriso ed un saluto, "come va oggi?". Strana cortesia. Di solito il suo sguardo è inquisitore, pieno di giudizi. Con quale diritto poi.. Mah! Mi sorprendo a non incontrare una ordinaria scontrosità ed antipatia nella gente. Cazzo, come sto messo stamattina? Sono già prevenuto verso tutti!!
Lì dentro ci siamo abituati tutti a vivere con un certo distacco da tutti. A dimenticarci che dietro ogni atteggiamento e dietro ad ogni gesto c'è una persona che vive i suoi casini e le sue soddisfazioni proprio come noi. Ma non c'è mai tempo di conoscersi veramente, non c'è mai l'occasione di levarsi di dosso quel vestito e quell'atteggiamento patinato ed imposto che ci dividono. E non c'è nulla da sorprendersi. Automi, anelli di una catena. Sono le solite ricorrenti frasi che ci identificano e che rendono l'idea di cosa ispira il nostro modo di vivere la giornata là dentro. I nostri colloqui fugaci sono limitati dall'impossibilità di spezzare la corda asettica, fredda e falsa che ci unisce. Siamo 69 colleghi e 69 persone drasticamente lontane che celano qualcosa sotto il mantello.
Nel corridoio mentre andavo in ufficio, dopo avere salutato con "un bene grazie e lei?" la collega le ho pensate tutte, queste cazzate.
E la pausa caffè delle 10 è arrivata come un toccasana per il corpo già stanco di spostarsi fra le pratiche da sbrigare. In una mattina come le altre. Un bicchierino di plastica pieno di liquido scuro che poco somiglia al caffè che mandi giù in fretta per la gola con le mani già pronte a fumare la sigaretta più forte della mattina. Una consuetudine interrotta dalle grida provenienti dalla porta accanto all'Ufficio Legale. La mia collega, quella dell'ascensore, là fuori dall'ufficio trasecolava mentre tutte le sue carte si spargevano disordinate per terra. E noi avevamo appena fatto a tempo a vedere due ombre entrare di corsa per quella porta. Un secondo,forse due ed anche noi accorriamo e varchiamo la soglia dell'ufficio amministrativo. Allora me lo sono chiesto, fortissimamente: moriresti per qualcun altro? daresti la tua vita per un perfetto sconosciuto? faresti cancellare da un proiettile la tua esistenza in un attimo per non fare morire un ALTRO? qualcuno che magari non conosci, qualcuno che conosci solo perchè lo hai visto poche volte solo durante la pausa caffè, una persona perfettamente anonima, uno di quelle 69 persone normali legate con la corda asettica ma che forse nasconde dentro sè un immenso mai svelato, sempre represso e mai espresso.
Questo mi sono trovato di fronte: un rapinatore che grida come un pazzo in evidente stato di alterazione e con l'arma tremante e direttamente puntata verso un'inerme persona terrorizzata. Qualcuno che non conosci, qualcuno che non ha colpa, che non ha infranto nessuna legge, che ha solo la sfiga (destino?) di essersi trovato nel momento sbagliato al posto sbagliato. Se ne sta per andare. Sta per abbandonare tutto il nostro contingente. Magari non ha avuto il tempo di realizzare qualcosa che DOVEVA fare, magari il suo ruolo nel mondo era fondamentale per 1 o 200000 persone. Oppure era solo un disgraziato. E sto già parlando del suo passato,lo ho già condannato. No! sacrificherei tutto me stesso adesso? Rinuncerei ai desideri che vorrei vedere esauditi e a quello che ho -cosa vale più di lui?- per dare una possibilità a qualcun altro?
vorrei mettermi lì in mezzo, sulla traiettoria di quel proiettile che sta per scattare impercettibile devastante e rapidissimo sul suo bersaglio. "Lo farei!!! sto per farlo!!"... "ma lo farei per lui o per me?? Lo farei perchè non ho la forza di vivere la mia di esistenza e sto trovando un modo eclatante per rinunciare a tutto?" ci vuole coraggio per farlo". "Ma cha cazzo di pensieri mi vengono, ma perchè questo sconvolgimento? mi chiedo mentre le mie gambe sono paralizzate e il mio corpo è terrorizzato da una situazione mai vissuta ed eccezionale. Quando lo vedevamo nei film da bambini, volevamo essere nello schermo e, ne siamo certi, saremmo stati degli eroi, avremmo disarmato il "reo" o comunque ci saremmo fatti trapassare dal proiettile. Perchè comunque il bambino sa che c'è sempre un lieto fine nei film americani o quel senso di onnipotenza che vanamente gli veniva trasmesso dalle immagini della tv si confondeva facilmente con la logica dell'intrattenimento. Ma adesso non è così. Adesso la realtà mi paralizza le gambe, in una scena multimedialmente "lontana" sono paralizzato ed impaurito. Qui c'è in gioco moltissimo. In uno sprazzo di lucidità logica, nella realtà, non ho dubbi. Le mie gambe si muoverebbero in avanti se sotto tiro ci fosse qualcuno a cui tengo, qualcuno che conosco molto bene. Che magari non mi ha mai dato nulla, ma al quale io tengo o qualcuno che mi ha dato qualcosa ed al quale voglio dare più di qualcosa.
E ci vuole un attimo, veramente. In quel momento non contava più scendere dal direttissimo o masturbarsi il cervello cercando una filosofia della vita. La mente era completamente vuota, non esistevano più schemi pressanti ed preordinati. In un attimo me ne ero liberato e non avevo più indosso quel mio vestito con il cellulare incorporato. Di fronte al bivio, in una situazione pazzesca, non c'erano più freni ed era nitido quello che bisognava fare, stavo vivendo davvero e tragicamente prendendo la decisione più alta e difficile. Avanzare verso quello spazio di tiro stretto incerto e foriero di male era l'atto più giusto che potevo fare. E non importava per chi lo stavo per fare: uno sconosciuto, una persona amata, un familiare o un amico. Io stavo per eliminarmi per quella persona, chiunque essa fosse. Era giusto. Ed avevano ragione i muscoli della mia gamba che stavano riprendendo possesso delle loro facoltà e istintivamente si stavano mettendo in moto per andare a porsi fra il male e la vittima designata.
Avevo scelto di farlo ed avevo ragione. Alle 10.20 di stamattina avevo ragione quando stavo per andare lì in mezzo, quando tutta la scena è stata infranta da un altro proiettile sparato da qualcuno delle forze dell'ordine. un altro proiettile che ha disarmato il malvivente, prontamente bloccato poi da altre persone.
E la mia altissima volontà si era infranta e annegata in un bagno di sudore. Ero rimasto 15/20 minuti lì, a pensare, a decidere, a svegliarmi. Altre persone avevano avuto il tempo di intervenire e risolvere, per fortuna senza brutte conseguenze, a situazione. Mi fermavo a pensare e solo alle 10.21 ho capito che mentre cercavo di essere libero giusto e fiero, ero ancora schiavo di un intricatissimo circolo vizioso di pensieri, perchè non ho agito. Le mie intenzioni sono diventate polvere mentre il divenire diveniva e si evolveva. E credendo di non esserlo più, ero in realtà ancora schiavo e preda dello schema preordinato e del vestito con il cellulare che adesso sta squillando. Vi saluto e rispondo.