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PRONTO, E' LA REALTA' CHE PARLA

di Italo Papini

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Sfilo lentamente il disco dallo scaffale polveroso. E’ inconfondibile la copertina: nera con un sottile raggio di luce che attraversa un prisma di forma triangolare e si scompone nei colori dell’iride. The dark side of the moon, Pink Floyd, 1973. Sfiorando delicatamente il cartone assaporo in un attimo le canzoni (così riduttivo!), le musiche, le atmosfere.... due secondi e mi sono riappropriato della fusione voce-sax di The great gig in the sky, del controllo registratore di cassa/chitarra di Money, dell’aria rarefatta di Time.

Rimetto l’LP sul ripiano, al suo posto da anni ormai... ed ecco un altro amico. 24 luglio 1970: Joan Baez all’Arena Civica di Milano. Si spandono le note sofferenti e piene di speranza di Where have all the flowers gone, grido e nenia alla guerra del Vietnam, così come si avvertono i brividi che dà Love is just a four letter word (una delle tante di Dylan).

Ma il viaggio continua, con le dita affamate di nuove sensazioni, con la mente da bambino che brama nello scoprire parole, musiche e ricordi legati a quei cosi circolari, così ordinari e tutti uguali, a quei solchi... uh, senti.... Jackson Browne, Running on empty!

The road è un mito, ti gocciola dentro, on the road per sempre! E Rosie, e Shaky town, e Cocaine (non J.J. Cale con il suo splendido riff ma un tale Reverendo Gary Davis) fino a The load out e Stay. Ma le dita corrono di nuovo sulle coste visibili dei dischi, alla ricerca, voraci, in combutta, associazione a delinquere, con il cervello che beve e mangia di quelle cascate di sensazioni, ricordi ed estasi.

Esplode in rivoli di hard rock e chiome superaffollate, con flash visivi da allucinogeni un nuovo mito: Made in Japan. Smoke on the water si appropria delle mani e delle braccia che iniziano a mimare schitarrate alla Blackmore e rulli alla Paice. I Deep Purple danno il meglio di sè in questo splendido album: Child in time, Lazy, Higway Star scorrono nelle vene come adrenalina pura..... non ti staccheresti mai.... ma le dita corrono e rincorrono nuove cose, nuove sensazioni.

A Slow song..... Joe Jackson con le sue atmosfere da intimo pianobar, quelle del disco Night and Day. Il ritmo di Steppin’out è di quelli che si appiccicano alle cellule neurali, che non ti lasciano. Breaking us in two e Real men...... Ma non mi fermo, non riesco a fermarmi.... continuo a sfogliare questo straordinario album che è la mia discoteca e arrivo a sfiorare, delicatamente, che non si sciupi, Aqualung dei Jethro Tull e del flauto magico di Ian Anderson. Aqualung e Locomotive breath, Wond ring aloud e Slipstream: pezzi di nirvana che si materializzano nella stanza, tra le pareti sature ormai dei suoni e dei ricordi.

Ma non c’è soluzione di continuità. Mi bevo in pochi attimi Dire Straits ed Eagles, Marillion e Graham Parker. Mi parcheggio un attimo sui Procol Harum di A wither shade of pale e di Conquistador e salto a Springsteen di The river.

Nuoto anch’io immerso ormai in quel limbo, nella stanza che, come direbbe Paoli (per altre ragioni ma tant’è) non ha più pareti ma alberi..... ed approdo nel bosco dei Tillerman accompagnato da Cat Stevens: E volano in pochi secondi Hard headed woman e Sad Lisa, Wild world e Father and son (quante volte l’ho cantata!).

Ma è già passato, sto già viaggiando negli States in compagnia di Neil Young. Harvest, 1972. Alabama, Hearth of gold, Words, Harvest, Out of the weekend.... un viaggio che non finirà mai...

Ma il telefono squilla e mi riporta rapidamente in Italia, a casa.

Beh, il viaggio per ora è finito, sono scomparsi in un attimo gli alberi (pace a Gino Paoli) e il soffitto rosa è tornato al suo posto. Ma la macchina del tempo e dello spazio è comunque lì, sullo scaffale in salotto e ci saranno altre occasioni.

E con la mente che centellina ancora alcune note di Blue Valentine, con Tom Waits che mi saluta dal suo pick-up, con il mozzicone di sigaretta all’angolo della bocca mi avvio verso il telefono.

"Pronto, è la realtà che parla....."