Cultura

PRETESTO RELIGIOSO DEL TERRORISMO:

ASSASSINI IN PARADISO

di Selim Ades (15/11/2001)

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Il giorno 11 settembre 2001 rimarrà una data memorabile di lutto e sgomento per gli Stati Uniti d'America in particolare, ed in sostanza per l'intero mondo. In alcune località però, esigui gruppi di striscianti vigliacchi esultavano invece per la spettacolare riuscita della micidiale distruzione, compiuta da invasati che, sacrificando le proprie vite, sono stati illusi di guadagnarsi il paradiso per aver trascinato nella morte decine di migliaia di persone, totalmente ignare dell'esistenza di questi assassini.

Questi gruppi d'imbecilli ignoranti, apparsi prevalentemente in paesi islamici ma non unicamente in quelli, non hanno sospettato di essere mere marionette manovrate da qualche mente criminale ed avida di potere irraggiungibile, che usa abilmente la "fede" religiosa per manipolare le azioni e reazioni di coloro che hanno tendenza all'esaltazione od al fanatismo religioso.

Il criminale non esita a danneggiare altri per il proprio vantaggio, ma cerca con ogni mezzo di proteggere la sua incolumità e quella dei propri eventuali cari, od a volte complici.
Il terrorista, pure lui criminale, giustifica i propri delitti poiché commessi per la rivendicazione di un vantaggio non solo personale, ma per un'intera comunità.
Entrambi però non s'illudono di meritarsi pure il paradiso.

L'assassino invece non cerca nessun vantaggio materiale né protezione, ma unicamente di meritarsi l'ingresso in paradiso per la propria morte, come gli è stato inculcato dal mentore criminale e vigliacco che non si espone mai in prima persona.
L'assassino è prima di tutto un fervente "credente", il che lo rende particolarmente pericoloso.

Questo concetto può sembrare nuovo a chi non conosce l'origine della parola "assassino".
Per non rimandare il lettore alla ricerca dell'etimologia nel proprio dizionario, segue testualmente quella data dal Garzanti.

Assassino, dall'arabo hashshàshin, nome degli aderenti ad una setta attiva in Persia nei secoli XII e XIII, che obbediva ad un capo politico-religioso (il Vecchio della Montagna) e che divenne ben presto famosa per l'efferatezza dei suoi delitti, commessi sotto l'effetto del hashish.

Quello che non dice il dizionario, è come nacque e si sviluppò tale setta che dominò il mondo arabo per più di due secoli.

Il Vecchio della Montagna disponeva di molti soldi, ed aveva delle mire di dominio politico contrastate dai vari governatori delle diverse province del vasto e potente mondo arabo esteso dalla Persia fin'alla Turchia ed alla Spagna. Non potendo assumere una posizione di spicco politico, scelse la via della religione per acquisire una posizione di rilievo come devoto in partenza, e successivamente come notabile e conoscitore, per diventare infine capo religioso.

Una volta ottenuto un certo numero di fedeli, cominciò a scegliere tra i giovani più esaltati e devoti, alcuni da iniziare all'uso del hashish. Conduceva poi questi giovani sotto l'effetto dell'allucinogeno, in un gran giardino meraviglioso che aveva preparato per lo scopo, corredato di tutti gli agi conosciuti, cibi deliziosi, musica, e soprattutto tante belle e giovani fanciulle riccamente pagate, e voluttuosamente semivestite, pronte a soddisfare tutti gli appetiti sessuali dei giovanotti.

Dopo un certo tempo trascorso nella beatitudine del giardino e della droga, il Vecchio "confidava" ai giovani sempre annebbiati, che questo era un assaggio del paradiso che la "fede" promette a chi muore obbedendo alla volontà d'Allah, e che soltanto lui aveva il potere di far assaggiare ai suoi prediletti.

Per ottenere la permanenza in "paradiso", era però necessario morire; non di morte naturale, ma offrendo la propria vita in riscatto. La parola araba "fedà" significa riscatto, e da lei deriva quella di "fedayin", ormai conosciuta anche in occidente.

Ad ogni convinto esaltato "fedele" era poi assegnato un bersaglio nella persona di un governatore di qualche provincia, definito dal Vecchio come nemico d'Allah. L'aspirante al paradiso doveva mischiarsi alla folla dei sudditi, agglomerati per applaudire al passaggio del governatore, e scagliarsi contro di lui a tradimento per pugnalarlo.
Sarebbe stato sicuramente preso e decapitato all'istante, raggiungendo cosi la certezza d'ingresso in paradiso. Non era decisiva la morte del governatore; tanto gli si poteva sempre mandare un altro assassino, il paradiso era in ogni caso "assicurato" ai fedayin decapitati dalle guardie.

L'obiettivo non era di uccidere l'uno o l'altro dei governatori, era invece di convincere tutti loro di non poter sfuggire al potere del Vecchio, e di dovere pertanto obbedire ad ogni suo ordine.
La cosa funzionò a meraviglia, e per ben più di duecento anni il mondo arabo fu dominato da questa setta "religiosa" che si era espansa nel territorio e non aveva più bisogno del giardino e delle ragazze, ma unicamente della "fede" ed eventualmente di un po' di hashish.

Gli arabi conoscono bene questa pagina di storia, ed un certo gruppo avrà nutrito l'illusione di riportarla in auge in tempo presente, ovviamente armati unicamente dal simbolico pugnale, ma sapendo che i veri "strumenti" sono sempre rimasti i "fedeli" pronti a riscattare con la propria vita, la sicura permanenza senza fine nel promesso "paradiso".

Dobbiamo dunque considerare che non ci troviamo davanti a terroristi, o guerriglieri, e nemmeno criminali, ma proprio "assassini" nell'originale senso della parola.

Non si può prevenire né punire il suicida, ma si può cercare di scovare e punire gli istigatori alla violenza in nome della religione, e quelli che usano la "fede" per mistificare le persone, ed usarle per i propri fini di supremazia personale.

Il presidente americano Bush ha chiaramente dichiarato che le azioni da intraprendere non mirano a nessun'etnia religiosa. Ciò nonostante, gli indiziati cercano di pretendere di essere inquisiti unicamente per la loro appartenenza religiosa.

Il terrorismo non ha mai avuto una motivazione religiosa benché cercasse sempre di mimetizzarsi sotto le spoglie di falsi devoti. Ognuno di noi deve fare il massimo possibile per smascherare quest'ipocrisia che induce ad estendere il giusto risentimento d'ogni persona sensata, ad un numero incalcolabile d'individui che non hanno niente in comune con i criminali terroristi, se non un'ipocrita dichiarazione d'adesione ai loro principi religiosi.

Non lasciamoci ingannare dagli attuali "assassini" con la loro ipocrita copertura religiosa, ed il loro disprezzabile tentativo di farsi proteggere dagli stati di cui fingono di condividere la religione. Allo stesso modo dei famigerati predecessori, la loro mira è unicamente di dominazione politica; non c'è niente di religioso nelle loro azioni, e non hanno nessuna considerazione per la religione delle loro vittime.
Ricordiamo che gli hashshàshin erano proprio come i loro bersagli, tutti musulmani.

Cerchiamo di evidenziarlo bene, e di agire contro un nemico vigliacco, che però si tradisce con le proprie minacce di indurre "gli altri" ad una guerra "santa".

Tutte le nazioni dovrebbero unirsi almeno per questa volta, per mettere nell'impossibilità di nuocere ogni esponente di lotta armata che pretende di dare una matrice religiosa al proprio movimento.

Il pericolo nasce quando la "fede" cessa d'essere "pensiero" e si trasforma in "azione".

E' vero che per questa volta l'azione è stata compiuta da quelli della casa di fronte; ma niente garantisce che non possa mai nessuno riuscire a provocarla da casa nostra.

Intanto che ci uniamo per debellare gli eccessi di "fede" degli altri, sarebbe auspicabile per ognuno una correzione in casa propria, ed un maggiore interesse a ricercare per sé, oltre che ad insegnare ai personali figli, la "ragione" e saggezza della propria religione, anziché la cieca "fede" in ella.