CULTURA - Fotografie

C'ERA UNA VOLTA UN NURAGHE .... A SARROCH

di Carlo Piras (11/9/2000)

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In un paese della provincia di Cagliari c'era una volta un Nuraghe, uno dei più antichi dell'isola di Sardegna. Si chiamava "Domu s'orcu" (la casa dell'orco)e si mostrava superbo fin dal XV secolo a.C., sovrastando il paese di Sarroch. Un Piccolo centro agro-pastorale, oggi di 4.968 abitanti, a cui il Buon Dio volle donare anche il mare. Un mare pescoso dalle chiare acque color di giada. I paesani erano orgogliosi e rispettabili, provati dalla povertà e dai sacrifici della campagna: unica risorsa certa e genuina. Era il paese di mio padre. Lui desidera ricordarlo così: fra gli odori delle vendemmie, gli scampanellii notturni degli agnelli ed i sapori antichi del pane appena sfornato. Tempi in cui anche la miseria esprimeva sentimenti dignitosi e gli uomini venivano onorati per i significati di onestà e saggezza.
Oggi Sarroch sta ancora la, a circa 20 km da Cagliari, ma è cambiato tutto. Non ci sono pescatori, non ci sono contadini e nemmeno allevatori. E` sorta una raffineria petrolifera che sta soffocando inesorabilmente il paese del nuraghe. Tutta colpa dello sviluppo industriale ?
…Dei convincimenti comiziali di qualche politicante, al cospetto di un manipolo di braccianti?
Probabilmente i motivi vanno ricercati altrove, in una serie di inopportune coincidenze temporali risalenti al boom economico dei vitelloni di casa nostra. Era il 1963 ed un grande magnate del petrolio riuscì ad ottenere le concessioni per l'installazione di un audace impianto idraulico, allo scopo di raffinare idrocarburi provenienti dal mondo intero.
La gente della costa non assomiglia a quella del supramonte. Gli uomini di mare non possiedono il medesimo senso di sardismo arcaico che avvolge il popolo del nuorese.
La storia ci narra che troppi insediamenti stranieri hanno bivaccato nelle coste cagliaritane, fino a deformarne la peculiare essenza dell'amor di patria insita nei sardi. Pastori, braccianti e pescatori di Sarroch, incapaci di utilizzare gli strumenti del progresso, vennero impiegati nei lavori di fatica, mentre il personale specializzato e meglio retribuito giunse dalla penisola. L'agglomerato industriale doveva sorgere a ridosso della costa, per permettere alle navi petroliere un adeguato approdo. Il luogo connotava un panorama di rara bellezza, folto di una lussureggiante foresta ed incorniciato dal golfo di Cagliari. Ora, a distanza di quasi quarant'anni, il paese è praticamente circondato dalle industrie chimiche e si avvistano ciminiere e serbatoi da ogni parte limitrofa. Il mare, denso di liquame inquinante, fluttua stancamente, violato delle gigantesche petroliere provenienti da chissà dove. Qualche abile urbanista ha pensato bene di deviare il tratto di strada che conduce a Sarroch, aprendo un percorso obbligato, al sol fine di ingannare ignari vacanzieri, che mai immaginerebbero, di trovarsi a pochi metri da una centrale petrolchimica. Suonerebbe come una sorta di eufemismo promozionale: la Sardegna all'insegna del turismo industriale! Si è imparato a convivere con il lezzo nauseabondo degli inarrestabili fumi tossici espulsi dalle tante ciminiere disseminate in tutta l'area, che nelle giornate ventose si fanno più intensi e insopportabili.
Siamo nel 2000 ed il boom economico del 60` è risultato solo un appannaggio di investitori esterni - come peraltro il turismo - mentre il problema della disoccupazione costituisce un fattore di crisi ed instabilità dei sarrochesi.
Le assunzioni negli stabilimenti sono pressoché rare e richiedono titoli di studio superiori alle mansioni di effettivo impiego delle categorie. L'unica ed eventuale possibilità di lavoro oggi si riduce ad assunzioni a tempo determinato presso piccole imprese esterne, spesso soggette al dramma della cassa integrazione. Molti giovani affogano il malanimo nella birra, trattenendosi anche intere giornate dentro i bar. Talune volte i rancori e l'insoddisfazione sociale vengono espressi in atti di vandalismo gratuito, contro i beni pubblici o più semplicemente con gesti di demotivata violenza. Possenti scazzottate, passano come esilaranti interludi.
Chi canta fuori dal coro viene contestato, e le poche iniziative promosse a favore della collettività vengono accolte con dubbio entusiasmo.
Dinanzi a questo quadro di costume si ha motivo di credere che non vi sia la volontà, da parte dei cittadini di Sarroch, di voler rilanciare gli aspetti più nobili della propria cultura. Gli argomenti di conversazione affrontati dai loquaci avventori delle birrerie, riguardano la solita solfa dell'imperante sfiducia verso la ripresa del paese, ma mai che nessuno cerchi di avanzare buoni propositi allo scopo di arrestare la lenta agonia sociale, circondata dalle ciminiere della presunzione. Non è confortante che tutto si riduca ad inconcludenti diatribe da bar dello sport, destinate a non andare oltre il bancone delle bevande. Anche lo spirito per il rischio imprenditoriale non è certo una delle particolari virtù riconosciute ai sardi, piuttosto schivi e propensi a seguire le mediocri carriere dinastiche alle dipendenze delle grandi industrie. Come quella che circoscrive Sarroch e che nelle notti di mezza estate, osservata dal colle dell'antico nuraghe, appare suggestiva come una piccola Manhattan, fino al sopraggiungere dell'alba, quando i fumi delle ciminiere svegliano anche l'incanto dell'illusione.