Supponiamo che il tempo
non abbia valore. Supponendo non dirò quando.
Supponiamo che lo spazio non abbia dove.
Dirò come.
La differenza tra il burro e il marmo sta nella mano che li sa
spalmare.
Un fiocco di neve. Poi
un altro. Un altro. Un altro e ancora uno, due. Un fiocco di
neve. Ancora. Tanti. Nevicava e vorrei spiegarlo fiocco a fiocco
perché ci sono persone che non hanno mai visto cadere
la neve. Alcuni l'hanno vista in terra ma non l'hanno mai vista
cadere.
Il mondo rallenta il pensieri come un treno che arriva in stazione
e la sensazione che si prova è quella d'attesa, aspettare
qualcosa che si ha voglia di vivere. Cade il cielo ed è
bianco, non ha neanche fretta.
Le strade erano già moquettate d'ovatta e i fiumi caldi
dei comignoli stentavano a farsi strada verso l'alto distratti
da una danza di seta.
Tra l'une e gli altri c'ero io, al secondo piano di un mondo
di vetro che appannavo con distrazione respirando da autodidatta.
Cercavo un punto in alto, il più lontano. Dalla vetta
lo vedevo arrivare e sgomitavo con gli occhi perché volevo
vederlo cadere, vedere qual'era il suo posto nel vostro mondo.
Lui lo sapeva e infatti la neve non cade a sasso ma piumeggia
e si nasconde e si confonde e si perde e si arrende e si capisce
che è stanco quando è fermo. E io riprovo e lo
ritrovo.
Maradona. Come Maratona ma al rallenty di una moviola. Come Maradona
ma al rallenty di una moviola di cui è difficile seguirne
il dribbling. Come Maradona.
C'è un filo sottile che unisce me a lui e non lo lascia
scappare. Lo seguo. Segugio. Lo spio.
Ce l'ho, questa volta non lo perdo.
E' stanco, è fermo. L'ho visto cadere dall'alto in basso,
dal cielo alla terra.
Ne ho quasi sentito il rumore. Dio che tonfo invisibile, che
schianto, che squarcio deve aver strappato al silenzio. E l'ho
perso perché sono chiuso.
Il mondo di vetro è appannato perché di respirare
non mi vuole passare il vizio. Non fa freddo quando si ha quella
cosa in bocca ed io l'avevo. Allora ho spalancato il mondo a
metà e l'ho visto meglio.
Qualcosa mi ha reso statua: insensibile agli spilli d'inverno.
Qualcosa mi ha reso un sorriso che probabilmente avevo prestato
a qualcuno tanto tempo fa.
In bocca.
E allora ho lasciato che si finisse il disegno del mio volto,
che si aggiungesse il colore e poi l'ho incorniciato nel mezzo
di un cuscino. Mi sono svegliato, l'ho toccato ed anche il colore
si era asciugato. L'ho trovato. Era ancora lì.
La neve era tutta stanca.
La neve era quasi sciolta perché al mondo si offre da
bere quando ha sete.
I fumi dei comignoli salivano sicuri e fieri perché il
mondo sbuffa quando lo spettacolo finisce all'inizio della noia
ma
lontano dalla finestra, lontano dai limiti dei miei sospiri,
lontano da qualsiasi centro che non sia altrove: vicino, appiccicato
l'ho trovato. Era ancora lì.
In uno di quei giorni in cui è possibile rompere le scatole
e magari ti ringraziano pure se lo fai in fretta e con violenza.
In uno di quei giorni in cui intorno alle scatole ci sono fiocchi
rossi e le mani sono più abili delle forbici. In uno di
quei giorni. In quel giorno. Ieri.
L'ho trovato il mio sorriso ed era tra le cose inaspettate. |