Quella del 38° parallelo
rimane l'ultima frontiera della guerra fredda, uno dei simboli
di quella che fu la divisione in due blocchi contrapposti nata
dalla seconda guerra mondiale.
A mezzo secolo di distanza infatti la questione coreana continua
ad essere uno degli scenari a più alto rischio sul piano
internazionale, resa ancora più delicata dall'importanza
politica e dalla rilevanza strategica dell'area in cui si svolge.
Tuttavia, pur con tutte le cautele del caso, le recenti aperture
del regime nordcoreano ed il buon esito del vertice svoltosi
a giugno tra i Presidenti dei due Paesi fanno sperare che si
possa prossimamente assistere ad un effettivo avvicinamento tra
governi di Seoul e Pyongyang.
Le origini della questione
coreana
Prima di addentrarsi
ad analizzare la questione coreana nei suoi sviluppi attuali,
è necessario effettuare una breve introduzione storica
per comprendere le ragioni che stanno alla base della decennale
disputa tra le due Coree. Possedimento giapponese dal 1905 la
Corea, secondo quanto concordato nella Conferenza di Postdam
nel luglio 1945 sarebbe dovuta tornare ad essere uno Stato indipendente
(una volta concluso il conflitto che opponeva gli Alleati al
Giappone. Le cose tuttavia andarono in maniera assai diversa,
trasformando il problema coreano in una delle più importanti
crisi politiche internazionali del dopoguerra. Al momento della
resa giapponese nell'agosto 1945 venne infatti deciso che il
disarmo dell'Esercito Imperiale di Tokyo sarebbe avvenuto a sud
del 38° parallelo per mano degli Stati Uniti mentre al nord
vi avrebbero invece provveduto i sovietici. Ma quella che doveva
essere solo una linea armistiziale provvisoria, in poco tempo
si trasformò in un vero e proprio confine politico-amministrativo
tra le due zone d'occupazione in cui era stato suddiviso il Paese.
Nel tentativo di risolvere la questione e riprendere il dialogo
venne quindi decisa la creazione di una Commissione congiunta
sovietico-americana, che però ben presto finì per
perdere qualsiasi efficacia vista la diversità delle posizioni
sostenute dalle due parti. Il caso coreano approdò così
alle Nazioni Unite, che nel novembre del 1947 istituirono una
Commissione incaricata di procedere allo svolgimento di libere
elezioni in tutto il territorio coreano a cui avrebbe dovuto
seguire la creazione di un unico governo nazionale, obiettivi
che però si dimostrarono irrealizzabili. Sin dal momento
della sua istituzione, i sovietici infatti negarono ogni validità
alla Commissione, impedendo ai suoi membri l'accesso nella zona
posta sotto il loro controllo. La consultazione elettorale si
svolse quindi solo nella parte meridionale del Paese, dove il
15 agosto 1948 veniva proclamata la Repubblica di Corea il cui
governo, che si considerava il legittimo rappresentante di tutta
la Corea, era riconosciuto dagli Stati Uniti e dagli altri Paesi
occidentali. In risposta, a pochi giorni di distanza, analoghe
elezioni ebbero luogo al nord, dove il 9 settembre nasceva la
Repubblica Popolare Democratica di Corea, che veniva riconosciuta
dall'Unione Sovietica e dagli altri Stati del blocco socialista.
Appariva chiaro quindi che entrambi i Paesi consideravano il
governo della controparte come illegittimo e la suddivisione
territoriale niente più che una soluzione provvisoria.
Dopo un tentativo di rovesciare il governo sudcoreano attraverso
la destabilizzazione interna, Pyongyang decise di passare all'opzione
militare, convinta che la Corea del Sud non fosse in grado di
opporre una valida resistenza. A Seoul il regime del Presidente
Syngman Rhee appariva infatti debole e con un esercito male armato,
senza contare che gli stessi rapporti con Washington non attraversavano
un buon momento. Il 25 giugno 1950 le Forze Armate nordcoreane
attaccarono la Corea del Sud dando così inizio al conflitto
coreano. Durata tre anni, la guerra non produsse però
gli esiti sperati da Pyongyang; costato migliaia di vittime e
la distruzione quasi totale del tessuto economico dei due Paesi,
il conflitto lasciava infatti inalterata la divisione territoriale
tra le due Coree, con la linea armistiziale che rimaneva fissata
sul 38° parallelo.
Le politiche di riunificazione
sostenute dai due Paesi dopo il conflitto
Tecnicamente ancora in
stato di guerra, tra le due Coree non vi sono stati più
contatti ufficiali per quasi mezzo secolo. Tuttavia, pur se con
posizioni estremamente diverse, entrambi i Paesi hanno sempre
dichiarato che la riunificazione rimane il loro obiettivo principale,
presentando nel corso degli anni tutta una serie di proposte
programmatiche.
Per quanto riguarda la Corea del Nord, il governo di Pyongyang
ha sempre considerato la riunificazione non come un ricongiungimento
tra due nazioni divise ma piuttosto come un completamento della
liberazione nazionale iniziato nel 1945, affermando che il regime
sudcoreano altro non era che un semplice esecutore della politica
americana nell'area e che solo la Corea del Nord rappresentava
l'unica parte del Paese effettivamente liberata al termine del
secondo conflitto mondiale. Dalla nascita dei due Stati ad oggi
la linea di Pyongyang in merito alla riunificazione ha seguito
diverse posizioni alternando, a seconda del caso, momenti di
intransigenza ed ostilità ad aperture diplomatiche nei
riguardi della Corea del Sud.
I primi due periodi della politica di Pyongyang corrispondono
alla fase della liberazione con la forza, attuata dal regime
nordcoreano tra il 1945 ed il 1950 con lo scopo di destabilizzare
dall'interno il governo di Seoul attraverso l'attività
dei gruppi comunisti sudcoreani, a cui nel decennio successivo
al conflitto coreano fece seguito quella più moderata
della "coesistenza pacifica", dove si dichiarava che
la riunificazione doveva avvenire solo con mezzi pacifici, preceduta
dal ritiro delle Forze militari straniere presenti nella penisola.
Dettata dall'intenzione di migliorare l'immagine internazionale
del Paese, la linea pragmatica nordcoreana fu confermata nel
1960, quando Pyongyang presentò il progetto per una confederazione
tra i due Paesi denominato Repubblica Democratica Confederale
di Koryo che avrebbe dovuto portare alla creazione di un unico
governo nazionale coreano ed alla fusione delle due Forze Armate
in un unico Esercito. Nel 1961 tuttavia Pyongyang ritornò
ad assumere una posizione intransigente, decisa soprattutto alla
luce della situazione interna sudocoreana che in quel periodo
vedeva la presenza di violente manifestazioni popolari contro
i militari che avevano rovesciato il governo del liberale Chang
Myon. Convinti erroneamente che le proteste contro il regime
del Generale Park Chung - hee potessero essere il segnale di
una più estesa rivolta, i dirigenti nordcoreani presero
così a sostenere la linea della rivoluzione democratica
che, proprio attraverso l'arma della sollevazione popolare, avrebbe
dovuto portare prima al rovesciamento del governo di Seoul e
poi alla sua sostituzione con uno favorevole al nord disposto
a negoziare con Pyongyang i termini della riunificazione. La
strategia nordcoreana doveva però rivelarsi fallimentare,
costringendo il regime di Kim Il - Sung ad assumere una posizione
più morbida. Veniva così lanciata la politica del
buon vicinato, in cui si affermava come la riunificazione avrebbe
dovuto essere raggiunta solo con mezzi pacifici e diplomatici.
Più che ad una reale volontà di dialogo, la nuova
posizione assunta da Pyongyang era dovuta però essenzialmente
alla crescente forza economica che il sud stava assumendo ed
alla riscontrata impossibilità da parte del regime nordcoreano
di rovesciare dall'interno il governo di Seoul. Appariva ormai
chiaro infatti che i sudcoreani erano ostili al regime militare
non per simpatia verso la Corea del Nord ma perché richiedevano
l'instaurazione di un sistema democratico nel Paese, rimanendo
quindi fermamente anticomunisti ed insensibili alle proposte
avanzate da Pyongyang. Nel 1993 infine un nuovo progetto di riunificazione
in dieci punti fu presentato dallo stesso leader nordcoreano
Kim Il - sung, progetto che riproponeva la formula della confederazione
già avanzata nel 1960.
Per quanto riguarda invece la Corea del Sud, il primo segnale
di apertura nei confronti del nord avvenne nel 1971, quando il
presidente Park Chung - hee, tramite la Croce Rossa, propose
al governo di Pyongyang di avviare dei colloqui per consentire
lo scambio di visite tra i membri dello stesso nucleo familiare
rimasti divisi dal conflitto . Iniziati con un vertice preparatorio
tenuto a Panmunjon, i due successivi incontri portarono, il 4
luglio 1972, alla firma di un comunicato congiunto tra le due
parti in cui si enunciava che l'unificazione sarebbe dovuta avvenire
con metodi pacifici e senza imposizioni esterne, impegnandosi
inoltre entrambi i governi a permettere degli scambi culturali
ed economici nonché ad istituire un comitato di coordinamento
che avrebbe tenuto i suoi incontri a Panmunjon. Nel 1973 tuttavia
i colloqui terminarono bruscamente a seguito dell'annuncio del
Presidente sudcoreano che il suo Paese avrebbe fatto una separata
domanda di ammissione alle Nazioni Unite. Un nuovo progetto di
Seoul in merito alla riunificazione fu presentato nel 1988 dall'allora
presidente Roh Tae - woo e si proponeva, attraverso un passaggio
graduale in quattro fasi, di giungere ad un Commonwealth tra
i due paesi. Denominato Han National Community Unification Formula
il disegno prevedeva come primo passo la redazione di una Carta
comune per l'unificazione da concordare tra i due paesi in un
vertice, a cui avrebbe dovuto seguire l'istituzione di Commonwealth
con un Presidente e un Consiglio dei Ministri che successivamente
avrebbe condotto al reciproco riconoscimento tra i due Paesi
e all'apertura di uffici di rappresentanza diplomatica nelle
rispettive capitali. Diversamente dal progetto confederale presentato
nel 1960 da Pyongyang, il piano di Roh Tae - woo prevedeva, più
che una effettiva unione politica tra i due stati, la creazione
di una comunità tra le due parti del Paese, all'interno
della quale sia la Corea del Sud che quella del Nord avrebbero
mantenuto la propria sovranità e soggettivita internazionale.
Successivamente a questa proposta una nuova fase di colloqui
tra i due paesi prese avvio nel 1990 a livello di Primi Ministri
per concludersi due anni dopo con la firma di un Accordo di principi
in cui si dichiarava l'intenzione di avviare degli scambi commerciali
e culturali e di rinunciare all'uso della forza. Bisognerà
comunque attendere l'elezione alla presidenza nel 1997 di Kim
Dae - jung, un ex oppositore più volte perseguitato dal
precedente regime, per assistere ad una effettiva svolta nei
rapporti tra Seoul e Pyongyang.
Denominata Sunshine policy, la politica del nuovo leader sudcoreano
nei riguardi del nord sottolinea l'opportunità di avviare
una cooperazione con il nord senza rinunciare tuttavia allo strumento
della deterrenza militare. In merito alla riunificazione, il
progetto di Kim Dae - jung nel presente si limita all'idea di
una unione de facto che dovrebbe portare a scambi commerciali
e culturali ed alla collaborazione militare, mentre l'effettiva
unificazione politica ed istituzionale si potrà realizzare
solo nel lungo periodo e dopo che sarà avvenuta una concreta
riconciliazione tra i due Paesi.
Le distanze tra i due paesi sul processo da seguire per giungere
alla riunificazione appaiono quindi notevoli. Se infatti la Corea
del Sud ha sempre sostenuto come questa dovesse avvenire gradualmente
attraverso libere elezioni che dovevano condurre prima alla creazione
di un Commonwealth nazionale e poi ad un governo comune, Pyongyang
ha invece continuamente avanzato l'idea di una Confederazione
in cui entrambi i Paesi avrebbero conservato i propri sistemi
politici e sociali e che si doveva raggiungere attraverso il
lavoro di una Conferenza composta dai delegati della società
civile e del mondo politico, aggiungendo inoltre come condizione
preliminare per l'apertura del dialogo il ritiro delle forze
militari statunitensi presenti e l'abolizione delle leggi sulla
sicurezza nazionale esistenti in Corea del Sud. Resta comunque
il fatto che, più che le difficoltà sul piano politico,
a rendere improbabile la riunificazione sono soprattutto i suoi
altissimi costi economici; da uno studio presentato sul problema
emerge infatti che l'incorporazione della Corea del Nord costerebbe
a Seoul circa 2.408 miliardi di dollari, una cifra che l'economia
sudcoreana non appare assolutamente in condizione di affrontare.
Gli equilibri militari
nella penisola ed il ruolo delle forze Armate in Corea del Nord
Passando ad analizzare
gli aspetti militari del problema, emerge come tuttora entrambi
i Paesi destinino una considerevole quota del loro bilancio statale
alla difesa per conservare una forza di deterrenza nei riguardi
della controparte. Composte da 1.055.000 effettivi e 4.700.000
riservisti, le Forze Armate di Pyongyang sono per grandezza le
quarte del mondo, numericamente superiori a quelle del sud che
contano solo 672.000 uomini e 4.500.000 riservisti. Tuttavia,
nonostante la riconosciuta superiorità in termini numerici,
a detta di numerosi osservatori Pyongyang non avrebbe la capacità
di prevalere sul sud in caso di conflitto tra i due Paesi. L'Armata
Popolare nordcoreana risulterebbe infatti fortemente indebolita,
soprattutto per la grave crisi in cui si trova la Corea del Nord.
Il deterioramento della situazione economica del Paese si è
riflettuto infatti anche sulle Forze Armate che, nonostante godano
ancora di un trattamento favorevole, hanno dovuto rinunciare
all'acquisto di pezzi e materiali di ricambio ed allo svolgimento
di esercitazioni, con grave danno per l'efficienza e la preparazione
dei reparti . Pur se ridimensionate, le Forze Armate ricoprono
comunque un ruolo di notevole rilevanza politica all'interno
del regime nordcoreano, ruolo che si è rafforzato dopo
la scomparsa di Kim Il - sung e l'ascesa al potere di suo figlio
Kim Jong - il. Il nuovo leader nordcoreano, che istituzionalmente
ricopre proprio la carica di Presidente della Commissione di
Difesa Nazionale, avrebbe deciso di puntare principalmente sul
sostegno delle Forze Armate, il cui peso sarebbe attualmente
più forte di quello dello stesso partito dei Lavoratori.
Considerato da Kim Jong - il un ostacolo alla sua azione, il
partito ha visto ridurre fortemente la sua influenza, come confermato
dal fatto che dal 1997 sia il Congresso che il Comitato Centrale
non sono stati più convocati, mentre lo stesso Praesidium
dell'Ufficio Politico, dopo la scomparsa del Ministro della Difesa
O Jin U, è ormai composto da un solo membro, non essendo
stati più nominati gli altri suoi componenti. Appare chiaro
quindi che i nuovi equilibri interni al regime hanno rafforzato
la posizione di Kim Jong - il, che comunque non sembra avere
ancora assunto in pieno il controllo dell'intera struttura politica
nordcoreana.
Gli effetti del vertice
di Pyongyang sui due Paesi e sul contesto regionale
Primo incontro ufficiale
tra i leader coreani dalla conclusione del conflitto, il vertice
di Pyongyang riveste, oltre che un forte significato simbolico,
anche una notevole importanza sul piano diplomatico utile a comprendere
quali saranno i futuri equilibri interni alla regione.
Per quanto riguarda i rapporti tra le due Coree, il vertice si
è concluso infatti con la firma di una dichiarazione congiunta
all'interno della quale particolare rilevanza assumono i punti
riguardanti lo scambio di visite tra i nuclei familiari rimasti
divisi dal conflitto e l'avvio di una cooperazione economica
tra i due Paesi. Da sempre al centro delle richieste di Seoul
vista la forte percentuale di sudcoreani che ha dei congiunti
a nord del 38° parallelo, l'avvio dei contatti tra gli abitanti
della penisola è per il Presidente Kim Dae - jung un risultato
di grande valore politico, mentre per Pyongyang assumono un'importanza
fondamentale gli aiuti economici, dato che la Corea del Nord
necessita del sostegno sudcoreano per uscire dalla grave crisi
che ha portato il Paese sull'orlo del collasso. Sul tema della
riunificazione i due Paesi si sono invece limitati più
a delle dichiarazioni di principio, affermando come questo sia
un problema esclusivamente coreano e riconoscendo un valore negoziale
ad entrambe le proposte avanzate da Seoul e Pyongyang (punti
1 e 2 della Dichiarazione Congiunta finale).
Allo stesso modo, i risultati del vertice interessano da vicino
anche la Cina. Alleato storico del regime di Pyongyang Pechino
desidera un miglioramento della situazione nella regione in primo
luogo perché un eventuale collasso della Corea del Nord
causerebbe un'ondata di profughi che si riverserebbe nei suoi
confini ed inoltre per il fatto che la distensione tra Washington
e la Corea del Nord porterebbe gli Stati Uniti ad abbandonare
il National Missile Defense (Lo scudo stellare, n.d.r.), il sistema
missilistico di difesa fortemente criticato dal governo cinese.
Soddisfazione per gli esiti del vertice di Pyongyang è
stata espressa anche dal Presidente russo Putin, interessato
a ridare a Mosca un ruolo di primo piano in Asia ed a rafforzare
la cooperazione politica ed economica tra la Russia e la Corea
del Nord.
Più articolata è invece la posizione degli Stati
Uniti. Se la decisione nordcoreana di sospendere le prove di
lancio dei missili Tiepodong ed i viaggi effettuati a Washington
dal vice-Presidente della Commissione Nazionale di Difesa nordcoreana
Jo Myong - rok ed a Pyongyang dal Segretario di Stato americano
Madeleine Albright sembrano preludere al disgelo ed all'avvio
di relazioni ufficiali tra i due Paesi, negli ambienti diplomatici
statunitensi rimangono tuttavia ancora delle incertezze riguardo
alla Corea del Nord. Infatti, come sottolineano gli analisti,
un eventuale miglioramento dei rapporti tra Seoul e Pyongyang
porterebbe alla riduzione della presenza militare statunitense
in Corea del Sud e ad una conseguente perdita di influenza del
ruolo di Washington nella regione a vantaggio di Mosca e Pechino.
Alla luce di questi eventi, i prossimi mesi saranno quindi essenziali
per vedere se si potrà assistere al disgelo nelle relazioni
tra le due Coree e ad un'effettiva distensione nel quadro regionale
dell'Asia nord - orientale.Esiste un legame molto stretto tra
l'invio di una e-mail, l'elaborazione di un'immagine digitale
oppure una partita ad un moderno videogame. Un legame fatto di
milioni di transistor integrati su una minuscola scheggia di
silicio: il suo nome è "microprocessore". Il
microprocessore rappresenta l'unica "costante" tra
i molteplici usi che si possono fare di un moderno personal computer:
è lui l'artefice dei nostri successi ad un videogame...
oppure la causa delle nostre frustrazioni quando un'applicazione
rallenta. Una scelta oculata di questo componente è dunque
fondamentale per poter usare con soddisfazione quel meraviglioso
strumento che è il PC! Per questo motivo abbiamo deciso
di esaminare attraverso un confronto i due microprocessori per
PC più veloci del momento: il nuovissimo Athlon di AMD
e il Pentium III in versione Coppermine di Intel.
AMD Athlon segna il debutto
di AMD nel segmento delle CPU ad alte prestazioni. Questo processore
di settima generazione vanta caratteristiche ineguagliate, come
la cache L1 da ben 128 Kbyte, le nove unità parallele
di esecuzione, oppure il velocissimo bus di comunicazione da
200 MHz, ereditato dai processori Alpha di Digital. Athlon integra
la tecnologia MMX, oltre ad uno speciale set di istruzioni ideato
da AMD per velocizzare il 3D e il multimedia, chiamato 3DNow!.
Sebbene simile nelle fattezze ai processori di Intel, Athlon
richiede per funzionare delle schede madri specifiche, compatibili
con quello che AMD ha battezzato SlotA. Attraverso i principali
marchi sono disponibili per ora modelli con il chipset AMD 750
e supporto all'AGP 2x, all'UltraDMA/66 e alle memorie PC100.
A breve saranno disponibili prodotti basati sul chipset KX133
di VIA, con supporto anche all'AGP4x e alle memorie PC133. Le
schede madri per Athlon offrono lo stesso livello di funzionalità
di quelle per processori Intel. Athlon è disponibile con
frequenze da 500 a 800 MHz ed è perfettamente compatibile
con tuffi i sistemi operativi e le applicazioni per PC. A partire
dalla versione a 750 MHz è costruito con un nuovo processo
a 0,18 micron, che consente di raggiungere frequenze più
elevate con una minore dissipazione di calore.
Intel Pentium III è
il cavallo di battaglia nell'attuale offerta di processori Intel.
Le novità che introduce rispetto al predecessore Pentium
Il sono tuttavia abbastanza marginali e l'architettura di base
resta sempre quella di sesta generazione, siglata P6 , ereditata
da un Pentium Pro che debuttava addirittura nel novembre del
'95. In sostanza Pentium III unisce, alla tecnologia MMX di Pentium
Il, 70 nuove istruzioni per velocizzare 3D e multimedia, simili
ma non compatibili con le 3DNow! di AMD. Queste istruzioni si
chiamano SSE. Di recente Pentium III ha subito un ulteriore restyling.
Ai Pentium III standard si sono infatti affiancati i nuovi Coppermine
(è un nome in codice), identificati dalle sigle E e EB,
realizzati a 0,18 micron e caratterizzati da una nuova architettura
per la cache, chiamata ATC, che prevede 256 Kbyte di cache L2
funzionanti alla stessa frequenza di clock del processore, invece
di 512 Kbyte funzionanti a metà frequenza. La differenza
tra il modello E ed EB sta nella velocità del bus, che
passa da 100 a 133 MHz. Pentium III Coppermine è disponibile
con frequenze da 500 a 800 MHz, si inserisce in un connettore
chiamato Slot1 ed e' affiancato dal nuovo chip set Intel i820,
che supporta il bus a 133Mhz, le memorie Rambus (D-RDRAM), l'AGP
4x e l'UItraDMA/66.
I confronti effettuabili
sono stati sostanzialmente di due tipi: sintetici e applicativi.
I primi sintetizzano le prestazioni a livello del singolo componente,
mentre i test applicativi misurano le prestazioni in una situazione
reale: il fotoritocco di un'immagine, l'elaborazione di un modello
tridimensionale, ecc... Potete adottare la frequenza di 600 MHz
per entrambi i processori e l'identica componentistica di contorno
(128 Mbyte di RAM PC100, disco rigido, scheda video), eccezion
fatta per le schede madri.
Sul sistema Intel la
scheda video (la velocissima Matrox Millenium G400 Max) funziona
in modalità AGP 4x. Il risultato con applicazioni professionali
con grafica e applicazioni 2D/3D è che il nuovo processore
Athlon di AMD è davvero un "must"; grazie alle
tre unità di calcolo Floating Point surclassa Pentium
III di un margine variabile dal 15 al 20%.
Per raggiungere le performance
professionali di un Athlon 600 MHz serve addirittura un Pentium
III 733 MHz! Il 15% in più è quanto Athlon offre
anche agli utenti delle comuni applicazioni per ufficio (tipo
Office). In ambito multimedia e Internet, che si tratti di comprimere
filmati nel formato MPEG-2 o di eseguire istruzioni Java, Athlon
stacca Pentium III del 20% circa, dimostrando di essere il Nr
1 anche per chi vuole navigare su Internet o fare dell'authoring
multimediale. Con l'AGP il funzionamento in 4x del sistema Intel
non solo dimostra di non offrire alcun vantaggio tangibile, ma
finisce, per prestazioni, dietro al sistema AMD che lavora in
modalità 2x. In ambito giochi, uno dei terreni di prova
più insidiosi e al tempo stesso probanti, il margine di
vantaggio di Athlon sul sistema Intel va dal 10 al 17%. Anche
nella migliore delle ipotesi, un Athlon 600 e un Pentium III
733 arrivano al fotofinish, come è possibile dimostrare
con Quake III Arena; negli altri casi Pentium III finisce addirittura
dietro. Trarre delle conclusioni non è certo difficile
in una situazione come questa... Sinceramente ci si aspettava
un match più combattuto e forse una Intel più in
forma, ma così non è stato e Pentium III ne esce
sconfitto. Può anche darsi che il divario tra i due processori
si riduca adottando sulla piattaforma Pentium III le nuove (e
costose) memorie Rambus, ma come scusa per Intel non sarebbe
comunque accettabile. Un Athlon di AMD costa infatti meno di
un Pentium III a parità di frequenza ed è in grado
di sopravanzare quest'ultimo con qualsiasi tipo d'applicazione,
senza il bisogno di ricorrere ad introvabili memorie particolari.
La verità è che mentre Intel ha inseguito, attraverso
tecnologie più costose che rivoluzionarie, il miraggio
di prestazioni che arriveranno solo se il mercato sarà
disposto a seguire e condividere le sue scelte (vedi memorie
Rambus), AMD ha deciso di offrire già oggi, con il suo
nuovo Athlon, i vantaggi di una vera architettura di settima
generazione. |