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Le due Coree dopo il vertice di Pyongyang

Dott. Rodolfo Bastianelli

Tratto da INFORMAZIONI DELLA DIFESA Giugno 2000

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Quella del 38° parallelo rimane l'ultima frontiera della guerra fredda, uno dei simboli di quella che fu la divisione in due blocchi contrapposti nata dalla seconda guerra mondiale.
A mezzo secolo di distanza infatti la questione coreana continua ad essere uno degli scenari a più alto rischio sul piano internazionale, resa ancora più delicata dall'importanza politica e dalla rilevanza strategica dell'area in cui si svolge. Tuttavia, pur con tutte le cautele del caso, le recenti aperture del regime nordcoreano ed il buon esito del vertice svoltosi a giugno tra i Presidenti dei due Paesi fanno sperare che si possa prossimamente assistere ad un effettivo avvicinamento tra governi di Seoul e Pyongyang.

Le origini della questione coreana

Prima di addentrarsi ad analizzare la questione coreana nei suoi sviluppi attuali, è necessario effettuare una breve introduzione storica per comprendere le ragioni che stanno alla base della decennale disputa tra le due Coree. Possedimento giapponese dal 1905 la Corea, secondo quanto concordato nella Conferenza di Postdam nel luglio 1945 sarebbe dovuta tornare ad essere uno Stato indipendente (una volta concluso il conflitto che opponeva gli Alleati al Giappone. Le cose tuttavia andarono in maniera assai diversa, trasformando il problema coreano in una delle più importanti crisi politiche internazionali del dopoguerra. Al momento della resa giapponese nell'agosto 1945 venne infatti deciso che il disarmo dell'Esercito Imperiale di Tokyo sarebbe avvenuto a sud del 38° parallelo per mano degli Stati Uniti mentre al nord vi avrebbero invece provveduto i sovietici. Ma quella che doveva essere solo una linea armistiziale provvisoria, in poco tempo si trasformò in un vero e proprio confine politico-amministrativo tra le due zone d'occupazione in cui era stato suddiviso il Paese. Nel tentativo di risolvere la questione e riprendere il dialogo venne quindi decisa la creazione di una Commissione congiunta sovietico-americana, che però ben presto finì per perdere qualsiasi efficacia vista la diversità delle posizioni sostenute dalle due parti. Il caso coreano approdò così alle Nazioni Unite, che nel novembre del 1947 istituirono una Commissione incaricata di procedere allo svolgimento di libere elezioni in tutto il territorio coreano a cui avrebbe dovuto seguire la creazione di un unico governo nazionale, obiettivi che però si dimostrarono irrealizzabili. Sin dal momento della sua istituzione, i sovietici infatti negarono ogni validità alla Commissione, impedendo ai suoi membri l'accesso nella zona posta sotto il loro controllo. La consultazione elettorale si svolse quindi solo nella parte meridionale del Paese, dove il 15 agosto 1948 veniva proclamata la Repubblica di Corea il cui governo, che si considerava il legittimo rappresentante di tutta la Corea, era riconosciuto dagli Stati Uniti e dagli altri Paesi occidentali. In risposta, a pochi giorni di distanza, analoghe elezioni ebbero luogo al nord, dove il 9 settembre nasceva la Repubblica Popolare Democratica di Corea, che veniva riconosciuta dall'Unione Sovietica e dagli altri Stati del blocco socialista.
Appariva chiaro quindi che entrambi i Paesi consideravano il governo della controparte come illegittimo e la suddivisione territoriale niente più che una soluzione provvisoria. Dopo un tentativo di rovesciare il governo sudcoreano attraverso la destabilizzazione interna, Pyongyang decise di passare all'opzione militare, convinta che la Corea del Sud non fosse in grado di opporre una valida resistenza. A Seoul il regime del Presidente Syngman Rhee appariva infatti debole e con un esercito male armato, senza contare che gli stessi rapporti con Washington non attraversavano un buon momento. Il 25 giugno 1950 le Forze Armate nordcoreane attaccarono la Corea del Sud dando così inizio al conflitto coreano. Durata tre anni, la guerra non produsse però gli esiti sperati da Pyongyang; costato migliaia di vittime e la distruzione quasi totale del tessuto economico dei due Paesi, il conflitto lasciava infatti inalterata la divisione territoriale tra le due Coree, con la linea armistiziale che rimaneva fissata sul 38° parallelo.

Le politiche di riunificazione sostenute dai due Paesi dopo il conflitto

Tecnicamente ancora in stato di guerra, tra le due Coree non vi sono stati più contatti ufficiali per quasi mezzo secolo. Tuttavia, pur se con posizioni estremamente diverse, entrambi i Paesi hanno sempre dichiarato che la riunificazione rimane il loro obiettivo principale, presentando nel corso degli anni tutta una serie di proposte programmatiche.
Per quanto riguarda la Corea del Nord, il governo di Pyongyang ha sempre considerato la riunificazione non come un ricongiungimento tra due nazioni divise ma piuttosto come un completamento della liberazione nazionale iniziato nel 1945, affermando che il regime sudcoreano altro non era che un semplice esecutore della politica americana nell'area e che solo la Corea del Nord rappresentava l'unica parte del Paese effettivamente liberata al termine del secondo conflitto mondiale. Dalla nascita dei due Stati ad oggi la linea di Pyongyang in merito alla riunificazione ha seguito diverse posizioni alternando, a seconda del caso, momenti di intransigenza ed ostilità ad aperture diplomatiche nei riguardi della Corea del Sud.
I primi due periodi della politica di Pyongyang corrispondono alla fase della liberazione con la forza, attuata dal regime nordcoreano tra il 1945 ed il 1950 con lo scopo di destabilizzare dall'interno il governo di Seoul attraverso l'attività dei gruppi comunisti sudcoreani, a cui nel decennio successivo al conflitto coreano fece seguito quella più moderata della "coesistenza pacifica", dove si dichiarava che la riunificazione doveva avvenire solo con mezzi pacifici, preceduta dal ritiro delle Forze militari straniere presenti nella penisola.
Dettata dall'intenzione di migliorare l'immagine internazionale del Paese, la linea pragmatica nordcoreana fu confermata nel 1960, quando Pyongyang presentò il progetto per una confederazione tra i due Paesi denominato Repubblica Democratica Confederale di Koryo che avrebbe dovuto portare alla creazione di un unico governo nazionale coreano ed alla fusione delle due Forze Armate in un unico Esercito. Nel 1961 tuttavia Pyongyang ritornò ad assumere una posizione intransigente, decisa soprattutto alla luce della situazione interna sudocoreana che in quel periodo vedeva la presenza di violente manifestazioni popolari contro i militari che avevano rovesciato il governo del liberale Chang Myon. Convinti erroneamente che le proteste contro il regime del Generale Park Chung - hee potessero essere il segnale di una più estesa rivolta, i dirigenti nordcoreani presero così a sostenere la linea della rivoluzione democratica che, proprio attraverso l'arma della sollevazione popolare, avrebbe dovuto portare prima al rovesciamento del governo di Seoul e poi alla sua sostituzione con uno favorevole al nord disposto a negoziare con Pyongyang i termini della riunificazione. La strategia nordcoreana doveva però rivelarsi fallimentare, costringendo il regime di Kim Il - Sung ad assumere una posizione più morbida. Veniva così lanciata la politica del buon vicinato, in cui si affermava come la riunificazione avrebbe dovuto essere raggiunta solo con mezzi pacifici e diplomatici. Più che ad una reale volontà di dialogo, la nuova posizione assunta da Pyongyang era dovuta però essenzialmente alla crescente forza economica che il sud stava assumendo ed alla riscontrata impossibilità da parte del regime nordcoreano di rovesciare dall'interno il governo di Seoul. Appariva ormai chiaro infatti che i sudcoreani erano ostili al regime militare non per simpatia verso la Corea del Nord ma perché richiedevano l'instaurazione di un sistema democratico nel Paese, rimanendo quindi fermamente anticomunisti ed insensibili alle proposte avanzate da Pyongyang. Nel 1993 infine un nuovo progetto di riunificazione in dieci punti fu presentato dallo stesso leader nordcoreano Kim Il - sung, progetto che riproponeva la formula della confederazione già avanzata nel 1960.
Per quanto riguarda invece la Corea del Sud, il primo segnale di apertura nei confronti del nord avvenne nel 1971, quando il presidente Park Chung - hee, tramite la Croce Rossa, propose al governo di Pyongyang di avviare dei colloqui per consentire lo scambio di visite tra i membri dello stesso nucleo familiare rimasti divisi dal conflitto . Iniziati con un vertice preparatorio tenuto a Panmunjon, i due successivi incontri portarono, il 4 luglio 1972, alla firma di un comunicato congiunto tra le due parti in cui si enunciava che l'unificazione sarebbe dovuta avvenire con metodi pacifici e senza imposizioni esterne, impegnandosi inoltre entrambi i governi a permettere degli scambi culturali ed economici nonché ad istituire un comitato di coordinamento che avrebbe tenuto i suoi incontri a Panmunjon. Nel 1973 tuttavia i colloqui terminarono bruscamente a seguito dell'annuncio del Presidente sudcoreano che il suo Paese avrebbe fatto una separata domanda di ammissione alle Nazioni Unite. Un nuovo progetto di Seoul in merito alla riunificazione fu presentato nel 1988 dall'allora presidente Roh Tae - woo e si proponeva, attraverso un passaggio graduale in quattro fasi, di giungere ad un Commonwealth tra i due paesi. Denominato Han National Community Unification Formula il disegno prevedeva come primo passo la redazione di una Carta comune per l'unificazione da concordare tra i due paesi in un vertice, a cui avrebbe dovuto seguire l'istituzione di Commonwealth con un Presidente e un Consiglio dei Ministri che successivamente avrebbe condotto al reciproco riconoscimento tra i due Paesi e all'apertura di uffici di rappresentanza diplomatica nelle rispettive capitali. Diversamente dal progetto confederale presentato nel 1960 da Pyongyang, il piano di Roh Tae - woo prevedeva, più che una effettiva unione politica tra i due stati, la creazione di una comunità tra le due parti del Paese, all'interno della quale sia la Corea del Sud che quella del Nord avrebbero mantenuto la propria sovranità e soggettivita internazionale. Successivamente a questa proposta una nuova fase di colloqui tra i due paesi prese avvio nel 1990 a livello di Primi Ministri per concludersi due anni dopo con la firma di un Accordo di principi in cui si dichiarava l'intenzione di avviare degli scambi commerciali e culturali e di rinunciare all'uso della forza. Bisognerà comunque attendere l'elezione alla presidenza nel 1997 di Kim Dae - jung, un ex oppositore più volte perseguitato dal precedente regime, per assistere ad una effettiva svolta nei rapporti tra Seoul e Pyongyang.
Denominata Sunshine policy, la politica del nuovo leader sudcoreano nei riguardi del nord sottolinea l'opportunità di avviare una cooperazione con il nord senza rinunciare tuttavia allo strumento della deterrenza militare. In merito alla riunificazione, il progetto di Kim Dae - jung nel presente si limita all'idea di una unione de facto che dovrebbe portare a scambi commerciali e culturali ed alla collaborazione militare, mentre l'effettiva unificazione politica ed istituzionale si potrà realizzare solo nel lungo periodo e dopo che sarà avvenuta una concreta riconciliazione tra i due Paesi.
Le distanze tra i due paesi sul processo da seguire per giungere alla riunificazione appaiono quindi notevoli. Se infatti la Corea del Sud ha sempre sostenuto come questa dovesse avvenire gradualmente attraverso libere elezioni che dovevano condurre prima alla creazione di un Commonwealth nazionale e poi ad un governo comune, Pyongyang ha invece continuamente avanzato l'idea di una Confederazione in cui entrambi i Paesi avrebbero conservato i propri sistemi politici e sociali e che si doveva raggiungere attraverso il lavoro di una Conferenza composta dai delegati della società civile e del mondo politico, aggiungendo inoltre come condizione preliminare per l'apertura del dialogo il ritiro delle forze militari statunitensi presenti e l'abolizione delle leggi sulla sicurezza nazionale esistenti in Corea del Sud. Resta comunque il fatto che, più che le difficoltà sul piano politico, a rendere improbabile la riunificazione sono soprattutto i suoi altissimi costi economici; da uno studio presentato sul problema emerge infatti che l'incorporazione della Corea del Nord costerebbe a Seoul circa 2.408 miliardi di dollari, una cifra che l'economia sudcoreana non appare assolutamente in condizione di affrontare.

Gli equilibri militari nella penisola ed il ruolo delle forze Armate in Corea del Nord

Passando ad analizzare gli aspetti militari del problema, emerge come tuttora entrambi i Paesi destinino una considerevole quota del loro bilancio statale alla difesa per conservare una forza di deterrenza nei riguardi della controparte. Composte da 1.055.000 effettivi e 4.700.000 riservisti, le Forze Armate di Pyongyang sono per grandezza le quarte del mondo, numericamente superiori a quelle del sud che contano solo 672.000 uomini e 4.500.000 riservisti. Tuttavia, nonostante la riconosciuta superiorità in termini numerici, a detta di numerosi osservatori Pyongyang non avrebbe la capacità di prevalere sul sud in caso di conflitto tra i due Paesi. L'Armata Popolare nordcoreana risulterebbe infatti fortemente indebolita, soprattutto per la grave crisi in cui si trova la Corea del Nord. Il deterioramento della situazione economica del Paese si è riflettuto infatti anche sulle Forze Armate che, nonostante godano ancora di un trattamento favorevole, hanno dovuto rinunciare all'acquisto di pezzi e materiali di ricambio ed allo svolgimento di esercitazioni, con grave danno per l'efficienza e la preparazione dei reparti . Pur se ridimensionate, le Forze Armate ricoprono comunque un ruolo di notevole rilevanza politica all'interno del regime nordcoreano, ruolo che si è rafforzato dopo la scomparsa di Kim Il - sung e l'ascesa al potere di suo figlio Kim Jong - il. Il nuovo leader nordcoreano, che istituzionalmente ricopre proprio la carica di Presidente della Commissione di Difesa Nazionale, avrebbe deciso di puntare principalmente sul sostegno delle Forze Armate, il cui peso sarebbe attualmente più forte di quello dello stesso partito dei Lavoratori. Considerato da Kim Jong - il un ostacolo alla sua azione, il partito ha visto ridurre fortemente la sua influenza, come confermato dal fatto che dal 1997 sia il Congresso che il Comitato Centrale non sono stati più convocati, mentre lo stesso Praesidium dell'Ufficio Politico, dopo la scomparsa del Ministro della Difesa O Jin U, è ormai composto da un solo membro, non essendo stati più nominati gli altri suoi componenti. Appare chiaro quindi che i nuovi equilibri interni al regime hanno rafforzato la posizione di Kim Jong - il, che comunque non sembra avere ancora assunto in pieno il controllo dell'intera struttura politica nordcoreana.

Gli effetti del vertice di Pyongyang sui due Paesi e sul contesto regionale

Primo incontro ufficiale tra i leader coreani dalla conclusione del conflitto, il vertice di Pyongyang riveste, oltre che un forte significato simbolico, anche una notevole importanza sul piano diplomatico utile a comprendere quali saranno i futuri equilibri interni alla regione.
Per quanto riguarda i rapporti tra le due Coree, il vertice si è concluso infatti con la firma di una dichiarazione congiunta all'interno della quale particolare rilevanza assumono i punti riguardanti lo scambio di visite tra i nuclei familiari rimasti divisi dal conflitto e l'avvio di una cooperazione economica tra i due Paesi. Da sempre al centro delle richieste di Seoul vista la forte percentuale di sudcoreani che ha dei congiunti a nord del 38° parallelo, l'avvio dei contatti tra gli abitanti della penisola è per il Presidente Kim Dae - jung un risultato di grande valore politico, mentre per Pyongyang assumono un'importanza fondamentale gli aiuti economici, dato che la Corea del Nord necessita del sostegno sudcoreano per uscire dalla grave crisi che ha portato il Paese sull'orlo del collasso. Sul tema della riunificazione i due Paesi si sono invece limitati più a delle dichiarazioni di principio, affermando come questo sia un problema esclusivamente coreano e riconoscendo un valore negoziale ad entrambe le proposte avanzate da Seoul e Pyongyang (punti 1 e 2 della Dichiarazione Congiunta finale).
Allo stesso modo, i risultati del vertice interessano da vicino anche la Cina. Alleato storico del regime di Pyongyang Pechino desidera un miglioramento della situazione nella regione in primo luogo perché un eventuale collasso della Corea del Nord causerebbe un'ondata di profughi che si riverserebbe nei suoi confini ed inoltre per il fatto che la distensione tra Washington e la Corea del Nord porterebbe gli Stati Uniti ad abbandonare il National Missile Defense (Lo scudo stellare, n.d.r.), il sistema missilistico di difesa fortemente criticato dal governo cinese. Soddisfazione per gli esiti del vertice di Pyongyang è stata espressa anche dal Presidente russo Putin, interessato a ridare a Mosca un ruolo di primo piano in Asia ed a rafforzare la cooperazione politica ed economica tra la Russia e la Corea del Nord.
Più articolata è invece la posizione degli Stati Uniti. Se la decisione nordcoreana di sospendere le prove di lancio dei missili Tiepodong ed i viaggi effettuati a Washington dal vice-Presidente della Commissione Nazionale di Difesa nordcoreana Jo Myong - rok ed a Pyongyang dal Segretario di Stato americano Madeleine Albright sembrano preludere al disgelo ed all'avvio di relazioni ufficiali tra i due Paesi, negli ambienti diplomatici statunitensi rimangono tuttavia ancora delle incertezze riguardo alla Corea del Nord. Infatti, come sottolineano gli analisti, un eventuale miglioramento dei rapporti tra Seoul e Pyongyang porterebbe alla riduzione della presenza militare statunitense in Corea del Sud e ad una conseguente perdita di influenza del ruolo di Washington nella regione a vantaggio di Mosca e Pechino.
Alla luce di questi eventi, i prossimi mesi saranno quindi essenziali per vedere se si potrà assistere al disgelo nelle relazioni tra le due Coree e ad un'effettiva distensione nel quadro regionale dell'Asia nord - orientale.Esiste un legame molto stretto tra l'invio di una e-mail, l'elaborazione di un'immagine digitale oppure una partita ad un moderno videogame. Un legame fatto di milioni di transistor integrati su una minuscola scheggia di silicio: il suo nome è "microprocessore". Il microprocessore rappresenta l'unica "costante" tra i molteplici usi che si possono fare di un moderno personal computer: è lui l'artefice dei nostri successi ad un videogame... oppure la causa delle nostre frustrazioni quando un'applicazione rallenta. Una scelta oculata di questo componente è dunque fondamentale per poter usare con soddisfazione quel meraviglioso strumento che è il PC! Per questo motivo abbiamo deciso di esaminare attraverso un confronto i due microprocessori per PC più veloci del momento: il nuovissimo Athlon di AMD e il Pentium III in versione Coppermine di Intel.

AMD Athlon segna il debutto di AMD nel segmento delle CPU ad alte prestazioni. Questo processore di settima generazione vanta caratteristiche ineguagliate, come la cache L1 da ben 128 Kbyte, le nove unità parallele di esecuzione, oppure il velocissimo bus di comunicazione da 200 MHz, ereditato dai processori Alpha di Digital. Athlon integra la tecnologia MMX, oltre ad uno speciale set di istruzioni ideato da AMD per velocizzare il 3D e il multimedia, chiamato 3DNow!. Sebbene simile nelle fattezze ai processori di Intel, Athlon richiede per funzionare delle schede madri specifiche, compatibili con quello che AMD ha battezzato SlotA. Attraverso i principali marchi sono disponibili per ora modelli con il chipset AMD 750 e supporto all'AGP 2x, all'UltraDMA/66 e alle memorie PC100. A breve saranno disponibili prodotti basati sul chipset KX133 di VIA, con supporto anche all'AGP4x e alle memorie PC133. Le schede madri per Athlon offrono lo stesso livello di funzionalità di quelle per processori Intel. Athlon è disponibile con frequenze da 500 a 800 MHz ed è perfettamente compatibile con tuffi i sistemi operativi e le applicazioni per PC. A partire dalla versione a 750 MHz è costruito con un nuovo processo a 0,18 micron, che consente di raggiungere frequenze più elevate con una minore dissipazione di calore.

Intel Pentium III è il cavallo di battaglia nell'attuale offerta di processori Intel. Le novità che introduce rispetto al predecessore Pentium Il sono tuttavia abbastanza marginali e l'architettura di base resta sempre quella di sesta generazione, siglata P6 , ereditata da un Pentium Pro che debuttava addirittura nel novembre del '95. In sostanza Pentium III unisce, alla tecnologia MMX di Pentium Il, 70 nuove istruzioni per velocizzare 3D e multimedia, simili ma non compatibili con le 3DNow! di AMD. Queste istruzioni si chiamano SSE. Di recente Pentium III ha subito un ulteriore restyling. Ai Pentium III standard si sono infatti affiancati i nuovi Coppermine (è un nome in codice), identificati dalle sigle E e EB, realizzati a 0,18 micron e caratterizzati da una nuova architettura per la cache, chiamata ATC, che prevede 256 Kbyte di cache L2 funzionanti alla stessa frequenza di clock del processore, invece di 512 Kbyte funzionanti a metà frequenza. La differenza tra il modello E ed EB sta nella velocità del bus, che passa da 100 a 133 MHz. Pentium III Coppermine è disponibile con frequenze da 500 a 800 MHz, si inserisce in un connettore chiamato Slot1 ed e' affiancato dal nuovo chip set Intel i820, che supporta il bus a 133Mhz, le memorie Rambus (D-RDRAM), l'AGP 4x e l'UItraDMA/66.

I confronti effettuabili sono stati sostanzialmente di due tipi: sintetici e applicativi. I primi sintetizzano le prestazioni a livello del singolo componente, mentre i test applicativi misurano le prestazioni in una situazione reale: il fotoritocco di un'immagine, l'elaborazione di un modello tridimensionale, ecc... Potete adottare la frequenza di 600 MHz per entrambi i processori e l'identica componentistica di contorno (128 Mbyte di RAM PC100, disco rigido, scheda video), eccezion fatta per le schede madri.

Sul sistema Intel la scheda video (la velocissima Matrox Millenium G400 Max) funziona in modalità AGP 4x. Il risultato con applicazioni professionali con grafica e applicazioni 2D/3D è che il nuovo processore Athlon di AMD è davvero un "must"; grazie alle tre unità di calcolo Floating Point surclassa Pentium III di un margine variabile dal 15 al 20%.

Per raggiungere le performance professionali di un Athlon 600 MHz serve addirittura un Pentium III 733 MHz! Il 15% in più è quanto Athlon offre anche agli utenti delle comuni applicazioni per ufficio (tipo Office). In ambito multimedia e Internet, che si tratti di comprimere filmati nel formato MPEG-2 o di eseguire istruzioni Java, Athlon stacca Pentium III del 20% circa, dimostrando di essere il Nr 1 anche per chi vuole navigare su Internet o fare dell'authoring multimediale. Con l'AGP il funzionamento in 4x del sistema Intel non solo dimostra di non offrire alcun vantaggio tangibile, ma finisce, per prestazioni, dietro al sistema AMD che lavora in modalità 2x. In ambito giochi, uno dei terreni di prova più insidiosi e al tempo stesso probanti, il margine di vantaggio di Athlon sul sistema Intel va dal 10 al 17%. Anche nella migliore delle ipotesi, un Athlon 600 e un Pentium III 733 arrivano al fotofinish, come è possibile dimostrare con Quake III Arena; negli altri casi Pentium III finisce addirittura dietro. Trarre delle conclusioni non è certo difficile in una situazione come questa... Sinceramente ci si aspettava un match più combattuto e forse una Intel più in forma, ma così non è stato e Pentium III ne esce sconfitto. Può anche darsi che il divario tra i due processori si riduca adottando sulla piattaforma Pentium III le nuove (e costose) memorie Rambus, ma come scusa per Intel non sarebbe comunque accettabile. Un Athlon di AMD costa infatti meno di un Pentium III a parità di frequenza ed è in grado di sopravanzare quest'ultimo con qualsiasi tipo d'applicazione, senza il bisogno di ricorrere ad introvabili memorie particolari. La verità è che mentre Intel ha inseguito, attraverso tecnologie più costose che rivoluzionarie, il miraggio di prestazioni che arriveranno solo se il mercato sarà disposto a seguire e condividere le sue scelte (vedi memorie Rambus), AMD ha deciso di offrire già oggi, con il suo nuovo Athlon, i vantaggi di una vera architettura di settima generazione.