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Clarissa, 20 anni, detta
Sbronza Scopa: era un pozzo per uccelli ogniqualvolta che beveva;
lui, Nicola Farrugo, un omone dinoccolato, veniva da una lunga
permanenza al fresco: tentato omicidio. Farrugo aveva spaccato il manico di un mocho sul cranio di sua madre, Sbronza si trascinava stancamente la sua fama di bevitrice di uomini e conservava quell'aria mascolina e disincantata che la rendeva tanto sexy. Entrambi si conoscevano di vista. Al bancone di un bar, il 17 gennaio 199.. furono l'uno accanto all'altra. Era una serata fredda, ma il bar friggeva. Sbronza sorseggiava svogliata un gin tonic. Farrugo, alto e possente, le si avvicinò, eccitato. "Se credi posso offrirti qualcosa di più forte", fece. "Che intendi dire?" la ragazza lo guardò torvamente. "So che scopi chi ti offre da bere. Ho sbagliato persona?" "Se cerchi una troia sì." "Cerco una donna di classe a cui piace divertirsi: Sbronza Scopa." Sbronza rimase impassibile. Farrugo disse: "Ho dell'ottima vodka, a casa mia, ti andrebbe di farci un salto." La ragazza vuotò il bicchiere, quindi sorrise, disse: "Tu sei quell'imbecille che ha quasi ucciso sua madre, no?" "Non chiamarmi imbecille." Farrugo grugnì. Aveva rotto il cranio a sua madre, quasi uccidendola, in quanto questa si ostinava a chiamarlo imbecille, idiota, ritardato. Farrugo era cresciuto a forza di imbecille, idiota, ritardato. Una mattina, al bar-tabacchi, aveva comprato Marlboro anziché Merit, le sigarette fumate da sua madre, e lei era andata su tutte le furie. Idiota, non sai comprare neanche un pacchetto di sigarette, l'aveva inseguito per tutta la casa col mocho in mano dandogli dell'imbecille. Pieno fino all'orlo, Farrugo le aveva strappato il bastone di mano e glielo aveva fracassato in testa riducendola in fin di vita. Galera. Arresti domiciliari. Libertà vigilata. Sbronza disse: "Scherzavo. Mi va della vodka." Quando sorrideva sembrava ancora più innocente, si strinse nel giubbotto di pelle. Farrugo pagò per entrambi, poi andarono. Era una serata chiara di primavera, a Palermo, le vie della città erano un concerto di clacson. Traffico. Semafori rossi. Finalmente in via Pindemonte, Farrugo posteggiò la giardinetta. "Abito qua sopra," disse. "Ti hanno parlato di me in galera?" Sbronza, disincantata. "No, però le voci girano." "E dicono che cosa?" "Di tutto, cose turche." Le mise una mano fra le gambe e lei urlò. Lui si ritrasse. "Scusa, mi sono morsicata un labbro." "Non preoccuparti, Sbronza. Beviamo. Divertiamoci." "Se bevo troppo non so controllarmi." Si lamentò lei. "Io questo voglio." "Lo avrai", disse Sbronza. Lo baciò con dolcezza sulle labbra. "Ma dovrai farmi un favore." Si strusciò a lui provocante. "Lo farai?" "Devo finire di nuovo in galera?" "Può darsi." Lui annuì. Sbronza rise e balzò giù dalla macchina. Androne. Salirono. Palazzo buio. Secondo piano. Appartamento buio. Due stanze, una camera da letto. Pochi mobili, squallore. Mostrò a Sbronza le fotografie di sua madre e le confessò di odiarla. Parlarono a lungo di fumetti. Dylan Dog(Farrugo ne possedeva una collezione invidiabile). Tex. Nathan Never. Le raccontò che una volta aveva scritto un soggetto per un personaggio e che Sergio Bonelli gli aveva risposto, rifiutandolo. "Però ti ha risposto." "Già." A un certo punto Sbronza guardò l'orologio e chiese di fare una telefonata. Farrugo acconsentì. Le sentì dire al telefono che era da un amico e che avrebbe gradito se qualcuno la potesse venire a prendere. Domani mattina. Lasciò l'indirizzo. Bevvero. Vodka. Litri di Vodka che un cugino di Farrugo aveva portato dalla fredda Mosca. Roba di prima scelta. Bevvero. A un tratto Sbronza cominciò a emettere dei piccoli gemiti e a spogliarsi e a baciarlo. Al culmino dell'eccitazione Farrugo la trascinò in camera da letto e si denudò, si avvinghiò sopra di lei, prendendola. "Voglio un dono da te?" Disse lei. Farrugo la stava facendo sua. "Avrai tutti i favori che vuoi", gemette. Andò avanti per tutta la notte. Poi si addormentò. Nel letto l'uno accanto all'altra. Quando si svegliò lei sorrideva. Lui sentì un dolore lancinante in mezzo le gambe. Sbronza appariva gelida e innocente e crudele al tempo stesso. Farrugo si toccò e sentì qualcosa di umidiccio. Subito ebbe paura. "Il tuo pene è nella tazza del cesso, Farrugo." Fece lei. Lui non riuscì a capire, sonnolenza, confusione, sentiva quel dolore acuto e quasi non si sorprese di scoprire lenzuola e mano bagnate di sangue. "Ho tirato l'acqua però." "Ma cosa stai dicendo, puttana?" L'aveva evirato. Sbronza si alzò dal letto e rise avvolgendosi nelle lenzuole rosse e sporche. "Mi farai il favore di dire a tutti i bastardi come te che mi chiamo CLARISSA " Rideva "Mi farai il favore di camminare per tutta la vita senza pene ricordando a tutti che Sbronza è morta e che io mi chiamo CLARISSA E non sono la vostra sgualdrina." "Gesù, tu non sei una sgualdrina, sei completamente pazza." Farrugo tentò di placare dolore e disperazione con un sentimento di compassione. Non ci riuscì. "Sei pazza!" "E TU SEI UN CAZZO DI IMBECCILLE." A quel punto esplose e saltò giù dal letto e l'afferrò per una gamba, mentre lei cercava agile di divincolarsi. Strinse. "LASCIAMI!" Urlò lei. "SEI VOLUTA RIMANERE QUI A GODERTI LA MIA FACCIA, NON E' COSI'?!" l'afferrò per le spalle, lei si divincolò con una gomitata. "IMBECILLE!" Imbecille! Allora Farrugo la colpì. Le assestò un pugno in mezzo agli occhi e lei volò a terra, di schianto. Un metro e mezzo più avanti. Silenzio. Poi il campanello suonò nella notte. Un suono che riecheggiò nella stanza come l'urlo di un folle. Sbronza era immobile a terra. La vista di Farrugò cominciò ad appannarsi. "Clarissa, sono io!", la voce di un uomo veniva da dietro la porta, "Sono tuo padre, ho pensato che non era il caso di aspettare fino a domattina?" Farrugo deglutì, dolore. "Clarissa sei di nuovo nei guai?!" Forse spinto da un presentimento, l'uomo - a cui Sbronza aveva telefonato- si era fatto vivo con qualche ora d'anticipo. Farrugo si trascinò claudicante verso l'ingresso, decori di sangue addosso, sulle gambe, dappertutto. Barcollò fino alla porta. Campanello Il grido di un pazzo. Farrugo aprì a un uomo sconvolto, pallido, quasi sapesse quanto di folle fosse accaduto. |