AnchePOESIA

CICLONE

di Marco Comandè

Commento all'articolo


Rumori indistinti e boati da lontano,
si odono in uno squillo di trombe nel vano
tentativo di preparare l'uomo. E già una mano
spinge, invisibile non alla mente alquanto
all'occhio nudo, oggetti inanimati in un canto
di cieca indifferenza alla solitudine tanto
sospirata. Allarme! Una bomba è scoppiata
nel debole mugolio, misura della forza mai nata
dell'uomo, oggetto vivente, inutile straccio in data.

Secondi infiniti si susseguono nella morsa del ciclone,
stampati nella memoria labile delle persone,
sorprese nel dormiveglia quotidiano. Sul piumone
il corpo, confessano per un istante volato in cielo,
avevano. E già la potenza del vortice per un pelo,
non ha distrutto la casa costruita nel gelo,
giorno per giorno, disperatamente, con il cuore in gola.
Subito regna il caos sulla strada ricoperta sola,
di macchine, oggetto di un'illusione venerata che vola.

Dio, Dio, che è questo scempio, una discarica
nel mezzo dell'inferno di gelo mortale? Mitica
visione: un angelo muove le ali a raffica,
della morte in fondo al di sopra di tutto,
del terremoto che sconquassa la mente e marcisce il frutto
dell'albero avvelenato che ritorna sempre a lutto.
Or dunque è finita nella rovina la vita dell'uomo
che ha cercato la via giusta nell'amore, mai domo?
Tutto si perde nel nulla, buttato qua e là è il Duomo.

Preghiere mai così intense si confondono con volgarità,
porco qua, salvaci là, e tutto si riduce a distorta verità.
Non esiste più l'illusione, cacciata dalla vanità
del ciclone che vomita sangue e ossa di non si sa chi,
uomini al macello, divorati crudelmente qui,
in questa che è l'Apocalisse. E tutto finisce lì,
com'era cominciata la storia, col risultato devastante,
alla portata di tutti, non all'accettazione del gigante
che ha messo piede sputando fuoco pesante.