CINEMA

LA SINISTRA E IL MERCATO

di Giuseppe Morgillo (20/3/2000)

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A giudicare dalle apparenze, lo scenario socio-economico dell'Italia sembra essere radicalmente cambiato. Gli equilibri politici di ieri sono profondamente diversi da quelli di oggi. Ed anche i concetti basilari, la terminologia e le ideologie vivono una fase transitoria. Difficile è la definizione di destra e di sinistra. A parte la posizione occupata da deputati e senatori all'interno del Parlamento, sono rimasti ben pochi dei consueti punti di riferimento. Cadono conseguentemente molti dei luoghi comuni che hanno caratterizzato la dottrina tradizionale. Con l'avvento dell'Ulivo al governo, ad esempio, sono emerse alcune contraddizioni finora latenti o perlomeno presenti allo stato meramente teorico. L'assistenzialismo è stato smussato palesemente nei suoi angoli più pungenti, osando dove il pentapartito non aveva mai azzardato alcuna riforma. Lo stato sociale, di fatto, ha visto ridurre pesantemente il proprio peso. Ma il nodo cruciale resta il rapporto tra la sinistra ed il mercato. Una relazione storicamente un po' ambigua, se non addirittura clandestina negli anni della rivoluzione culturale, che tuttavia è destinata ad imprimere una svolta decisiva all'andamento dell'azienda Italia. Basti pensare alle privatizzazioni, che in passato costituivano un tabù anche per gli esecutivi di stampo più conservatore, protagoniste indiscusse del parziale risanamento del bilancio deficitario dello stato. Talvolta sembra perfino che i nipoti di Marx soffrano di una specie di sindrome liberista. Una sorta di feticismo delle merci che assurge al rango di religione all'interno delle realtà produttive più avanzate. Come se la legge della domanda e dell'offerta potesse dare una risposta categorica ai tanti problemi che affliggono la società surrogando, in tutto o in parte, i decadenti dogmi dell'ortodossia Marxista. Il fallimento del sistema collettivista è storia recente. L'economia pianificata ha prodotto miserie materiali e morali a sufficienza per meritare un processo. Ma le contraddizioni del capitalismo emergono quotidianamente dagli episodi di cronaca, al punto da indurre ad una seria riflessione sulla ricerca di una terza via che possa rivelarsi realmente alternativa. Anche il cinema la sta cercando. I pidiessini, in particolare, vorrebbero conciliare la qualità e la competitività della produzione filmica. Il desiderio di affrancare le opere cinematografiche dall'angustia del finanziamento pubblico è forte. Circa la parziale dismissione del gruppo cinematografico pubblico si avanzò di recente l'ipotesi della trasformazione di Cinecittà in un'azienda privata con finalità pubbliche. Si profilava così all'orizzonte una soluzione compromissoria che rischiava di scontentare tutti. Soprattutto chi, come Veltroni, crede che lo stato debba investire delle risorse nel campo culturale a prescindere dalla logica del profitto.