Spesso il pubblico piu'
distratto e superficiale si lascia sfuggire particolari i quali,
analizzati ed approfonditi, possono risultare elementi di giudizio
accattivanti quanto indispensabili, onde poter sviluppare una
buona cultura cinematografica.
La maggior parte dei registi tende ad abbinare gran parte delle
loro produzioni ad un cast di attori famosissimi e tra i piu'
pagati di Hollywood. Cio' viene commesso a discapito di una delle
principali e piu' basilari funzioni in ambito cinematografico:
la qualita', unita ad un senso di "unitarietà"
che faccia da tramite affinche' un'opera
possa rimanere scolpita nella mente dei cineamatori.
In alcuni casi, non e' necessario abbinare ad una trama, supponiamo
intricata e dal fascino occulto, uno stuolo di attori affermati
al fine di decretare, con ogni probabilita', un sostanzioso successo
al botteghino. Questo genere di atteggiamento, (od eccessiva,
stomachevole supponenza) ha sempre portato il cinema a convivere
con una forte instabilita' qualitativa, obbligando la Settima
Arte a dover patire continue, spossanti fasi alterne, in alcuni
casi accompagnate da preoccupanti perdite di credibilita'.
Stanley Kubrick era l'eccezione che confermava la regola. Per
lui non esisteva l'obbligatorio abbinamento TRAMA DALL'INDUBBIO
IMPATTO + PRESTIGIOSO CAST HOLLYWOODIANO. Semmai, in Kubrick
vigeva un principio di totale, apparentemente folle anarchia,
in netta, drastica antitesi con le velleita' "majoristiche"
imperversanti nel mondo della celluloide: secondo il grande cineasta
americano scomparso nel 1999 erano gli attori a dover essere
complementari al soggetto del film, e non viceversa, come solitamente
accadeva ed accade tutt'ora.
Se viene fornita un'ampia carrellata al cast dei capolavori di
Kubrick, a partire da RAPINO A MANO ARMATA (1955), ci si accorgera',
salvo qualche eccezione, che la fama dell'attore non era particolarmente
richiesta nel contesto dei suoi film, l'impiego di Jack Nicholson
in SHINING, contrariamente a questo principio, non si tratto'
altro che di un episodio pressoche' isolato. Il genio di Kubrick,
al di la' di fin eccessivamente risaputi meriti cinematografici,
risiedeva (soprattutto, a mio parere) in un corretto, maniacale
bilanciamento degli ingredienti, in modo che essi risultassero
essere collocati al posto giusto e nel momento giusto, quasi
si trattassero di piccoli tasselli atti a formare un gigantesco,
monumentale mosaico dall'invadente, ma indiscutibile, bellezza
espressiva. Gli attori, per Kubrick, non erano altro che questi
"piccoli tasselli", tanto importanti quanto trama e
soggetto.
RAPINA A MANO ARMATA, a tal proposito, e' esemplare nel riassumere
questo inaudito concetto: tutti gli attori impiegati sono pressoche'
sconosciuti al grande pubblico, ma, diretti e "collocati"
con infinita maestria da Kubrick, essi vengono calati perfettamente
nella trama ad incastro del film, conferendo all'opera un invidiabile,
distinguibilissimo pathos ed emotivita', un'emotivita' fredda,
distaccata, quasi impersonale e neutrale; sul film aleggia un
fortissimo "senso di realismo", tanto seriosi ed inappuntabili
sono i protagonisti implicati nella vicenda. La drammaticita'
degli eventi non risulta mai essere pomposa o particolarmente
romanzata, come e' tipica abitudine degli americani, ma si tratta
di un dramma freddo, severo, tagliente, che il bianco e nero
trasforma in qualcosa di ancora piu' "spietato" ed
ancestrale. La tensione dei protagonisti sembra travilacare dal
grande schermo ed impossessarsi di noi, quasi divenissimo complici
della grande rapina. RAPINA A MANO ARMATA e' un concentrato di
genio, innovazione ed inarrivabile "senso degli eventi":
non viene dato nulla per scontato, ne' ci si aspetta che dalla
pellicola fuoriesca un vincitore o l'eroe-sgomina-criminali di
turno. L'intensita' e' altissima, cosi' densa che si potrebbe
affettare con un semplice coltello a serra-manico. Cupo ma allo
stesso tempo avvincente, oscuro ma contemporaneamente brillante,
diabolico gioco ad incastro, dove gli attori sono e non sono,
fanno e non fanno: si preoccupano di fungere da pezzi mancanti
ad un puzzle di efferata criminalita' e glacialita' umana. Il
cinismo come forma espressiva al suo massimo "splendore"
mai raggiunto. L'alchimia e' il piccolo segreto della genialita'
di Kubrick, ovvero il modo con cui arriva a realizzare le sue
straordinarie opere; ogni frammento pare essere l'ideale seguito
del precedente, non vi e' nulla di dispersivo nella progettazione
e conseguente costruzione delle sue "creature".
Un altro limpidissimo esempio e' rappresentato da 2001 ODISSEA
NELLO SPAZIO: il protagonista si chiama Keir Dullea, attore oggi
dai piu' sconosciutissimo. La maestria di Kubrick era anche determinata
dal fatto di saper scegliere volti e lineamenti che si completassero
alla perfezione con il soggetto cinematografico da proporre.
Se al posto di Dullea ci fosse stato PAUL NEWMAN, vedrete che
il risultato sarebbero stato completamente differente. Il volto
"da astronauta" di Dullea e' quanto di piu' complementare
al ritmo serratissimo di 2001 ODISSEA NELLO
SPAZIO, dove a dominare non sono ne' gli attori, ne' i loro dialoghi:
sul film incombe un senso di infinito vuoto spazio-temporale,
e' l'immensita', ingombrante, opprimente, spodestante dell'oscurita'
del Manto Spaziale a rubare la scena. Quelle poche, pochissime
frasi rivelano la sottile tensione emotiva della pellicola, astratta
ed enigmatica quanto il tanto dibattuto significato sul famigerato
monolite, presumibile fonte di vita, nonche' pensiero filosofico-kubrickiano,
unico accertato comune denominatore di questa personalissima
saga spaziale. Nessun'altro, storicamente parlando, ha piu' inteso
il concetto di "spazio-tempo" come il grande regista:
ci troviamo lontani anni-luce (in tutti i sensi....) dalle grandi
imposizioni e dominazioni cinematografiche del successivo STAR
WARS.
Qui l'unica battaglia che l'uomo deve combattere e' contro il
tempo e, forse, implicitamente, contro se stesso, contro la sua
smania di onnipotenza auto-distruttiva. Un lungo viaggio, disperso
tra conscio e subconscio, un infinito percorso "macchiato"
di certa involontaria, timida psichedelia che si incastra idealmente
nei lunghi, spossanti, "assordanti" vuoti silenziosi
del film, quasi si trattasse di un interminabile "trip"
dai connotati filosofici, "alimentato" a dismisura,
da, spesso improponibili quanto conturbanti, quesiti che ancora
oggi stentano a trovare una razionale forma di giudizio che li
giustifichi.
Il fascino magnetico delle opere di Kubrick in fondo risiede
proprio in "quei quesiti", simili a enigmi mai del
tutto risolti, e, si sa, non esiste cosa al mondo piu' affascinante
di un mistero rimasto a lungo senza soluzione finale........
Se mai di razionalita'
e' lecito supporre...,
...funestato anch'io
da un vorticoso, opprimente senso di mistero mai del tutto portato
a compimento.........
ALAN "J-K-68"
TASSELLI
......un uomo talmente
IRRAZIONALE..............
"bevuto" dal "suo" Spazio....... Questo testo è depositato presso
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