E' una splendida mattina,
quella del 25 ottobre, a Roma. Il sole brilla nel cielo limpido
di un autunno che riserva delle temperature piuttosto primaverili.
Cinecittà sorride ancora una volta al cinema italiano.
È riunito il gotha della cinematografia nazionale presso
gli stabilimenti di via Tuscolana. I sacerdoti della cultura
appaiono galvanizzati al cospetto della città del cinema.
Che ha oltre sessant'anni di vita, ma proprio non li dimostra.
Il fascino della Hollywood sul Tevere appare intatto. La recente
ristrutturazione del gruppo ha messo le ali al fatturato delle
società controllate. Bilancio consolidato in attivo, dopo
anni di deficit, ed adeguamento tecnologico delle strutture.
Il vecchio cinefonico, rimesso completamente a nuovo, ha ospitato
un convegno dedicato al futuro del cinema italiano. Problemi,
soluzioni e prospettive al vaglio dei maggiori esperti del settore.
Attori, registi, produttori e tutte le altre categorie del cinema
hanno dato il proprio contributo all'evoluzione del dibattito.
Cinecittà Holding, che ha organizzato l'incontro, era
rappresentata dall'Amministratore Delegato Luigi Abete e dal
Presidente Gillo Pontecorvo. L'ex Presidente di Confindustria
ha posto l'accento sulla mancanza di una vera e propria classe
industriale nel campo cinematografico, caratterizzato da uno
scarso margine di rischio imprenditoriale. Il regista della Battaglia
di Algeri, invece, ha sollecitato un maggiore impegno sul versante
stilistico da parte degli autori. La qualità del prodotto,
evidentemente, ha il suo peso. La scelta di un film dipende anche
dall'interesse che il cineasta riesce a suscitare nello spettatore.
Troppo spesso le tavole rotonde trascurano questo aspetto, per
certi versi fondamentale, concentrandosi prevalentemente sui
profili economici e giuridici. In passato il confronto tra gli
artisti era maggiore. I convegni erano un'occasione di interscambio
culturale tra diverse scuole e molteplici tendenze. Il neorealismo
e la nouvelle vague scaturirono essenzialmente dallo scambio
dialettico dei diversi protagonisti. Lo sceneggiatore Age lamenta
invece una scarsità di idee di fondo. Troppo spesso, inoltre,
le figure dello scrittore, del regista, del produttore, e talvolta
anche dell'attore, si sommano nella medesima persona. Negli anni
addietro ogni opera recava in media almeno cinque o sei firme.
Ma chi non usa eufemismi e mezzi termini, a dispetto della funzione
che riveste all'interno dell'ANAC è Carlo Lizzani. Il
presidente dell'associazione degli autori non crede che le leggi
ed i finanziamenti statali possano bastare a reggere, da soli,
le sorti della cinematografia italiana. Occorre uno sforzo da
parte di tutti gli operatori del settore, comprese le istituzioni,
per recuperare l'identità culturale perduta. |