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Nell'era della tecnologia, del multimediale e del presunto inquinamento elettromagnetico, le preoccupazioni dei genitori sono sempre antiche: la salute dei figli. E in questi anni noi genitori ci sentiamo minacciati da uno dei mostri del secolo: la dipendenza da videogiochi. Questa droga "alternativa" è effettivamente un pericolo in agguato e combatterlo non è sempre semplice. Bisogna pensare che i ragazzi, e spesso neanche ce ne rendiamo conto, sono sottoposti ad ogni tipo di stress dalla compagnia che frequentano. Se non gli diamo ciò per cui possono confrontarsi con i loro compagni, sono frustrati. "Si, ma tu non ce l'hai ... che ne vuoi sapere". "Togliti di mezzo tu che non capisci niente". Un adulto può restare indifferente agli sfottò dei colleghi di tipo "ma se non sei tifoso, che vita è", oppure "ma dove vuoi andare, se ti fai la Skoda", perchè si rende conto che può esistere un interesse diverso dal calcio o risparmiare sulla macchina piuttosto che sulla casa. Ma un ragazzino no: lui deve confrontarsi giornalmente con decine di "colleghi" che cercano il minimo pretesto per prenderlo in giro, per isolarlo, per deriderlo. Ha bisogno di poter sentirsi parte in causa, di poter dare il suo contributo, in modo da poter essere tenuto in considerazione, altrimenti è fuori: niente inviti alle feste, niente uscite pomeridiane, e magari niente ragazzine. Solo chi è più forte psicologicamente può resistere. Ma il bambino medio? vuole dai genitori tutto ciò che lo può rendere competitivo rispetto ai suoi coetanei. E quindi anche, e soprattutto, i videogiochi. E dopo essere stati convinti all'acquisto arrivano le paure. "Ti rovini gli occhi", Diventerai anche tu un assassino", "Diventi scemo con queste cose", sono i rimproveri più comuni di tutte le mamme spaventate dagli spaventosi effetti che due o tre ore di gioco potranno provocare sulla debole psiche dell'amato figlioletto. Sotto quest'aspetto sicuramente controproducenti (o perlomeno inutili) sono i rimproveri o le limitazioni del tipo "solo mezz'ora al giorno", oppure "adesso basta perchè se no la butto dalla finestra". Dietro questa rabbia si nasconde, secondo il mio parere, l'impossibilità (ma a volte purtroppo anche l'incapacità) dei genitori di creare alternative. Ecco quale è il punto: i ragazzi, oggi, ieri, ma probabilmente anche al tempo dell'uomo di Neanderthal, non sentono responsabilità, non si creano il problema di dover lavorare per mangiare, non pensano ai problemi fisici che potranno avere in seguito, hanno solo voglia, e aggiungo diritto, di passare il tempo come meglio credono. Ed è ciò che fanno, indipendentemente dai divieto o meno dei genitori. Combattere la dipendenza da videogiochi, quindi, deve essere una azione strategica. Bisogna creare il diversivo: li iscriviamo ad una scuola calcio, in piscina, a pallacanestro, karate o judo, pianoforte, danza, qualsiasi cosa. Un pomeriggio torneranno stanchi dallo sport, un altro hanno il tempo prolungato a scuola, comunque hanno i compiti da fare, e alla fine per giocare con i videogiochi gli resta soltanto un paio d'ore a settimana. Diamogli modo di dover passare il tempo lontani dalla console. Non possiamo pretendere che se ne stiano a leggere un buon libro a cinque metri dall'allettante joypad. |