ATTUALITA' - 11 settembre 2001

11 SETTEMBRE 2001

di Rossella Di Bidino (19/9/2001)

Commenta l'articolo


L'attacco terroristico di martedì 11 settembre 2001 a New York e Washinghton ha generato impressioni, risposte politiche, tensioni e dolori personali, giochi diplomatici.
Vedere le fiamme prima e poi le macerie, sentirsi tra la gente che annaspa nelle strade per trovare la via di casa (se questa non è stata travolta dalla distruzione), rimanere impietriti all'immagine della propria morte su un aereo e della propria voglia di vivere che soccombe alla gabbia architettonica ferita, rimanere frastornati dalle immagini di speranza e orgoglio dei parenti dei dispersi, volgere lo sguardo a chi lavora sui resti della tragedia: tutte sensazioni che dall'11 settembre 2001 si trascinano. L'istinto di accendere la TV, di cercare su Internet, di origliare alla radio non si allentano, la paura rimane. C'è paura di essere travolti da qualcosa fuori del proprio personale controllo. Si vuole sapere, non si vuole essere impreparati sul disastro: non più un minuto di ritardo nel vedere un altro evento, che per chi ancora si sente grande nel mondo, può essere definito epocale. Epocale come la paura di una guerra, epocale come la paura che l'Arma venga utilizzata e abusata fino al limite involontario, o meno, di porre fine a tanti progetti personali, talmente tanti da minare le basi di un futuro.
C'è quasi un attimo di delusione nel sapere che nulla, nulla di tangibilmente nuovo è successo. Eppure la paura c'è e ha ragione di essere. I discorsi politici di reazione sono tutti minati dall'ignoranza.
Ignoranza verso le ragioni dell'attacco terroristico. Che fine vuole o ha voluto avere il progetto pluriomicida? Si voleva giungere effettivamente fino a questo limite? 5000 e passa morti. Si voleva spaventare? Sovvertire un intero sistema, non solo economico? Si ritiene che per distruggere il tanto odiato interesse personale, con il quale semplicisticamente si identifica il capitalismo, basti la paura? Ma la paura genera l'istinto di sopravvivenza, che non è altro che una forma più rudimentale e moralmente giustificabile d'interesse personale. Si voleva rendere partecipe della colpa il governo degli Stati Uniti? Dopotutto, l'alternativa a quelle morti, in presenza di superefficienti sistemi d'intelligence, sarebbe stato l'abbattimento degli aerei civili dirottati da parte della forza aerea statunitense. In tal caso, ecco il governo civile che uccide i suoi cittadini! Insomma, a cosa si vuole puntare? Alla supremazia di fatto, tramite il ricatto, di un gruppo non ben precisato di uomini che si autoproclamano i soli conoscitori dei progetti terreni di Dio?
In ogni caso, il ricatto è stato osato: o non reagite o vi assumete la responsabilità di un conflitto dagli esiti insondabili. Pazzi per pazzi, se si è architettato l'uso di aerei civili come armi di sfondamento si possono ben utilizzare con leggerezza ben altre armi, già disponibili o che potranno divenirlo grazie alla non trasparenza che storicamente ha caratterizzato le alleanze sopranazionali.
A non contenere la paura, la paura che i limiti della ragione non vengano rispettati, sembrano aiutare le reazioni politiche. "…battaglia del bene contro il male…", George W. Bush. E c'è chi il male lo ha già identificato con l'arabo, ecco spiegati gli assassini da giustiziere della notte negli States. Ed il bene? Qui, in questo continente che vuole diventare politicamente europeo, ci si sente parte del bene. Bene e male: le solite due pericolose categorie della morale. Ma la morale non è unica. Per chi ha ucciso, il bene era la distruzione. Per chi è morto nella paura e nel dolore, il bene era far sapere, via telefono, a chi rimaneva che lo si amava. Per chi è morto e basta, il bene era trovarsi lì per lavoro o per piacere o per destino. Per chi ha visto, il bene era osservare o scappare. Per chi è rimasto solo, il bene è far qualcosa del ricordo, far qualcosa dall'intraprendere un'infruttuosa ricerca all'unirsi con i soccorritori. Per chi ha progettato tutto questo, il bene è attendere o compiacersi dei risultati raggiunti che possono considerarsi ben più che sufficienti, credo.
È stato un evento epocale o blasfemo, atteso o inaspettato…E' stato un evento. Lo racconteremo, come si suol dire, ai nostri figli? La storia lo pretende, molti attendono speranzosi quel momento. Ma cosa racconteremo? Le immagini televisive ci sono, i libri ci saranno, la paura verrà placata o distrutta da un nuovo assetto politico. La difficoltà sarà far percepire la novità traumatizzante di tutto questo a chi vivrà in un nuovo mondo, non più il nostro comodo vecchio mondo da guerra fredda ritenuta superata e archiviata. Se questo è accaduto significa che una guerra fredda c'era, c'era contro l'Occidente.