ATTUALITA'

GPR DOSSIER: Erika & Omar

Perchè non vi deve essere perdono.

di Marcello Mormone (25/3/2001)

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Un'analisi sociologica di ciò che sta accadendo in una parte della gioventù è compito di studiosi della psiche. Quello che vorrei dare invece io è un messaggio. Rivolto soprattutto a tutti quei giovani che guardano Erika come una vittima del sistema. Ho letto con attenzione ciò che è stato scritto su Erikatiamo, il forum che è stato anche al centro delle cronache delle scorse settimane. Vi ho trovato messaggi di giovani (o supposti tali) che hanno trovato in Erika lo sfogo per le proprie condizioni e che guardano a lei come un'eroina, come una ragazza da salvare, come una vittima della società o della sconfitta dei valori.

Conosco abbastanza gli adolescenti e capisco le frustrazioni che subiscono specialmente quando il loro mondo familiare non è abbastanza attento da capire le situazioni di disagio. Ho visto genitori lasciar correre situazioni che ritenevano passeggere, cose da ragazzi, o ancora peggio genitori che non considerano affatto quanto accade ai loro figli. E ho visto figli abbandonati, trascurati, travolti dal loro stesso mondo, a volte crudele, che non perdona. Il consumismo, le carriere, i soldi, sono nemici dei giovani. I genitori spesso sono tanto ottenebrati dall'inseguire i loro modelli di benessere che nemmeno si accorgono che a furia di correre, i figli non gli stanno dietro. E si perdono. Cambiano i valori. Cambia ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Senza riferimenti diventano normali i comportamenti violenti che i media ci propinano continuamente. La cultura del più forte non ha ostacoli verso persone il cui carattere non è ancora completamente maturo. Perchè a sedici anni non si è maturi. Non bastano le prime esperienze sessuali o aver fatto parte delle bande di quartiere o non avere prospettive. Non basta tutto ciò ad essere maturi. Non basta a poter prendere decisioni importanti.

Erika ha ucciso. E con lui Omar. Hanno distrutto due vite. Hanno distrutto la loro vita. Nessun motivo giustifica il loro atto. Se non la pazzia. Non c'è stato eroismo nel loro gesto. Non c'è stato desiderio di liberazione. Una mente sana non poteva credere che quell'atto avrebbe potuto liberarla da qualunque cosa pensasse che la ostacolava. In quel gesto c'era solo odio! Odio e pazzia! Delitti così efferati non ne commettono neanche mafiosi o camorristi. In quelle mani c'era volontà di sopraffazione, desiderio di vendetta, gelosia e odio verso i propri simili. Tutti i giovani che apprezzano o addiruttura plaudono quel gesto, vedono Erika come la vittima che ha saputo ribellarsi. Tutti gli altri pensano ad un bambino, che neanche ha avuto la possibilità di averli quei problemi, un bambino che piangeva e lottava contro la morte vestita con le fattezze della sorella che adorava. E moriva. E non capiva perchè fosse la sorella tanto amata a colpirlo. E lottava. E piangeva. E gridava. E una mano guidata da un cervello, e non da una mente, colpiva, e colpiva, e colpiva e si imbrattava del suo sangue (mentre scrivo faccio fatica a trattenere le lacrime).

Erikatiamo tenta di giustificare questo atto come espressione della gioventù oppressa e sopraffatta. Erikatiamo avrebbe potuto essere un contenitore dove riversare tutti i problemi dei giovani, specialmente quelli cui mancano i riferimenti familiari. Erikatiamo avrebbe potuto essere un valido strumento di sfogo e di riconciliazione della gioventù con il mondo. Erikatiamo è invece un ricettacolo di giovani insoddisfatti, incapaci di affrontare la vita, adolescenti sconfitti dalla vita prima ancora di aver provato ad affrontarla.

Le bestie uccidono per fame o per istinto di sopraffazione. Ciò che ci divide dalle bestie è di avere un cervello che pensa, una mente razionale che, nel caso di Novi Ligure, evidentemente non lo era.

Non c'è perdono per tutto questo. Non v'è motivo per cui si debba provare il recupero. Erika e Omar saranno condannati per tutta la vita a vedere gli occhi spalancati e spaventati di un bambino che piange e che non capisce perchè sta annegando nel suo sangue per mano di sua sorella.