La nuova economia. Il
nuovo secolo. La nuova guerra.
L'avvento di Internet come strumento di comunicazione, conoscenza
e produzione ha innalzato i livelli di fiducia, speranza e illusione
negli ultimi dieci anni, limitandosi al pieno del fenomeno e
non ai suoi albori patrimonio ed esperienza di neofiti e personale
qualificato.
Ben due capodanni, 2000 e 2001, sono stati festaggiati come l'alba
comune di un nuovo secolo. Nel 2000 tutti a difendere la tesi
dell'anno zero, nel 2001 tutti a difendere l'impostazione astronomica.
Eravamo talmente soddisfatti dalla potenza della tecnologia che
abbiamo voluto festeggiarla due volte, almeno una senza la paura
del Millenium Bug. Meno male che qualcuno, come il Newsweek nel
numero speciale dedicato all'ultimo capodanno, ha ironizzato
con la caricatura delle folle a New York a festeggiare alla fine
dell'anno corrente il giungere del Terzo Millennio.
Chi ci sarà a festeggiare a New York, festeggierà
consapevolmente il passaggio al 2002 e lo farà tra orgoglio,
paura e confusione perché di mezzo c'è la nuova
guerra o quanto meno le prospettive di una nuova guerra.
Khobar Towers 1996, Kenya
e Tanzania 1998, USS Cole 2000, New York e Washington e Pittsburgh
2001.
Ecco la lista degli atti terroristici che hanno fatto di Osama
Bin Laden un leader politico di livello internazionale e una
minaccia globale. E ora è anche un volto da copertina.
Il 25 giugno 1996 a Dhahran in Arabia Saudita 19 americani sono
stati uccisi da un camion trasformato in bomba. Il 2 agosto 1998
le ambasciate americane in Kenia e Tanzania sono state oggetto
di due distinti e quasi sincronizzati attacchi terroristici che
hanno provocato 236 morti di cui 12 di cittadini americani. Il
12 ottobre 2000 una nave militare americana è stata attaccata
nelle acque yemenite da motoscafi carichi di esplosivo e il bilancio
fu solo (perché oramai è tempo di cinismo alfanumerico)
di 17 morti. Il tramma invece dell'11 settembre 2001 a New York
e Washington e Pittsburgh si limita ancora a un conteggio ipotetico
e a frammenti non identificati o non identificabili.
Questa è la cronaca di una guerra in sordina, di una guerra
archittettata a tavolino o, volendo scherzare con il fuoco, di
una guerra archittettata tra tende, montagne e alta tecnologia.
Ora come ora l'attenzione è tutta e solo sulla macchina
da guerra statunitense e sul suo dislocamento massiccio in un'area
che per ignoranza ci si limita a qualificare come Medio Oriente.
L'obiettivo umano più ristretto sembra essere Mr. Bin
Laden. Il teatro di battaglia atrofizzato dai giochi (affidabili?)
diplomatici lo stato dell'Afghanistan. E non manca lo spreco
di parole e ipocrisie sul futuro, post-attacco, di quell'area.
Ma siamo sinceri, l'esito non è scontato perché
non è così scontata l'identificazione di chi ha
il coltello dalla parte del manico. Chi ha in mano le redini
del gioco? Sì del gioco, perché non è possibile
ancora identificare delle chiare e consapevoli responsabilità.
Si dice che sono stati attaccati dei simboli. Le Twin Towers
e il Pentagono sono simboli, ma lo sono diventati inequivocabilmente
solo dopo il settembre 2001 perché prima c'era la Statua
della Libertà e la Coca Cola, McDonalds e l'american dream.
Ora sono dei simboli, presto saranno dei miti. Nel frattempo
gli U.S.A. vedranno crescere una sorta di memoria storica verso
il loro patrimonio "culturale-artistico", si parlerà
di patriottismo per nascondere la paura di altre perdite materiali.
C'è chi ha scelto i simboli e lo ha fatto per scatenare
la paura. Ma l'obiettivo era la paura? O si voleva fin dall'inizio
uno scontro aperto? Un'attacco di rabbia forte, crudele e altrettanto
irresponsabile? Chi aveva o ha il coltello dalla parte del manico
è un mago della psicologia. Prima si infierisce sulla
vittima, poi si rivanga un passato non casto, si lascia maturare
il dubbio, la divisione che nasce dall'incertezza e perché
no, si può sperare in una finale sottomissione. La sindrome
di Stoccolma: la vittima si innamora, o giustifica, l'aggressore.
Nel frattempo il "colpevole"-artefice della strategia
si sente nel giusto.
Il guanto della sfida aperta è stato lanciato l'11 settembre
2001. Il colpo è stato reclammizzato dai mass media, le
moderne comari di paese (ma qui non si vuole svilire la dignità
di un lavoro, solo ricondurla a una dimensione più comune
al Vecchio Mondo almeno). Nessuno ha apposto formalmente la firma
sull'attentato: ecco la prima sorgente del dubbio. Il presidente
George W.Bush è stato non rintracciabile per ore: altra
sorgente di dubbio morale. Il richiamo a passate ingiustizie
perpetrate per presunti interessi in varie aree del globo da
parte degli States feriti fanno da contorno psicologicamente
e politicamente non irrilevante.
Seattle, 30 novembre
1999
Nel caos e nella voglia di farsi vedere coraggiosamente diversi
sono intervenuti taluni gruppi antiglobal. C'è chi ha
esultato e chi, il gruppo Mobilization for Global Justice, ha
avanzato la proposta di eleggere Washington "zona liberata".
Il popolo di Seattle: altra fonte di incertezza e dubbio sotteraneo.
Ci si può richiedere, a occhi più aperti, chi lo
ha organizzato? Come mai alla fine, novembre 1999, ci sono state
le risorse finanziarie, le volontà e le capacità
per riunire un insieme così variegato di istanze, morali
ed economiche, giustificate e ingiustificate, coerenti e irragionevoli?
Il peggio è che la diffidenza che da questo può
derivare va a investire le immagini di giovani e non che gridano
slogan, dato che queste immagini rappresentarono allora la sorpresa.
E gli slogan suonano adesso banali: "Say no to the WTO!".
Banale di fronte alla voce registrata di una donna che da alla
segreteria la sua ultima paura frammista alla dichiarazioni d'amore
per chi non potè alzare la cornetta in quel momento. E
quella donna fu tra i morti fortunati, questo è il peggio.
Fu fortunata a trovare la linea, fu fortunata a lasciare un ricordo
non cancellabile dalla cornetta riattaccata. Fu fortunata anche
perché amava ed era amata, o si credeva tale, poco prima
di morire. E tra i morti ci sarà stato ben chi andava
avanti nella vita senza speranza, solo e senza nulla a cui legare
la paura del dolore della propria fine.
Non è il popolo di Seattle ad aver causato questo, non
è il popolo di Seattle ad esserne responsabile. Ma gli
squilibri di cui si fece e si fa portatore, in forme che a volte
toccano picchi discutibili a livello morale e legale, sono uno
dei punti deboli nelle società economicamente sviluppate
che possono aver contribuito alla scelta dell'ora X.
Il nemico si attacca quando è debole e impreparato.
Afghanistan 2001?
Lo statega di questo terrore non solo ha attaccato il suo nemico
nella sua tana, nella sua fiducia, ma lo ha progettato in modo
tale da stanare il nemico. Infatti gli U.S.A. non solo stanno
preparando le difese interne, contro ulteriori attacchi, ma si
stanno muovendo verso l'Afghanistan. Insomma, il nemico ha scelto
non solo l'ora, i luoghi ed i modi del suo attacco, ma anche,
fino adesso, i luoghi dove vuole essere attaccato a sua volta.
Queste sono ipotesi, ipotesi che però lasciano spazio
alla forza del presunto mandante. E le parole qui, essendoci
di mezzo, anche solo come comparsa gestita a piacere, la religione
non devono essere trascurate. Un esempio su tutti la gaffe, per
una volta inconsapevole ed in buona fede, di George W. Bush,
che ha parlato di "crociata contro il terrorismo".
Dov'è la gaffe? Per gli occidentali, genti dai vaghi e
a volte ipocriti appigli alla cultura religiosa cristiana, le
crociate sono etimologicamente un ricordo vagho, lontano, limitato
alle confuse pagine dei testi scolastici di storia. Ma per gli
islamici, per usare un termine generico, le crociate corrispondono
a un'invasione culturale ed economica facilmente rivangabile.
Si tratta di una nuova guerra, che è bene imparare a condurre
e vivere su vari fronti e con varie armi, non convenzionali e
tradizionali come la paura e le parole. |