ATTUALITA' - 11 settembre 2001

GUERRA E PACE: ASPETTI DI UNA STRATEGIA

di Rossella Di Bidino (2/10/2001)

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La nuova economia. Il nuovo secolo. La nuova guerra.
L'avvento di Internet come strumento di comunicazione, conoscenza e produzione ha innalzato i livelli di fiducia, speranza e illusione negli ultimi dieci anni, limitandosi al pieno del fenomeno e non ai suoi albori patrimonio ed esperienza di neofiti e personale qualificato.
Ben due capodanni, 2000 e 2001, sono stati festaggiati come l'alba comune di un nuovo secolo. Nel 2000 tutti a difendere la tesi dell'anno zero, nel 2001 tutti a difendere l'impostazione astronomica. Eravamo talmente soddisfatti dalla potenza della tecnologia che abbiamo voluto festeggiarla due volte, almeno una senza la paura del Millenium Bug. Meno male che qualcuno, come il Newsweek nel numero speciale dedicato all'ultimo capodanno, ha ironizzato con la caricatura delle folle a New York a festeggiare alla fine dell'anno corrente il giungere del Terzo Millennio.
Chi ci sarà a festeggiare a New York, festeggierà consapevolmente il passaggio al 2002 e lo farà tra orgoglio, paura e confusione perché di mezzo c'è la nuova guerra o quanto meno le prospettive di una nuova guerra.

Khobar Towers 1996, Kenya e Tanzania 1998, USS Cole 2000, New York e Washington e Pittsburgh 2001.
Ecco la lista degli atti terroristici che hanno fatto di Osama Bin Laden un leader politico di livello internazionale e una minaccia globale. E ora è anche un volto da copertina.
Il 25 giugno 1996 a Dhahran in Arabia Saudita 19 americani sono stati uccisi da un camion trasformato in bomba. Il 2 agosto 1998 le ambasciate americane in Kenia e Tanzania sono state oggetto di due distinti e quasi sincronizzati attacchi terroristici che hanno provocato 236 morti di cui 12 di cittadini americani. Il 12 ottobre 2000 una nave militare americana è stata attaccata nelle acque yemenite da motoscafi carichi di esplosivo e il bilancio fu solo (perché oramai è tempo di cinismo alfanumerico) di 17 morti. Il tramma invece dell'11 settembre 2001 a New York e Washington e Pittsburgh si limita ancora a un conteggio ipotetico e a frammenti non identificati o non identificabili.
Questa è la cronaca di una guerra in sordina, di una guerra archittettata a tavolino o, volendo scherzare con il fuoco, di una guerra archittettata tra tende, montagne e alta tecnologia. Ora come ora l'attenzione è tutta e solo sulla macchina da guerra statunitense e sul suo dislocamento massiccio in un'area che per ignoranza ci si limita a qualificare come Medio Oriente. L'obiettivo umano più ristretto sembra essere Mr. Bin Laden. Il teatro di battaglia atrofizzato dai giochi (affidabili?) diplomatici lo stato dell'Afghanistan. E non manca lo spreco di parole e ipocrisie sul futuro, post-attacco, di quell'area.
Ma siamo sinceri, l'esito non è scontato perché non è così scontata l'identificazione di chi ha il coltello dalla parte del manico. Chi ha in mano le redini del gioco? Sì del gioco, perché non è possibile ancora identificare delle chiare e consapevoli responsabilità.
Si dice che sono stati attaccati dei simboli. Le Twin Towers e il Pentagono sono simboli, ma lo sono diventati inequivocabilmente solo dopo il settembre 2001 perché prima c'era la Statua della Libertà e la Coca Cola, McDonalds e l'american dream. Ora sono dei simboli, presto saranno dei miti. Nel frattempo gli U.S.A. vedranno crescere una sorta di memoria storica verso il loro patrimonio "culturale-artistico", si parlerà di patriottismo per nascondere la paura di altre perdite materiali.
C'è chi ha scelto i simboli e lo ha fatto per scatenare la paura. Ma l'obiettivo era la paura? O si voleva fin dall'inizio uno scontro aperto? Un'attacco di rabbia forte, crudele e altrettanto irresponsabile? Chi aveva o ha il coltello dalla parte del manico è un mago della psicologia. Prima si infierisce sulla vittima, poi si rivanga un passato non casto, si lascia maturare il dubbio, la divisione che nasce dall'incertezza e perché no, si può sperare in una finale sottomissione. La sindrome di Stoccolma: la vittima si innamora, o giustifica, l'aggressore. Nel frattempo il "colpevole"-artefice della strategia si sente nel giusto.
Il guanto della sfida aperta è stato lanciato l'11 settembre 2001. Il colpo è stato reclammizzato dai mass media, le moderne comari di paese (ma qui non si vuole svilire la dignità di un lavoro, solo ricondurla a una dimensione più comune al Vecchio Mondo almeno). Nessuno ha apposto formalmente la firma sull'attentato: ecco la prima sorgente del dubbio. Il presidente George W.Bush è stato non rintracciabile per ore: altra sorgente di dubbio morale. Il richiamo a passate ingiustizie perpetrate per presunti interessi in varie aree del globo da parte degli States feriti fanno da contorno psicologicamente e politicamente non irrilevante.

Seattle, 30 novembre 1999
Nel caos e nella voglia di farsi vedere coraggiosamente diversi sono intervenuti taluni gruppi antiglobal. C'è chi ha esultato e chi, il gruppo Mobilization for Global Justice, ha avanzato la proposta di eleggere Washington "zona liberata". Il popolo di Seattle: altra fonte di incertezza e dubbio sotteraneo. Ci si può richiedere, a occhi più aperti, chi lo ha organizzato? Come mai alla fine, novembre 1999, ci sono state le risorse finanziarie, le volontà e le capacità per riunire un insieme così variegato di istanze, morali ed economiche, giustificate e ingiustificate, coerenti e irragionevoli? Il peggio è che la diffidenza che da questo può derivare va a investire le immagini di giovani e non che gridano slogan, dato che queste immagini rappresentarono allora la sorpresa. E gli slogan suonano adesso banali: "Say no to the WTO!".
Banale di fronte alla voce registrata di una donna che da alla segreteria la sua ultima paura frammista alla dichiarazioni d'amore per chi non potè alzare la cornetta in quel momento. E quella donna fu tra i morti fortunati, questo è il peggio. Fu fortunata a trovare la linea, fu fortunata a lasciare un ricordo non cancellabile dalla cornetta riattaccata. Fu fortunata anche perché amava ed era amata, o si credeva tale, poco prima di morire. E tra i morti ci sarà stato ben chi andava avanti nella vita senza speranza, solo e senza nulla a cui legare la paura del dolore della propria fine.
Non è il popolo di Seattle ad aver causato questo, non è il popolo di Seattle ad esserne responsabile. Ma gli squilibri di cui si fece e si fa portatore, in forme che a volte toccano picchi discutibili a livello morale e legale, sono uno dei punti deboli nelle società economicamente sviluppate che possono aver contribuito alla scelta dell'ora X.
Il nemico si attacca quando è debole e impreparato.

Afghanistan 2001?
Lo statega di questo terrore non solo ha attaccato il suo nemico nella sua tana, nella sua fiducia, ma lo ha progettato in modo tale da stanare il nemico. Infatti gli U.S.A. non solo stanno preparando le difese interne, contro ulteriori attacchi, ma si stanno muovendo verso l'Afghanistan. Insomma, il nemico ha scelto non solo l'ora, i luoghi ed i modi del suo attacco, ma anche, fino adesso, i luoghi dove vuole essere attaccato a sua volta.
Queste sono ipotesi, ipotesi che però lasciano spazio alla forza del presunto mandante. E le parole qui, essendoci di mezzo, anche solo come comparsa gestita a piacere, la religione non devono essere trascurate. Un esempio su tutti la gaffe, per una volta inconsapevole ed in buona fede, di George W. Bush, che ha parlato di "crociata contro il terrorismo". Dov'è la gaffe? Per gli occidentali, genti dai vaghi e a volte ipocriti appigli alla cultura religiosa cristiana, le crociate sono etimologicamente un ricordo vagho, lontano, limitato alle confuse pagine dei testi scolastici di storia. Ma per gli islamici, per usare un termine generico, le crociate corrispondono a un'invasione culturale ed economica facilmente rivangabile.
Si tratta di una nuova guerra, che è bene imparare a condurre e vivere su vari fronti e con varie armi, non convenzionali e tradizionali come la paura e le parole.