ATTUALITA' - SOCIALE

FEMMINISMO, COMPROMESSO SESSUALE

di Rossella Di Bidino (11/3/2001)

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La parità tra i sessi è una questione dibattuta largamente a livello politico, culturale, sociale. Ci sono leggi che la vanno a riconoscere o, nei casi estremi, a imporre. In Italia le donne possono votare, lavorare, candidarsi alle elezioni politiche, essere madri, rimanere singles etc.. Ma al di là del rito formale delle libertà, alle donne viene insegnato a pensare da essere umani liberi? In sostanza, quali retaggi sono rimasti dell'epoca del focolare domestico e quale peso essi hanno?
Non si vuole qui rivendicare rabbiosamente la libertà dalla famiglia natale, dell'uomo sposato o meno, dalla libertà dei sensi. Si vuole invece indagare lo stato delle cose e la responsabilità femminile di quelle che sempre più sono solo delle conquiste apparenti e al limite capricciose.
Non vi sono limitazioni legali all'educazione delle ragazze, non vi sono veti incrollabile sul loro destino terreno. Partendo, allora, da questa idilliaca situazione, che posto si vanno a riservare le donne nella loro vita e nella storia?
Il timore più grande è che tutti i sogni e le resistenze passive e attive intraprese nei secoli si risolvano in una deliberata libertà sessuale o, volendo dare più spessore alla questione, libertà dei costumi. Ora è possibile "fare sesso" liberamente affidandosi solamente ai propri istinti e alle proprie convinzioni morali. È possibile vivere rapporti occasionali e storie d'amore serie. È consentito scegliersi i propri partners. Ovviamente questa è una generalizzazione azzardata di un fenomeno che conosce geograficamente e moralmente dei distinguo.
Nell'ambito professionale numerose sono le cosiddette conquiste realizzate. Ci sono donne casalinghe, insegnanti, avvocato, poliziotto, militari etc.. I distinguo, i compromessi e le ipocrisie in questo campo sono molti. Stordisce la consapevolezza che sul lavoro la libertà femminile rischia di ridursi ad uno specchietto per allodole. Innanzitutto sarebbe fin troppo facile rifarsi al luogo comune che le donne, per ricevere gli stessi riconoscimenti riservati ai colleghi uomini, debbano impegnarsi sensibilmente di più. Ma al di là di questa constatazione comune, che comunque continua a misurare il polso della questione, si sono ben altri dati di fatto. Per porre in termini secchi la questione, basta un attimo porre l'attenzione sulle donne famose, ricche e di successo. Quante di esse sono figlie di, mogli di e amanti di? Certo, non tutto il successo può essere creato dagli altri, un po' di loro ci deve essere nei frutti delle loro attività. O volendo essere ancora più ciniche la rivincita storica permette anche lo sfruttamento del "nemico".
Ma la libertà si conquista per avere un "nemico"? E per quali ragioni le donne hanno ardito nel tempo a questa libertà? Per il successo? No, le donne desideravano e desiderano dimostrare il proprio valore e non (soltanto) il proprio prezzo. Nella libertà è consentito rispettare i propri istinti o ritmi biologici ammettendo anche che non per tutte la maternità è una questione di vita o di morte.
Oggi, però, essere libera vien confuso con l'avere un orgasmo o ancora peggio con l'avere esperienze sessuali al di là della consapevolezza delle proprie preferenze. Fare esperienza può avere un suo ruolo nell'essere libere. Banalmente però la libertà richiede responsabilità.
Esempi lampanti di questa responsabilità si possono trovare quasi paradossalmente in aree geografiche nelle quali l'emancipazione femminile è ancora un obiettivo da raggiungere pienamente. Dove per emancipazione femminile si intende la sua versione prettamente occidentale sinteticamente definibile come stato di parità legale riconosciuto.
Emblematico è il caso della scrittrice egiziana Nawal El Saadawi, i cui testi sono incentrati sulle donne arabe, la loro sessualità ed il loro stato legale. Si è fatta portatrice di battaglie morali quali quella per l'eliminazione della pratica trans-religiosa dell'infibulazione femminile, non trascurando l'impegno politico. Un suo unico articolo, democraticamente critico nei confronti della politica di fatto attuata dal presidente egiziano Sadat, le è costato nel 1981 il carcere. La libertà e l'indipendenza di pensiero che le sono proprie l'hanno portata anche a guidare una delegazione in Iraq, poco prima dell'inizio della guerra del Golfo, per sostenere il Paese contro le sanzioni dell'ONU. Indipendenza di pensiero che si è tradotta in una sagace e discussa osservazione: "gli elementi più restrittivi verso la libertà delle donne sono rinvenibile prima nella tradizione giudaica del Vecchio Testamento, poi nel cristianesimo ed infine nel Corano".
Un approccio apparentemente più soft alla questione femminile nel mondo islamico viene proposto dalla sociologa marocchina Fatema Mernissi. Particolarmente interessante è il recupero che essa intraprende del valore della donna nella storia islamica andando, contemporaneamente, a porre in crisi la donna occidentale per la sua dipendenza dall'ideale di bellezza femminile elaborato quasi esclusivamente dall'uomo. Non manca poi di far notare come nei Paesi musulmani la presenza femminile tenda a farsi marcata in settori quali la ricerca. Persino in Iran il 37,6% degli scienziati e tecnici sono donne nonostante la presenza di retaggi culturali che il regista Jafar Panahi ha voluto rappresentare con l'idea de "Il Cerchio".
L'impronta principale di queste rivendicazioni è la voglia di libertà nel rispetto delle proprie origini. Non si tratta di semplici trasposizioni di un'esperienza maturata altrove.
Volendo far riferimento a donne dotate di sicuro carattere e in grado di disporre di una visibilità quasi mondiale un posto, che si può definire, d'onore è quello di Hillary Rodham Clinton. Tutti conoscono le scappatelle del marito, tutti intuiscono il suo obiettivo finale. Ma se nel novembre 2000 Hillary Rodham Clinton ha vinto un seggio al senato statunitense, a ottobre dello stesso anno è morta la prima donna che nella storia ha assunto la carica di premier nazionale. A 44 anni Sirimavo Bandaranaike divenne primo ministro dello Sri Lanka. Se nel 1960 vinse le elezioni sulla spinta emotiva conseguente all'assassinio del marito, primo ministro nei quattro anni precedenti, lei rimase alla guida del paese per 17 anni equivalenti a tre mandati consecutivi. Insomma, nonostante i grandi clamori e nonostante il diverso ruolo politico degli U.S.A., sembra facile apostrofare la situazione come "nulla di nuovo sul fronte occidentale".
Tante idee per le donne del cosiddetto mondo sviluppato, tanti altri appigli oltre i cosmetici e le crisi sentimentali da telenovela, il tutto per vivere come donne dei ruoli che solo per tradizione sono stati vissuti dal punto di vista maschile.