E' di questi giorni la
notizia, rimbalzata agli onori della cronaca, dell'esperimento
condotto in un laboratorio di ricerca degli Stati Uniti, relativo
alla prima clonazione di un embrione umano.
La notizia, rimbalzata in Europa e ancor più in Italia,
ha destato un clamore e ha messo in moto un dibattito a diversi
livelli, ma che in definitiva ha prodotto una vera e propria
levata di scudi.
Si è gridato allo scandalo da parte di molti benpensanti,
di moralisti spinti da ragioni di matrice prettamente ideologica
e religiosa, e le cui organizzazioni di riferimento sono lì
apposta per mantenere in vita tali principi.
Si è comunque registrato un ridimensionamento della notizia
precisando che lo sviluppo di detto esperimento aveva finalità
- e non potrebbe essere altrimenti - meramente terapeutiche.
Nessun intento, quindi, di voler duplicare in laboratorio un
essere umano, ma più limitatamente ricostruire strutture
tissutali.
È evidente - a giudizio del sottoscritto - la bontà
dell'iniziativa, a prescindere dal buonismo filo americano che
attualmente ci pervade dopo la sciagura delle Twins dell'11 settembre
scorso.
Mantenendo fede ad una visione di matrice laica, e in un'ottica
filantropica, non vedo nulla di scandaloso nella ricerca che
è stata effettuata con esito, direi, eccellente e la strada
che ci apprestiamo a percorrere sicuramente sarà foriera
di risultati tutto sommato positivi, e per le ragioni che tenterò
di motivare.
A titolo preliminare: il fatto di aver sollevato - in maniera
esagerata - questioni di etica, di morale, non ci fornisce garanzia
alcuna sul punto che, qualora la scienza - più o meno
legalmente - voglia raggiungere una clonazione totale di un essere
umano non possa riuscirvi, e questo nonostante gli eventuali
controlli da interporre all'attività di ricerca, conformemente
alle normative vigenti.
Mi scandalizza l'eccessivo accanimento che da più parti
è venuto (leggo Presidenza americana, Vaticano e Unione
Europea) ponendo l'accento anche sulla circostanza che la società
realizzatrice del progetto è finanziata con capitali assolutamente
privati, pertanto svincolata dalle forme più diversificate
di condizionamento pubblico.
Molti genetisti sostengono che alla fase in cui l'esperimento
si trovava avrebbero dovuto riprodursi almeno duecento milioni
di cellule e non le sei che sono state accertate.
Da ciò deducono - di questo ne parla il padre di Dolly,
Jan Wilmut del Rosslin Institute di Edimburgo - che l'embrione
creato è morto.
Il problema vero è - a mio giudizio - capire bene quando
ci troviamo di fronte ad un embrione, e quando ci troviamo in
una fase genetica anteriore.
Su un punto tutti sembrerebbero essere d'accordo: l'embrione
è vita.
Cioè una vita dotata di una sua individualità e
perciò non soggetta a manipolazione.
Una filosofia di pensiero diversa sembra sottolineare che prima
del 14° - 16° gg. susseguente all'incontro tra la cellula
maschile e la cellula femminile sembrerebbe esistere del mero
materiale biologico, e come tale soggetto alle manipolazioni.
È questa la filosofia che ha guidato gli sperimentatori
americani.
Certo, in base al presupposto su cui si fonda, alla risposta
che si fornisce conseguono effetti diversi.
Però vorrei fare osservare alcune cose: un problema preliminare
e visibile è quello notiziale.
Non dimentichiamo che spesso la realtà che viene resa
nota ai più è frutto della cd. manipolazione della
notizia.
Non dimentichiamo, altresì, l'importanza della parola
e soprattutto il grado dell'informazione, il livello, il tempo
intercorso tra l'avvenimento e la divulgazione che spesso potrebbe
avere delle differenze non irrilevanti.
Non dimentichiamo che nulla vieta di pensare che la notizia che
ci viene propinata oggi possa essere riferita ad un fatto verificatosi
molto tempo fa.
Questo è un primo aspetto da non trascurare se è
vero, com'è vero, che è stato bene immortalato
in un celeberrimo film dall'esplicito titolo di " Quinto
potere ".
Ma non posso esimermi dall'evidenziare altri punti non meno importanti.
La domanda sorge spontanea, come direbbe Antonio Lubrano: quando
l'embrione diventa tale, siamo veramente in presenza di un individuo?
Personalmente ho un mio concetto dell'individualità, magari
errato, ma credo fermamente che l'individuo sia una summa psico
fisica, una sintesi equilibrata fra intelletto e una struttura
meccanica, il tutto con una propria capacità di relazione.
Pertanto non mi sentirei di parlare di embrione prima del 14°
- 16° gg. - come dicono alcuni scienziati - ma lo considererei
puro materiale biologico non dotato di una sua autonomia, e ancor
meno mi azzarderei a definirlo individuo.
Questa impostazione sicuramente è in contrasto con i più,
specie con quelle filosofie di vita ammantate di spiritualismo,
di moralismo religioso, ma la storia ci ha insegnato che coloro
i quali rigettano fermamente la possibilità di una manipolazione
a scopi terapeutici degli embrioni umani sono quelli che, allorquando
scoprono personalmente una patologia che implicherebbe un trapianto,
non esitano a rivolgersi a strutture più o meno clandestine
per procurarsi la materia prima, in quanto il desiderio di sopravvivenza,
l'istinto di conservazione, perfino lo stesso egoismo proprio
dell'essere umano sono aspetti naturali dell'umana condizione.
Ecco perché non accetto assolutamente questa visione -
un pò ipocrita - della maggioranza che si rifiuta di accettare
esperimenti interessanti, vieppiù se tale sistema lo si
vuole circoscrivere a scopi terapeutici.
Pensiamo all'infartuato la cui particolare patologia comporta
la necrosi di tessuto cardiaco. La possibilità di ricostruire
il tessuto offre una migliore aspettativa di vita e una conseguente
buona qualità della stessa.
Voglio sottolineare - di contro - che l'alternativa proposta
dal prof. Carlo Tafumi, ricercatore dell'università di
Catania e componente della Commissione Nazionale per le cellule
staminali, può suscitare un qualche interesse.
Costui afferma che " La nuova strada della ricerca è
il citoplasma artificiale, ossia una sorta di cellula artificiale
che contenga la maggior parte del laboratorio biochimico che
si trova all'interno del citoplasma di un ovocita e che sia in
grado di fare arrivare alla cellula di un organo malato il corretto
messaggio differenziativo si da stimolarla a riprodursi per riparare
i danni dell'organo malato. Tali cellule potranno servire per
la cura di svariate malattie ".
Anche questa è una buona soluzione.
Resta sempre - a mio giudizio - un problema sullo sfondo, risolto
il quale l'attuale visione in bianco e nero comincia ad acquisire
una sua colorazione: non bisogna essere chiusi in una sorta
di apriorismo dogmatico che non giova a nessuno.
Qualcuno mi ha detto, durante un confronto che ho avuto di recente:
" Ma quanto dobbiamo campare ? ". Io non credo sia
un problema del " quantum " vivere perché gli
accidenti, le buche in cui si può cadere durante l'arco
della propria esistenza, sono così innumerevoli e così
regolati da un meccanismo di casualità, che non si pone
un problema di quantità sibbene del " quomodo ",
del come vivere, qualitativamente inteso.
Riuscire a migliorare le condizioni di vita e aiutare quelle
persone che per un'avventura della sorte o per qualche altra
ragione, qui complice la causalità, hanno perduto determinate
funzioni o hanno subito lesioni.
Dargli la possibilità di continuare ad esistere nel migliore
dei modi possibili tutto sommato non è moralmente riprovevole.
Sottolineo questo concetto della qualità della vita perché
se ne parla di tanto in tanto, ma mai in queste circostanze,
ove si mantiene il silenzio, un silenzio strano, spesso, un silenzio
che cela dietro tante mezze verità, tante bugie, tante
ipocrisie e il silenzio complice dei mass media è probante
di quanto affermo.
Abbattiamo questo muro di ipocrisia e guardiamo in faccia la
realtà senza abbandonarci troppo a valutazioni che effettivamente
di etico hanno solo l'aspetto esteriore.
Infatti, la storia è anche memoria, e proprio per tale
aspetto bisognerebbe ricordare che qualora si voglia perseguire
uno scopo - vieppiù di matrice economica - si è
sempre trovato il tempo, il modo e le soluzioni per aggirare
il divieto.
Un altro punto su cui vorrei riflettere ha a che vedere con l'attuale
e positiva campagna d'informazione sulla cultura dei trapianti:
leggiamo moltissime dichiarazioni, articoli, tutti tesi ad inculcare
nell'opinione pubblica una cultura più filantropica, più
attenta al rispetto della persona umana, anche e soprattutto
come individuo.
Mi sembra che pian piano tale sistema stia producendo buoni risultati,
residuando solo alcune resistenze dettate da una cultura che
ormai non ci appartiene più.
Ma la strada oggi intrapresa dai ricercatori americani supererebbe
a piè pari il problema, in quanto il meccanismo attivato
con questa nuova tecnica dell'ingegneria genetica ci porterà
ad avere disponibili interi tessuti il cui ricambio è
affidato oggi alla bontà, alla disponibilità di
quei poveri sventurati che - da un incidente con esito letale
- offrono in dono, grazie al consenso della famiglia bene educata
alla cultura trapiantologica, i propri organi.
Mi rendo conto della freddezza di queste valutazioni afferenti
alla scienza economica, ma non si può negare la loro matrice
reale, nel senso che oggi è evidente lo sbilanciamento
tra domanda e offerta tant'è che esistono - questa è
cronaca - strutture che si occupano proprio di reperire la materia
prima del trapianto in maniera per nulla lecita, come è
altrettanto vero che numerosi bambini spariscono nel mondo per
finire nelle mani di soggetti privi di scrupoli che li utilizzano
anche per tale scopo.
Aprire, pertanto, una strada in tal senso va salutato positivamente
in quanto si stroncherebbe un mercato turpe ed assolutamente
immorale.
Un particolare da non trascurare con la tecnica avviata è
relativo all'assoluta sicurezza del buon esito del trapianto
stesso, in quanto il meccanismo di riproduzione avverrebbe con
l'utilizzo delle cellule staminali dello stesso soggetto che
dovrebbe poi subire il trapianto.
Per tali ragioni,e concludo, mi permetto di dissentire dallo
scandalo a cui si è gridato salutandolo invece come un
qualcosa che - eliminato il fatalismo che ci accompagna e scevri
da pregiudizi di matrice morale e/o religiosa - è positivo,
a patto che venga usato per scopi che abbiano sempre riguardo
alla centralità dell'uomo come individuo, rifuggendo da
tentazioni estremiste, magari in nome di una ragione economica
che dovrebbe avere natura più strumentale e non prioritaria,
come purtroppo assistiamo giornalmente.
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