ATTUALITA' - CLONAZIONE

Clonazione umana:

una stecca fuori dal coro

di Ruggero Di Francesco (22/1/2002)

Commenta l'articolo


E' di questi giorni la notizia, rimbalzata agli onori della cronaca, dell'esperimento condotto in un laboratorio di ricerca degli Stati Uniti, relativo alla prima clonazione di un embrione umano.
La notizia, rimbalzata in Europa e ancor più in Italia, ha destato un clamore e ha messo in moto un dibattito a diversi livelli, ma che in definitiva ha prodotto una vera e propria levata di scudi.
Si è gridato allo scandalo da parte di molti benpensanti, di moralisti spinti da ragioni di matrice prettamente ideologica e religiosa, e le cui organizzazioni di riferimento sono lì apposta per mantenere in vita tali principi.
Si è comunque registrato un ridimensionamento della notizia precisando che lo sviluppo di detto esperimento aveva finalità - e non potrebbe essere altrimenti - meramente terapeutiche.
Nessun intento, quindi, di voler duplicare in laboratorio un essere umano, ma più limitatamente ricostruire strutture tissutali.
È evidente - a giudizio del sottoscritto - la bontà dell'iniziativa, a prescindere dal buonismo filo americano che attualmente ci pervade dopo la sciagura delle Twins dell'11 settembre scorso.
Mantenendo fede ad una visione di matrice laica, e in un'ottica filantropica, non vedo nulla di scandaloso nella ricerca che è stata effettuata con esito, direi, eccellente e la strada che ci apprestiamo a percorrere sicuramente sarà foriera di risultati tutto sommato positivi, e per le ragioni che tenterò di motivare.
A titolo preliminare: il fatto di aver sollevato - in maniera esagerata - questioni di etica, di morale, non ci fornisce garanzia alcuna sul punto che, qualora la scienza - più o meno legalmente - voglia raggiungere una clonazione totale di un essere umano non possa riuscirvi, e questo nonostante gli eventuali controlli da interporre all'attività di ricerca, conformemente alle normative vigenti.
Mi scandalizza l'eccessivo accanimento che da più parti è venuto (leggo Presidenza americana, Vaticano e Unione Europea) ponendo l'accento anche sulla circostanza che la società realizzatrice del progetto è finanziata con capitali assolutamente privati, pertanto svincolata dalle forme più diversificate di condizionamento pubblico.
Molti genetisti sostengono che alla fase in cui l'esperimento si trovava avrebbero dovuto riprodursi almeno duecento milioni di cellule e non le sei che sono state accertate.
Da ciò deducono - di questo ne parla il padre di Dolly, Jan Wilmut del Rosslin Institute di Edimburgo - che l'embrione creato è morto.
Il problema vero è - a mio giudizio - capire bene quando ci troviamo di fronte ad un embrione, e quando ci troviamo in una fase genetica anteriore.
Su un punto tutti sembrerebbero essere d'accordo: l'embrione è vita.
Cioè una vita dotata di una sua individualità e perciò non soggetta a manipolazione.
Una filosofia di pensiero diversa sembra sottolineare che prima del 14° - 16° gg. susseguente all'incontro tra la cellula maschile e la cellula femminile sembrerebbe esistere del mero materiale biologico, e come tale soggetto alle manipolazioni.
È questa la filosofia che ha guidato gli sperimentatori americani.
Certo, in base al presupposto su cui si fonda, alla risposta che si fornisce conseguono effetti diversi.
Però vorrei fare osservare alcune cose: un problema preliminare e visibile è quello notiziale.
Non dimentichiamo che spesso la realtà che viene resa nota ai più è frutto della cd. manipolazione della notizia.
Non dimentichiamo, altresì, l'importanza della parola e soprattutto il grado dell'informazione, il livello, il tempo intercorso tra l'avvenimento e la divulgazione che spesso potrebbe avere delle differenze non irrilevanti.
Non dimentichiamo che nulla vieta di pensare che la notizia che ci viene propinata oggi possa essere riferita ad un fatto verificatosi molto tempo fa.
Questo è un primo aspetto da non trascurare se è vero, com'è vero, che è stato bene immortalato in un celeberrimo film dall'esplicito titolo di " Quinto potere ".
Ma non posso esimermi dall'evidenziare altri punti non meno importanti.
La domanda sorge spontanea, come direbbe Antonio Lubrano: quando l'embrione diventa tale, siamo veramente in presenza di un individuo?
Personalmente ho un mio concetto dell'individualità, magari errato, ma credo fermamente che l'individuo sia una summa psico fisica, una sintesi equilibrata fra intelletto e una struttura meccanica, il tutto con una propria capacità di relazione.
Pertanto non mi sentirei di parlare di embrione prima del 14° - 16° gg. - come dicono alcuni scienziati - ma lo considererei puro materiale biologico non dotato di una sua autonomia, e ancor meno mi azzarderei a definirlo individuo.
Questa impostazione sicuramente è in contrasto con i più, specie con quelle filosofie di vita ammantate di spiritualismo, di moralismo religioso, ma la storia ci ha insegnato che coloro i quali rigettano fermamente la possibilità di una manipolazione a scopi terapeutici degli embrioni umani sono quelli che, allorquando scoprono personalmente una patologia che implicherebbe un trapianto, non esitano a rivolgersi a strutture più o meno clandestine per procurarsi la materia prima, in quanto il desiderio di sopravvivenza, l'istinto di conservazione, perfino lo stesso egoismo proprio dell'essere umano sono aspetti naturali dell'umana condizione.
Ecco perché non accetto assolutamente questa visione - un pò ipocrita - della maggioranza che si rifiuta di accettare esperimenti interessanti, vieppiù se tale sistema lo si vuole circoscrivere a scopi terapeutici.
Pensiamo all'infartuato la cui particolare patologia comporta la necrosi di tessuto cardiaco. La possibilità di ricostruire il tessuto offre una migliore aspettativa di vita e una conseguente buona qualità della stessa.
Voglio sottolineare - di contro - che l'alternativa proposta dal prof. Carlo Tafumi, ricercatore dell'università di Catania e componente della Commissione Nazionale per le cellule staminali, può suscitare un qualche interesse.
Costui afferma che " La nuova strada della ricerca è il citoplasma artificiale, ossia una sorta di cellula artificiale che contenga la maggior parte del laboratorio biochimico che si trova all'interno del citoplasma di un ovocita e che sia in grado di fare arrivare alla cellula di un organo malato il corretto messaggio differenziativo si da stimolarla a riprodursi per riparare i danni dell'organo malato. Tali cellule potranno servire per la cura di svariate malattie ".
Anche questa è una buona soluzione.
Resta sempre - a mio giudizio - un problema sullo sfondo, risolto il quale l'attuale visione in bianco e nero comincia ad acquisire una sua colorazione: non bisogna essere chiusi in una sorta di apriorismo dogmatico che non giova a nessuno.
Qualcuno mi ha detto, durante un confronto che ho avuto di recente: " Ma quanto dobbiamo campare ? ". Io non credo sia un problema del " quantum " vivere perché gli accidenti, le buche in cui si può cadere durante l'arco della propria esistenza, sono così innumerevoli e così regolati da un meccanismo di casualità, che non si pone un problema di quantità sibbene del " quomodo ", del come vivere, qualitativamente inteso.
Riuscire a migliorare le condizioni di vita e aiutare quelle persone che per un'avventura della sorte o per qualche altra ragione, qui complice la causalità, hanno perduto determinate funzioni o hanno subito lesioni.
Dargli la possibilità di continuare ad esistere nel migliore dei modi possibili tutto sommato non è moralmente riprovevole.
Sottolineo questo concetto della qualità della vita perché se ne parla di tanto in tanto, ma mai in queste circostanze, ove si mantiene il silenzio, un silenzio strano, spesso, un silenzio che cela dietro tante mezze verità, tante bugie, tante ipocrisie e il silenzio complice dei mass media è probante di quanto affermo.
Abbattiamo questo muro di ipocrisia e guardiamo in faccia la realtà senza abbandonarci troppo a valutazioni che effettivamente di etico hanno solo l'aspetto esteriore.
Infatti, la storia è anche memoria, e proprio per tale aspetto bisognerebbe ricordare che qualora si voglia perseguire uno scopo - vieppiù di matrice economica - si è sempre trovato il tempo, il modo e le soluzioni per aggirare il divieto.
Un altro punto su cui vorrei riflettere ha a che vedere con l'attuale e positiva campagna d'informazione sulla cultura dei trapianti: leggiamo moltissime dichiarazioni, articoli, tutti tesi ad inculcare nell'opinione pubblica una cultura più filantropica, più attenta al rispetto della persona umana, anche e soprattutto come individuo.
Mi sembra che pian piano tale sistema stia producendo buoni risultati, residuando solo alcune resistenze dettate da una cultura che ormai non ci appartiene più.
Ma la strada oggi intrapresa dai ricercatori americani supererebbe a piè pari il problema, in quanto il meccanismo attivato con questa nuova tecnica dell'ingegneria genetica ci porterà ad avere disponibili interi tessuti il cui ricambio è affidato oggi alla bontà, alla disponibilità di quei poveri sventurati che - da un incidente con esito letale - offrono in dono, grazie al consenso della famiglia bene educata alla cultura trapiantologica, i propri organi.
Mi rendo conto della freddezza di queste valutazioni afferenti alla scienza economica, ma non si può negare la loro matrice reale, nel senso che oggi è evidente lo sbilanciamento tra domanda e offerta tant'è che esistono - questa è cronaca - strutture che si occupano proprio di reperire la materia prima del trapianto in maniera per nulla lecita, come è altrettanto vero che numerosi bambini spariscono nel mondo per finire nelle mani di soggetti privi di scrupoli che li utilizzano anche per tale scopo.
Aprire, pertanto, una strada in tal senso va salutato positivamente in quanto si stroncherebbe un mercato turpe ed assolutamente immorale.
Un particolare da non trascurare con la tecnica avviata è relativo all'assoluta sicurezza del buon esito del trapianto stesso, in quanto il meccanismo di riproduzione avverrebbe con l'utilizzo delle cellule staminali dello stesso soggetto che dovrebbe poi subire il trapianto.
Per tali ragioni,e concludo, mi permetto di dissentire dallo scandalo a cui si è gridato salutandolo invece come un qualcosa che - eliminato il fatalismo che ci accompagna e scevri da pregiudizi di matrice morale e/o religiosa - è positivo, a patto che venga usato per scopi che abbiano sempre riguardo alla centralità dell'uomo come individuo, rifuggendo da tentazioni estremiste, magari in nome di una ragione economica che dovrebbe avere natura più strumentale e non prioritaria, come purtroppo assistiamo giornalmente.

di_Francesco_ruggero@Hotmail.com