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Un bellissimo romanzo storico di Tino Dalla Valle

I giorni rossi
Essere giovani nella Ravenna del 1914: i pignaroli, i ciclisti rossi, l'amore
e le speranze che furono alla base della "settimana rossa"

I giorni rossi (Maggioli Editore) Ci sono libri che meritano di essere letti e libri che ti chiedi per quale motivo sono statiscritti (e per quale strana ragione qualcuno te li abbia consigliati).

Tra i primi ci sono poi libri talmente belli, interessanti e utili, che ti chiedi per quale imperscrutabile motivo non siano giunti alla meritata fama assoluta.
Nel caso de "I giorni rossi" giocano, probabilmente, un ruolo fondamentale l'ambientazione provinciale e la scelta del periodo storico. Se in Romagna (e nelle Marche) la settimana rossa è un mito, la cui conoscenza viene spesso tramandata di generazione in generazione, nel resto d'Italia è un episodio molto meno conosciuto.

Sgombriamo il campo, però, da un timore: "I giorni rossi" non è un saggio di storia. E' la storia di due ragazzi che (oggi si direbbe adolescenti) scoprono l'amore nella Ravenna del 1914. E' la Ravenna delle passioni politiche, dove ci si scontra tra anarchici, socialisti e repubblicani, ma tutti uniti si va poi, la sera, a caccia di poliziotti. I carabinieri, invece, sono più rispettati. Forse perchè sono visti come una parte di quell'esercito che, finalmente, ha tolto alla Romagna l'insopportabile giogo delo Stato Pontificio.

E' la Ravenna ancora lontana dall'industrializzazione, la Ravenna che ancora non incassa la valuta pregiata del turismo. Nelle vaste pinete non ancora ridotte dalle guerre e poi dalla speculazione edilizia, d'inverno, i pignaioli (lavoro pericoloso, ma che permette di ben arrotondare i ricavi di braccianti e contadini) raccolgono i pinoli per venderli alle industrie alimentari.
Nonostante il duro lavoro c'è lo spazio per l'amore, per i primi "strusci" nel Viale della Stazione, per le sfilate dei Ciclisti Rossi (i gruppi di Giovani Mazziniani che sfilano per i paesi fieri delle proprie maglie rosse con l'edera all'altezza del cuore).
Gli avvenimenti della settimana rossa cambieranno la prospettiva di vita dei due ragazzi prot agonisti di questa bella storia. Ci sarà spazio per l'esilio in Svizzera, per il Corpo dei Volntari Garibaldini, per le Argonne.
Un libro che dovrebbe essere obbligatorio nelle scuole, assieme a "Le stagioni di Giacomo" e "Il sergente nella neve" di Rigoni Stern. Libri che si fanno leggere tutto d'un fiato e che ti lasciano dentro il gusto della scoperta. La conoscenza delle proprie origini, la consapevolezza degli agi di oggi, il rispetto per chi, di un tempo, ricorda con dolore soprattutto la propria gioventù.

Da "I giorni rossi"

I pignaroli erano una singolare corporazione di lavoratori che esisteva allora in Ravenna e della quale oggi non rimane che una pallida copia nel gruppo dei lavoratori toscani che hanno il monopolio sulle pinete ravennati. Erano gli sbattitori delle pigne,i quali ogni anno prendevano in appalto questo lavoro. Dapprima per i Cagnoni di Ravenna, gente intraprendente che furono i primi a utilizzare in senso industriale i frutti dei pini, poi per una ditta di Pisa che era subentrata alla famiglia Cagnoni.
I pignaroli costituivano un gruppo indipendente da ogni legame sia coi datori di lavoro, sia con le organizzazioni operaie. Il loro lavoro era difficile e pericoloso, e non erano molti quelli che cercavano di entrare nella corporazione, anche se il guadagno era abbastanza buono, così i pignaroli, pur provenendo da mestieri diversi: braccianti, facchin di porto, muratori, avevano costituito una piccola casta che si distingueva da ogni altro gruppo e che aveva le sue leggi e le sue tradizioni.
La raccolta delle pigne si svolgeva quando gli altri lavori erano nella stagione morta, dall'autunno alla primavera; e un guadagno sicuro nel periodo in cui lavorare era difficile rappresentava per questi uomini una attrattiva he li spingeva ad affrontare il pericolo.
Normalmente la squadra dei pignaroli era composta da dodici bacchette, ovvero gli sbattitori, uomini giovani, prestanti ed agilissimi. Essi dovevano sempre essere graditi l'uno all'altro e non poteva rimanere nella squadra chi perdesse la stima dei compagni. Lo stesso sistema di lavoro, assunto in appalto collettivamente con uguali responsabilità per tutti gli sbattitori, rendeva necessaria questa reciproc stima.
Questi dodici uomini prendevano prendevano ilnome dalle bacchette, cioè dalle lunghe pertiche con un solido uncino in cima che servivano loro per salire sui pini e per abbatterne i frutti staccandoli con abili colpi vibrati all'attacco dei rami. Erano essi, come ho detto, gli appaltatori del lavoro, gli imprenditori, e quindi i superiori di altri lavoratori che essi stesi assumevano per la campagna di raccolta delle pigne, sino alla sgranatura dei inoli che avvveniva in aprile-maggio
Erano abilissimi nella difficile arte di arrampicarsi sugli alberi a dieci-quindici metri, spesso passando da un pino all'atro con destezza di scoiattoli senza discendere a terra. Le disgrazie non erano frequenti, ma se uno di loro cadeva, anche se riusciva a salvare la vita e a rimettersi bene, i compagni non gli permettevano più di salire; essi sapevano che nel pignarolo caduto era rimasto un timore istintivo, invincibile, che avrebbe reso probabili altre cadute. E per fare questo mestiere non si poteva tremare. Perciò i pignaroli sostituivano nell'incarico di bacchetta il compagno sfortunato, ma non lo allontanavano dal lavoro: la solidarietà era vivissima fra loro ed essi cercavano di utilizzare chi non poteva più salire sugli alberi dandogli qualche incarico sussudiario. C'erano infatti, nalla corporazione dei pignaroli, oltre ai dodici delle bacchette, sei manganelli che avevano il compito di raccolgiere le pigne fatte cadere dagli alberi e si chiamavano così perchè usavano un bastone, un manganello, per spostare i cespugli del sottobosco e raccogliere le pigne cadute nel folto delle macchie.
C'era poi il guardadietro il quale controllava che nessuna pigna sfuggisse alla raccolta dei manganelli, due garavlantini o spigolatori, i quali, anche a distanza di giorni, seguivano agli altri perlustrando ogni cespuglio della pineta per scovare le pigne eventualmente sfuggite ai manganelli e al guardadietro. C'erano anche due portasacchi i quali riempivano i sacchi di iuta con le pigne raccolte dai manganelli e li portavano, issati sulla schiena, nelle carraie dove ne facevano mucchi. Qui i mulattieri venivano a caricare i sacchi sui piccoli birocci a due ruote tirati da muli o cavalli e li portavano sulle aie delle case di pineta dove le pigne erano stese ad essiccare (...)

(...) Mentre il giovani repubblicani uscivano dalla Casa del Popolo decisi a fronteggiare la truppa che stava avanzando da Via XIII giugno, il deputato (Pirolini - ndr) fermò i suoi, andò avanti da solo e chiese di parlare con le autorità. Fu accompagnato dal generale Ciancio al quale dichiarò sul proprio onore che nella sede repubblicana non c'erao le armi temute e riuscì ad evitare lo scontro che avrebbe insanguinato le strade di Ravenna. Si spense così l'ultima fiammata della settimana rossa: cinque giorni che avevano sconvolto l'Italia provocando ovunque morti e feriti, e che in Romagna ssunsero un carattere articolare. Un autentico assalto al cieo che si spense però rapidamente per l'improvvisazione e l'impreparaione dei protagonisti.
L'unico morto delle giornate rosse fu, in Romagna, il commissario Giuseppe Miniagio che spirò quel giorno all'ospedale senza aver ripreso conoscenza. (...)

LA SCHEDA

La storia come un romanzo. Ma una storia vissuta dal "basso" e non dai documenti ufficiali.
Il sobborgo di una piccola città; le pinete millenarie; le grandi idee di riscatto sociale; una rivoluzione incompiuta. Sono questi i temi de I giorni rossi che racconte le premesse e lo sviluppo di una sommossa del giugno 1914 (la Settimana Rossa) che ebbe tra i promotori Pietro Nenni, allora repubblicano, e Benito Mussolini, allora socialista, e che in Romagna parve travolgere lo Stato.
Episodi drammatici e comici sono raccontati in forma piana e facilmente leggibile sullo sfondo di una vicenda d'amore che lega i due giovanissimi protagonisti, circondati dal pullulare di vita di un sobborgo di poveri cristi che si arrangiano con ogni lavoro; una Macondo suburbana che vive ai margini della città e che trova respiro nella presenza delle grandi pinete di San Vitale e di Classe.
Le leggi e le regole non scritte che governano la vita dei pignaroli; il giro delle stagioni; le prime lotte operaie nelle campagne e nella città che comincia ad indusrtializzarsi. Tutto un mondo mai studiato e pochissimo conosciuto si impone qui all'attenzione del lettore raccontando una fetta della storia d'Italia che gli italiani non conoscono. Ed i personaggi del libro, uomini e donne semplici, ma dalle idee chiare e precise, sono i protagonisti di un'Italia troppo spesso sommersa, ma non per questo meno vera e importante dell'Italia ufficiale.






Tino dalla Valle, nato a Ravenna, giornalista e dirigente industriale. Collabora a quotidiani e periodici. Come fotografo ha collaborato a Il Mondo di Pannunzio. Per la BP italiana ha curato la produzione del film Giuseppina, del regista James Hill che vinse il Premio Oscar 1961 per il cortometraggio. Dalla fondazione dirige Il lettore di provincia, rassegna trimestrale di studi e critica letteraria.

"I giorni rossi" di Tino Dalla Valle - Maggioli Editore (Rimini) - prima edizione 1989
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