BIOGRAFIA
Luigi
Pirandello nacque il 28 giugno 1867 nei dintorni di Girgenti
(Agrigento), nella villa detta
"il
Caos", da Stefano Pirandello, ex garibaldino, e da Caterina
Ricci. Nel 1880 la famiglia si trasferisce a Palermo, dove Luigi
terminerà gli studi classici; nel 1886 si iscrive, nella stessa
città, alla Facoltà di Lettere, ma l'anno dopo si reca a Roma
presso uno zio per frequentare l'università romana. Il 21 marzo
1891 si laurea presso l'università di Bonn discutendo, in tedesco,
una tesi dal titolo "Suoni e sviluppi di suono nella parlata di
Girgenti". Tornato in Italia, nel 1893 si stabilisce a Roma,
dove ha i primi contatti con il mondo culturale romano: su consiglio
di Luigi Capuana scrive il primo romanzo, L'esclusa. Nel 1894
sposa la figlia di un socio del padre, Maria Portulano, dalla quale
avrà tre figli.
E'
il 1903 quando la miniera di zolfo, nella quale erano stati
investiti i capitali del padre e la dote della moglie, viene
distrutta da una frana: la moglie ne riporta un grave shock e,
costretta all'immobilità da una paresi alle gambe, manifesta i
primi segni di paranoia. Assistendo la moglie scrive Il fu Mattia
Pascal, nel 1904: grazie al successo del romanzo entra a far
parte della casa editrice dei Fratelli Treves. Diviene titolare
della cattedra di Lingua Italiana all'Istituto Superiore di
Magistero di Roma. Inizia a collaborare con il Corriere della
Sera e scrive il romanzo I vecchi e i giovani.
Nel
1915 la vita familiare è scossa dalla partenza per la guerra del
figlio Stefano (rimarrà prigioniero per tre anni), dalla morte
della madre e dall'aggravarsi della malattia della moglie, che
diviene esageratamente gelosa nei suoi confronti. Nel 1916 scrive
per il teatro, su suggerimento dell'amico Nino Martoglio: Così
è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il giuoco delle parti, Sei
personaggi in cerca d'autore, che cade a Roma per
trionfare nello stesso anno al Manzoni di Milano. Dopo un tour
europeo che arriva anche a New York, Pirandello torna in Italia per
terminare il romanzo Uno, nessuno e centomila.
Nel
settembre 1924, tre mesi dopo il delitto Matteotti, si iscrive al
Partito Nazionale Fascista. Il 10 dicembre 1934 è a Stoccolma per
ricevere il Premio Nobel per la letteratura; nel 1935 è in America,
dove incontra Albert Einstein.
Durante
le riprese cinematografiche de Il fu Mattia Pascal, che
vengono effettuate a Roma, si ammala di polmonite e muore nella sua
casa la malattia del 10 dicembre 1936.
Nelle
sue ultime volontà aveva lasciato disposizioni per il funerale:
"Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno
m'accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il
cocchiere e basta". E così fu fatto.
RIASSUNTO
Mattia
Pascal, bibliotecario in un paesino ligure di analfabeti chiamato
Miragno, racconta come il destino poté mutargli la vita facendolo
morire per ben due volte.
Suo
padre era un navigante che riuscì ad arricchirsi giocando a carte
con un capitano inglese; la fortuna accumulata fu subito investita
in case e poderi, ma il padre non poté goderne perché morì all'età
di trentott' anni.
La
madre si sentì sperduta e non seppe badare né ai suoi figli,
Mattia e Roberto, né ai possedimenti, che furono affidati in
custodia al Malagna, un amministratore poco fidato. Ben presto la
ricchezza dei Pascal è dissipata da questo personaggio, che però
subisce la vendetta del destino. Egli non può avere figli né dalla
sua prima moglie, che è accusata di sterilità e muore tristemente,
né dalla seconda, la giovane Olivia, che tanto piace anche a
Mattia, il quale le procura la gioia di un bambino.
Dal
Malagna si trasferiscono anche la vedova Pescatore e sua figlia
Romilda, nipote del padrone di casa; la giovane è oggetto del
desiderio di Pomino, amico di Mattia: quest'ultimo si reca spesso in
casa del Malagna, corteggia Romilda da parte dell'interessato e
finisce per innamorarsene lui stesso.
Mattia
intraprende una relazione con lei ed è costretto a sposarla, perché
ben presto Romilda partorisce due gemelle. Con gli sposi convive la
vedova Pescatore, che con i suoi discorsi e comportamenti ossessiona
il povero (anche economicamente) Mattia; la casa si trasforma in un
inferno, tra urla e litigi; muoiono la signora Pascal e entrambe le
figlie di Mattia. Questi, dopo aver ottenuto il posto di
bibliotecario, parte all'insaputa di tutti per Nizza e in seguito
per Montecarlo, dove conosce il gioco d'azzardo: con numerose
puntate fortunate, trasforma il piccolo gruzzolo iniziale in 82000
£, una ingente somma all'epoca.
Ma
il destino beffardo, che gli si mostra favorevole, sta preparandogli
nuove sciagure.
Sul
treno di ritorno per Miragno, egli legge sul giornale l'annuncio del
suo suicidio, avvenuto secondo i parenti presso il molino di
una sua proprietà: in realtà essi, che non lo vedevano da qualche
giorno, avevano riconosciuto il suo volto in quello di uno
sventurato che si era tolto la vita in quei giorni.
Sbalordito
nel leggere il proprio necrologio, Mattia immagina nella morte una
liberazione dalle ossessioni domestiche; spensierato e ricco, pronto
a iniziare una nuova vita, egli deve ribattezzarsi con un nome che
anche stavolta viene deciso dal fato.
Adriano
Meis si costruisce un finto ma credibile passato, cambia il suo
aspetto lasciandosi crescere i capelli (ma di Mattia rimane un
occhio sbircio dalla nascita) e inizia a viaggiare, visitando le più
belle città europee; dopo un anno di libertà sconfinata, Adriano
si stabilisce a Milano e poi a Roma.
I
suoi rapporti con la gente lo vedono sempre costretto a mentire e a
condurre una vita da spettatore; Adriano diventa un misantropo, non
sa più chi è veramente e soprattutto è schiavo di quella che
all'inizio pareva libertà.
A
Roma il signor Meis si stabilisce in affitto presso Anselmo Paleari,
che divide la casa con sua nipote Adriana e con la signora Caporale.
L'ospite
appare schivo e riservato e solo dopo qualche mese si decide a
conversare (ma sempre in maniera misteriosa) con le signore di casa;
i racconti dei suoi viaggi entusiasmano la Caporale, che si innamora
di lui, ma questi, a sua volta, prova sentimento verso Adriana.
Una
sera a casa Paleari arriva il cognato di Adriana, Terenzio Papiani,
che era partito per Napoli dopo la morte della moglie; questo losco
personaggio, non volendo restituire la dote al Paleari, trama di
sposarsi con Adriana.
Tra
i due c'è di mezzo Adriano Meis, che ha compreso tutto e per di più
è amato, anche se in modo platonico, dalla ragazza; l'intreccio è
delicato, i rapporti tra i personaggi sono tesi e di cortesia,
nascosti dietro a maschere sorridenti. Per scoprire qualcosa di più
sul conto del suo rivale in amore, Papiano assolda un uomo che
recita la parte del cugino di Adriano, ma a nulla vale questo
tentativo.
Adriano
si sottopone a un'operazione all'occhio, che dopo quaranta giorni è
perfettamente guarito; nel buio della sua camera, dove trascorre il
tempo necessario alla guarigione, si svolgono riflessioni
filosofiche sulla vita, la morte e la religione, che tanto
appassionano il Paleari; egli organizza persino le sedute spiritiche
a cui partecipano numerosi invitati, ma soltanto Paleari crede
davvero alle manifestazioni dello spirito Max; gli altri
approfittano del buio per colpirsi a vicenda o per dare sfogo al
sentimento, come fa Meis con Adriana.
Le
sedute spiritiche somigliano sempre di più a sedute di spirito,
poiché Papiano, con l'aiuto di un collaboratore, si prende gioco di
Meis e ne approfitta per sottrargli del denaro. Adriano crede per un
attimo che lo spirito del morto suicida lo ammonisca; lunghe e
tormentate riflessioni lo conducono a diverse conclusioni: il
rapporto con Adriana non può continuare, bisogna dirle la verità,
ammettere che Adriano Meis non esiste e che Mattia Pascal è morto e
ancora ammogliato, poiché il peso insopportabile della moglie grava
ancora nella coscienza del morto.
Adriano
si accorge del furto di 12000 £ e, nonostante Adriana lo esorti a
denunciare Papiano, egli sa che non può farlo, perché la polizia
indagherebbe anche sul suo conto, e scoprirebbe che il sig. Meis per
la legge non esiste, è solo il frutto della fantasia di un
"morto". Allora Mattia corrobora le proprie tragiche
convinzioni, che lo dipingono come un morto che deve ancora perire,
un uomo escluso dalla vita, l'ombra di un personaggio costretto a
subire il supplizio di Tantalo.
Obbligato
a scagionare Paleari, che è comunque colpito dal rimorso, Meis
punisce involontariamente, con le sue menzogne, la povera Adriana.
Per
non farla più soffrire, decide di farla ingelosire, di modo che lei
smetta di amarlo. L'occasione buona arriva presto: i Paleari sono
invitati da una potentissima famiglia spagnola che era stata molto
influente all'epoca dei Borboni e ancora partecipava alla politica
italiana. Ad accoglierli ci sono Pepita Pantogada, giovane e bella,
la sua cagnolina e il fidanzato ufficiale, il pittore Bernaldez.
Tutti e tre erano già conosciuti perché avevano preso parte alle
celeberrime sedute spiritiche del Paleari.
Meis
corteggia in modo plateale Pepita e arriva persino a offendere il
pittore nel suo orgoglio; tra i due si prospetta un duello, fissato
per il giorno seguente, e Adriano deve cercarsi due testimoni, come
prevede il codice di comportamento. Paleari e Papiano rifiutano, così
egli è costretto a rivolgersi a due ufficiali; i carabinieri si
prendono gioco di lui, che si volge in fuga come un vigliacco,
errando per la città.
Finché
giunge ad un ponte e... dopo due anni, termina la vita di Adriano
Meis. A morire non è un uomo, ma un vile bugiardo che non aveva
potuto vivere davvero, impedito nel socializzare e nell'amare.
Lasciando nel fiume alcuni oggetti di riconoscimento e un
bigliettino, Mattia Pascal si libera di quell'ombra e, morendo per
la seconda volta, decide di reincarnarsi.
Dopo
una breve sosta a Pisa, dove riacquista il suo aspetto originario,
Mattia parte per Oneglia, da suo fratello Roberto. E come in una
scena dei varietà televisivi strappalacrime, i due stentano a
riconoscersi e poi si abbracciano calorosamente. Roberto previene il
fratello sul fatto che Romilda si è risposata con Pomino e da lui
ha persino avuto un figlio; contrariato per il manchevole rispetto
portato dalla moglie al lutto, Mattia si rallegra al pensiero di non
dovere più condividere nulla con quella e con la ossessiva vedova
Pescatore. Purtroppo però la legge, ancora una volta, gli è
nemica: il secondo matrimonio si annulla se il primo coniuge si
ripresenta al cospetto della moglie.
Come
un Ulisse che torna ad Itaca, Mattia raggiunge Miragno, ma non c'è
nessuno che lo riconosce; egli si reca a casa di Pomino e, bussando
alla porta, può nuovamente dire "Sono Mattia Pascal".
L'arrivo
del morto provoca scompiglio nella famiglia; Pomino si agita alla
notizia che il matrimonio andrebbe annullato, Romilda sviene per la
sorpresa, la Pescatore sbraita contro tutti i presenti, Mattia si
indegna con loro per averlo confuso con un altro e per non aver
portato rispetto alla sua anima. La scena drammatica ha fine quando
Mattia si lascia andare a un'ilarità improvvisa e libera Pomino da
tante preoccupazioni: Romilda fu la moglie di Mattia Pascal,
formalmente morto, e questi non farà valere i suoi diritti; per lui
sarà sufficiente passare il resto dei suoi giorni nel paese natale.
L'unico
a riconoscere le sue sembianze è don Eligio, l'altro bibliotecario
a cui tanto era affezionato; tutti i paesani vengono finalmente a
sapere che Mattia è vivo e accorrono per rivederlo. Egli rincontra
anche Olivia, che ha per mano il figlio di quello che fu Mattia
Pascal: non c'è altro modo per denominare questo personaggio,
che sfugge a ogni identificazione. Egli continua la sua attività
nella biblioteca di Miragno, scrive la sua incredibile storia con
l'aiuto di don Eligio e ogni tanto si reca alla sua tomba, a vedersi
morto e sepolto laggiù...
SPAZIO
L'avventura
di Mattia-Adriano si svolge principalmente a Miragno, paesino della
Liguria vicino a Genova, e a Roma, dove egli affitta una stanza; il
protagonista compie inoltre un lungo viaggio che lo porta a visitare
Torino, Milano, Venezia, Firenze e poi Colonia, Worms, Magonza...
Nonostante
il gran numero di luoghi citati, l'autore non si sofferma mai a
descriverli, lasciando che sia il lettore a immaginarli.
Evidentemente
per Pirandello gli scenari dove le sue marionette agiscono passano
in secondo piano, né egli se ne serve per caratterizzare i
personaggi, come invece fa la maggior parte degli scrittori.
TEMPO
Mancano
del tutto riferimenti cronologici precisi ed espliciti; si può però
dedurre, dalle notizie che Mattia legge su un giornale, che la
vicenda si svolga tra la fine del secolo scorso e i primissimi anni
del nostro:
-Lessi
che l'imperatore di Germania aveva ricevuto a Potsdam, a mezzodì,
l'ambasciata marocchina, e che al ricevimento aveva assistito il
segretario di Stato, barone di Richtofen...
-Anche
lo zar e la zarina di Russia avevano ricevuto a Peterhof una
speciale missione tibetana che aveva presentato alle LL. MM. i doni
del Lama.
Come
per i luoghi, Pirandello non ha intenzione di esplicitare il tempo
in cui si svolgono i fatti, perché questa vicenda può accadere in
qualsiasi epoca e paese. Come lo stesso autore ribadisce in una nota
alla fine del libro, anni dopo la stesura de Il fu Mattia Pascal
un uomo, che era stato rinchiuso in carcere, quando fu liberato
scoprì che per legge egli era morto, riconosciuto erroneamente nel
cadavere di un suicida, e nel frattempo sua moglie si era
risposata...
NARRAZIONE
La
narrazione è condotta in prima persona; a raccontare è Mattia
Pascal, che scrive, su invito di don Eligio, la sua biografia sotto
forma di diario, rivolgendosi direttamente al lettore, dialogando
persino con lui.
L'ordine
cronologico è regressivo, cioé lo scrittore ricorda fatti avvenuti
in precedenza e va a ritroso nel tempo, salvo tornare al presente
alla fine del racconto. Oltre all'analessi, che riguarda tutto il
libro, ci sono anche delle prolessi; questo è possibile perché
l'io narrante è onniscente e può anticipare al lettore, anche solo
con brevi cenni, ciò che sta per succedere.
-Ecco:
il mio caso è assai più strano e diverso; tanto diverso e strano
che mi faccio a narrarlo./ Giacché, per il momento (e Dio sa quanto
me ne duole ), io sono morto, sì, già due volte, ma la prima per
errore, e la seconda...sentirete.
-...giacché
mio fratello ebbe la ventura di contrarre un matrimonio vantaggioso.
Il
mio invece... -Bisonerà pure che ne parli, eh, don Eligio, del mio
matrimonio?
Arrampicato
là, su la sua scala da lampionajo, don Eligio Pellegrinotto mi
risponde:
-E
come no? Sicuro. Pulitamente...
-Ma
che pulitamente! Voi sapete bene che...
Don
Eligio ride, e tutta la chiesetta sconsacrata con lui.
STILE
Ora
capisco come Pirandello poté diventare Premio Nobel nel 1934 e
restare così celebrato anche a tanti anni di distanza. Il suo stile
di raccontare mi ha meravigliato, tenendomi incollato dalla prima
all'ultima pagina come davanti a un film o, per meglio dire, a una
commedia di teatro. Libero da ogni vincolo e ogni preconcetto,
conduce la storia in tono colloquiale, arrivando al contatto diretto
col lettore, creando in ogni periodo attesa per ciò che segue. Il
suo stile molto originale, come mai avevo apprezzato finora, rende
una storia che già di per sé è interessante ancora più
stimolante per il lettore; accanto ai semplici fatti ci sono le
battute di spirito, le riflessioni filosofiche e le
caratterizzazioni di numerosissimi personaggi. Sempre tra il serio e
il faceto, tra la realtà e la fantasia,quest'opera d'arte dipinge
uno scenario reale in cui si muovono personaggi reali, che ciascuno
di noi potrebbe interpretare: tutti potrebbero immedesimarsi in
Mattia, perché non si sa mai che cosa la vita ci prospetterà, e
l'abilità dell'autore sta proprio nell'eliminare ogni barriera tra
Mattia e il lettore, facendone un unico personaggio.
PERSONAGGI
Si
può dire che tante sono le stelle nel cielo, tanti sono i
personaggi che Pirandello inventa, estrapolandoli dalla sua fantasia
e collocandoli nella realtà (o viceversa?).
In
questo libro ho contato circa trenta personaggi, ciascuno diverso
dagli altri, ciascuno rispecchiante un modello diverso di vita;
molti compaiono solo per una pagina, ma restano ugualmente negli
occhi del lettore, perché sono descritti in un modo davvero
originale e, il più delle volte, intervengono per ravvivare il
racconto con battute di spirito e scene tragicomiche. Con le sue
marionette, Pirandello intende rappresentare una piccola parte
dell'umanità, che è estremamente eterogenea; bisogna guardarla in
un caleidoscopio se si vuole comprendere veramente com'è, cioé
estremamente variopinta.
Il
protagonista è Mattia Pascal, uno di noi, uomo normale, né bello né
ricco, che vive un caso eccezionale, morendo formalmente per due
volte e scoprendo sulla sua pelle la nullità dell'uomo. La sua
presentazione è diretta e molto originale; dopo aver detto il suo
nome, per lui cosa non da poco, si descrive fisicamente:
-...m'afferrò
per il mento, me lo strinse forte forte con le dita, dicendomi:
-Bellino!
Bellino! Bellino!- e accostandomi, man mano che diceva, sempre più
il volto al volto, con gli occhi negli occhi, finché emise una
specie di grugnito e mi lasciò, ruggendo tra i denti: -Muso di
cane!
Doveva
essere la mia faccia placida e stizzosa e quei grossi occhiali
rotondi che mi avevano imposto per raddrizzarmi un occhio, il quale,
non so perché, tendeva a guardare per conto suo, altrove. Erano per
me, quegli occhiali, un vero martirio. A un certo punto li buttai
via e lasciai libero l'occhio di guardare dove gli piacesse meglio.
Tanto, se dritto, quest'occhio non m'avrebbe fatto bello. Ero pieno
di salute, e mi bastava. A diciott'anni m'invase la faccia un
barbone rossastro e ricciuto, a scapito del naso piuttosto piccolo,
che si trovò come sperduto tra esso e la fronte spaziosa e
grave./io avrei cambiato il mio volentieri, e così anche gli occhi
e tante altre parti della mia persona. Ma sapendo bene che non si può,
rassegnato alle mie fattezze, non me ne curavo più che tanto.
A
sconvolgere la sua monotona esistenza da bibliotecario arriva la
sorte, che al Casinò di Montecarlo lo rende ricco e libero dalle
preoccupazioni casalinghe.
All'improvviso
Mattia si trova davanti a una vita tutta da ricominciare e da
dedicare a se stesso, senza apparenti legami col passato; e mentre
leggevo anch'io mi auguravo di trovarmi, un giorno, in una
situazione simile, magari disperso su una barca nell'Oceano e
naufrago in una terra lontana, pronto a vivere all'avventura e
deciso a non sprecare un solo secondo della mia nuova esistenza...
Il
prezzo che Mattia deve pagare è però altissimo: egli si trasforma
in un uomo-invenzione, in una marionetta nelle mani degli altri, in
un bugiardo che, costretto a portare sempre una maschera che dia una
immagine diversa di lui, è vittima delle sue stesse menzogne.
-Or
che cos'ero io, se non un uomo inventato? Una invenzione ambulante
che voleva e, del resto, doveva forzatamente stare per sé, pur
calata nella realtà./
La
mia vera, diciamo così, "estraneità" era ben altra e la
conoscevo io solo: non ero più niente io; nessuno stato civile mi
registrava, tranne quello di Miragno, ma come morto, con l'altro
nome.
Adriano
Meis è libero, ma per evitare di essere scoperto, evita rapporti
durevoli e profondi con la gente che incontra e si ritrova
inevitabilmente solo; in questo modo, priva di amicizia e amore, la
sua vita non ha più senso ed egli ne è un impassibile spettatore.
-Ma
la verità forse era questa: che nella mia libertà sconfinata, mi
riusciva difficile continuare a vivere in qualche modo. Ma la vita,
a considerarla così, da spettatore estraneo, mi pareva ora senza
costrutto e senza scopo.
-E
che uomo dunque? Un'ombra d'uomo!E che vita! Finché m'ero
contentato di star chiuso in me e di vedere vivere gli altri, sì,
avevo potuto bene o male salvare l'illusione ch'io stessi vivendo
un'altra vita.../ M'è sembrata una fortuna l'esser creduto morto?
Ebbene, e sono morto davvero. Morto? Peggio che morto; me l'ha
ricordato il signor Anselmo: i morti non debbono più morire, e io sì:
io sono ancora vivo per la morte e morto per la vita.
Per
porre fine a un'esistenza da ombra, non gli resta che uccidere
Adriano; con lui muore la maschera di Mattia, che può tornare a
essere se stesso.
Egli
si paragona alla torre di Pisa, perché come essa è nell'incertezza
e non sa da quale parte pendere; tutte le sue sicurezze di gioventù
sono svanite, non sa più chi è, qual è la sua funzione nel mondo,
quale posizione dovrà assumere nella società. In un amaro finale,
Mattia va al cimitero per vedersi là, morto e sepolto; è finito il
gioco delle parti, egli si è tolto la maschera per la
rappresentazione:
-Quello
che vorremmo o dovremmo essere; quello che agli altri pare che
siamo; mentre quel che siamo, non lo sappiamo, fino a un certo
punto, neanche noi stessi; ciascuno è la marionetta di se stesso,
finché non giunge un calcio che manda all'aria la baracca.
CONSIDERAZIONI
PERSONALI
Senza
alcun dubbio o riserbo il libro mi è piaciuto, anzi mi ha
entusiasmato e invogliato a leggere le altre opere dello stesso
autore che mi era ancora sconosciuto (quale ignoranza!). Mi ha
colpito lo stile dell'autore, capace di animare le sue marionette
fino a renderle umane; molti personaggi possono apparire irreali
agli occhi del lettore, ma certo non lo sono, perché Pirandello non
fa che rappresentare la realtà nelle sue mille sfaccettature e
stranezze: egli non inventa nulla, è la vita stessa che è
imprevedibile. Così il caso di Mattia, che potrebbe sembrare verosimile,
è vero semplicemente perché nella vita tutto può
succedere: la storia di quello sventurato già citato in precedenza,
nel 1921, conferma la tesi dello scrittore.
Pirandello
è al tempo stesso comico e filosofo, mescola abilmente queste due
arti che sembrano inconciliabili in un opera che risulta davvero
unica; le riflessioni all'interno del libro sono numerose e
riguardano l'uomo.
Nella
prima premessa Pirandello afferma che Copernico dovrebbe essere
maledetto, perché con le sue scoperte ha posto l'uomo di fronte ad
un Universo di cui la Terra non è neanche al centro: gli uomini
dunque si sentono sminuiti, si avviliscono perché capiscono di non
contare nulla di fronte all'Universo. A volte si dimentica di essere
atomi infinitesimali e si finisce per vanagloriarsi e ammirarsi a
vicenda, salvo poi cpmbattere per lembi di terra o banali oggetti;
è allora chiara la piccolezza dell'uomo, che lotta per delle
piccolezze.
L'opera
di Pirandello è una lunga favola, che attraverso le avventure di
numerosi personaggi vuole lanciare un messaggio, una morale;
l'autore intende evidenziare proprio l'insignificanza della figura
umana e la sua impossibilità di lottare con la sorte: nessuno può
essere artefice del proprio destino, né capace di interpretarlo,
bensì siamo tutti delle marionette manovrate dal soprannaturale con
delle maschere sul volto, per adattarci alle situazioni in ci ci
troviamo coinvolti.
Mi
sono immedesimato in Mattia, sognando anch'io di vivere la sua
avventura, finché il triste finale che lo vede spettatore del suo
corpo morto non mi ha scoraggiato. Non so che cosa il destino abbia
in serbo per me, né mi piacerebbe conoscerlo, ma se dovessi vivere
un'avventura simile a quella di Mattia, dovrei ringraziarlo per
avermi aiutato a capire la mia situazione, e se non mi capitasse,
dovrei ringraziarlo comunque per avermi divertito con i suoi
burattini...
|