Recensione
del “ Diario” di Anna Frank Autrice di
quest’unico e incantevole diario è Annelies Marie Frank, familiarmente
chiamata dai suoi amici e conoscenti, nonché da noi lettori, col semplice
nome di Anna. Codesta fanciulla, il cui ritratto spicca sulla copertina
bianca di questo libro accanto a me, nacque il 12 Giugno del 1929 in
Germania, a Frankfurt am Main dove il padre esercitava una sicuramente ben
retribuita professione di banchiere. A turbare l’atmosfera serena del
nucleo familiare della piccola Anna furono le leggi razziali del 1933 che
costrinsero ad emigrare i Frank in Olanda, ad Amsterdam, dove Otto Frank
fondò una piccola azienda commerciale. Successivamente, nel Maggio del
1940 a causa dell’invasione tedesca, Anna e Margot, sua sorella
maggiore, interruppero gli studi presso la scuola Montessori e si
trasferirono al Liceo Ebraico. Due anni dopo, in previsione di un
peggioramento delle condizioni ebree nell’Olanda tedesca, tutta la
famiglia si nascose in un alloggio segreto, insieme ad alcuni amici,
esattamente nella casa dove Otto Frank aveva l’ufficio. Nell’Agosto
del 1944, in seguito ad una segnalazione, la Gestapo scoprì
l’appartamento clandestino e lo saccheggiò, arrestandone gli abitanti
che subito furono deportati a Westerbork, il più grande campo di
concentramento tedesco dell’Olanda. Nel Settembre dello stesso anno la
famiglia Frank venne condotta ad Auschwitz, dove il padre venne separato
dalle figlie e dalla moglie che di lì a poco sarebbe morta di
consunzione. Anna e Margot furono inviate con altre donne a Bergen Belsen,
dove morirono di tifo a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, nel
Febbraio del 1945. Ironia della sorte: meno di un mese dopo gli inglesi
liberarono Bergen Belsen. Unico
superstite della famiglia Frank fu il padre; proprio a lui venne
consegnato dopo la guerra il diario della figlia minore, pubblicato nel
1947 con il titolo originale, “Il retrocasa”. Questo
bellissimo libro altro non è che il ritratto della fase di transizione
(dall’infanzia alla giovinezza) della spumeggiante ragazzina di nome
Anna; l’adolescenza della piccola Frank si differenzia da quella delle
sue coetanee perché forzata a evolversi precocemente in una maturità
innaturale, a causa della difficoltà di essere ebrei all’epoca. Il
diario si apre nel Giugno del 1942, quando la sua vita ancora presentava
delle somiglianze con le vite delle sue amiche, anche se l’Olanda era
occupata ormai da due anni dalle truppe naziste. Anna è dunque al
corrente di tutti i diritti che le sono negati a causa della sua
religiosità: non può servirsi dei mezzi pubblici, frequentare locali ed
è costretta ad esporre sul petto la stella giudaica. Ciononostante può
ancora uscire all’aperto e girare in bicicletta con i suoi amici,
divertendosi senza preoccuparsi troppo … fino al giorno in cui è
costretta a trasferirsi con la sua famiglia, i Van Daan ed il dentista
Dussel nell’alloggio segreto. Inizia così, per gli abitanti del
cosiddetto alloggio, un’esistenza piena di privazioni e ristrettezze
economiche: non devono uscire né affacciarsi alle finestre, mangiano
perlopiù verdura scadente, sono preda di ossessioni di ogni genere
derivanti dai mille problemi quotidiani; gli unici svaghi, varianti alla
monotonia perenne, sono rappresentati dalle visite degli amici più fidati
che introducono nel soffocante alloggio l’aria esterna tramite libri,
cibo e notizie e dall’ascolto quasi snervante della radio inglese, in
cerca di speranze e cause di gioia nell’attesa che, un giorno, la guerra
finisca. Tra i problemi più concreti si infiltrano quelli giovanili della
tredicenne Anna, che aggiunge noia e paura a quella degli adulti che non
la comprendono: attraverso le sue analisi particolareggiate e obiettive,
frutto della sua pronta intelligenza, riusciamo a concentrare la nostra
attenzione sui fatti più significativi. Con penna attenta e ironica la
giovane autrice ci riferisce la quotidianità del gruppo di clandestini:
nulla ci risparmia, ma il suo essere impietosa ci fa apparire ogni persona
umanamente fallibile, proprio come saremmo noi tutti nelle loro disagevoli
condizioni. Il suo diario è dunque fedelissimo riflesso di una realtà
dura e spesso difficilmente sopportabile, ma vera e commiserabile
sostanzialmente. E’ impossibile criticare chi si trova di punto in
bianco in una situazione che mai avrebbe soltanto immaginato: così accade
all’agiata famiglia tedesca di origine ebrea che improvvisamente finisce
a mangiare insalata marcia. Ma la ricchezza precedentemente avuta non li
ha corazzati ad un avvenire pericoloso e difficile: l’adattamento che
tutti dimostrano è anzi ammirevole, forse derivante dal fatto che è
assente una vera coscienza del pericolo, fra quegli adulti che tanto
sembrano bambini. Colei che dovrebbe vivere da bambina è invece Anna:
sebbene in lei alberghino le speranze che potrebbero renderla libera, è
intimamente conscia che probabilmente non ce la farà ad arrivare fino in
fondo; lei le chiama speranze, ma le considera illusioni. Questo diario
è più di un documento bellico: l’umanità e la pietà svelano pagine
straordinarie. Nel corso delle vicissitudini che la voce cristallina di
Anna racconta in prima persona, la stessa indimenticabile protagonista ha
il coraggio e l’audacia necessari per trasformare se stessa, guidandosi,
da sola, attraverso un cammino irto di ostacoli che la porteranno ad una
maturazione non indifferente, nel corpo e nello spirito. Vediamo
vividamente i ritratti che ci propone, pagina dopo pagina, come colorate
figure di ballerini che danzano un ballo di dolore. La madre cinica che
vuole essere prima di tutto un’amica e non tollera la condotta vivace e
impertinente della figlia minore, preferendole forse la maggiore, più
posata e tranquilla e, almeno apparentemente, meno complessa. Il padre
soprannominato Pim eccessivamente sensibile, eccessivamente adorato da
Anna che ripone in lui tutto l’affetto che non può riversare sulla
madre scostante, e che la delude perché non è l’amico che
desidererebbe. La sorella Margot, giovane donna distinta che ben poco
capisce Anna, concentrata su se stessa e sul comportamento che agli occhi
degli altri deve essere perfetto, sempre portata a modello alla sorella
minore, meno “santa” ma più umana e più brillante. La signora Van
Daan, civetta e donna sciocca, madre di Peter che a sua volta non brilla
per intelligenza, una via di mezzo tra bene e male, un ragazzo debole,
timido e insicuro che infine troverà consolazione e appoggio nella figura
di Anna, molto più di quanto lei sperava di trovare in lui ed anche molto
più attiva di lui davanti alle difficoltà della vita. Il signor Van Daan
di cui non c’è molto da dire: figura intermedia e non interessante, mal
sopporta la moglie con tutto il suo carico di stupidità e immodestia, non
è collegato a nessun fatto che abbia relativa importanza. Inoltre il
dentista Dussel, uomo abietto, meschino e avaro che ripaga i Frank,
colpevoli solo d’avergli offerto un rifugio, con la nuda ingratitudine. La vita non
era facile per questi ebrei, inutile dirlo.
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