Ricordi d'infanzia - n.1
Ovvero: Lo schiaffo, la carezza e il pugno.
NON è una favola, ma un racconto per grandi.
Ormai è molto difficile trovare scritte come questa. Io, circa vent’anni fa in una grande via di Milano, dove spesso passavo senza mai farci caso, ne avevo rivista una sul muro di un vecchio palazzo.
Stava a livello del marciapiede, accanto alla finestrella che dava luce allo scantinato ed era quasi completamente sbiadita. In caratteri neri, stampatello maiuscolo, sul muro c’era proprio scritto “U.S. IN CORTE”, tra due grosse frecce bianche e rosse. Le frecce erano spezzate in due parti per fare un angolo e puntare appunto alla finestrella.
Sono rimasto sorpreso: si trattava di qualcosa che aveva a che fare con fatti e avvenimenti di almeno mezzo secolo prima. Cioè, più o meno, 70 anni fa rispetto al momento in cui adesso ve lo racconto.
L’indicazione era molto scolorita dalle piogge e dal tempo. Soltanto il ricordo di scritte analoghe, che da bambino vedevo dappertutto, me l’aveva fatta riconoscere e comprendere.
E la memoria era arrivata improvvisa come uno schiaffo che fa male, ma subito dopo, dolce e affettuosa come una carezza.
Vi sto parlando degli ultimi anni della seconda guerra mondiale. Allora vivevo a Milano, città che quasi quotidianamente era sotto i bombardamenti dell’aviazione alleata.
Le autorità avevano imposto che nei seminterrati o sotterranei di ogni caseggiato fosse allestito un rifugio. Se l’allarme avvisava di un possibile bombardamento sulla città, gli inquilini cercavano in quelle cantine la protezione dalle bombe.
A loro si potevano unire gli eventuali passanti che si fossero trovati nei pressi in quel momento. Per questo motivo a lato dei portoni di quasi ogni casa si poteva vedere una grossa R bianca su sfondo nero, tondo, rettangolare o a forma di freccia. Quel segno indicava appunto che lì il Rifugio c’era e che anche loro lo potevano utilizzare.
La protezione ovviamente non era garantita completamente. Se una bomba colpiva proprio quell’edificio e lo trapassava, non sempre il rifugio restava intatto sotto alle macerie. Però sulle case circostanti l’effetto poteva limitarsi al crollo del tetto e delle solette dei piani. Come si vede in parecchie fotografie dell’epoca, le pareti esterne restavano spettralmente in piedi.
In questi casi i soccorritori sapevano dove scavare tra le macerie. Dovevano cercare le frecce bianche e rosse con la scritta “U.S.” che indicavano la zona da disseppellire per salvare i possibili superstiti.
Sul muro di casa mia, come di altre, avreste potuto leggere la scritta più estesa “U.S. IN CORTE”, che quel giorno avevo ritrovata in quella strada. Indicava ai soccorritori di cercare la possibile uscita di sicurezza alternativa nel cortile dell’edificio, e da lì estrarre i sopravvissuti.
Vi sto raccontando di esperienze brutte e tragiche: la guerra, i bombardamenti. Come mai poco fa vi ho detto che nel mio animo allo schiaffone era seguita una carezza?
Perché gli avvenimenti lontani, specie se si tratta di quelli della fanciullezza, piano piano possono venire addolciti nel ricordo. Se il cuore non ne contrasta il processo, il tempo può limare via le asperità, le parti spiacevoli delle nostre esperienze, lasciandoci in memoria solo quelle più dolci e serene. Allora anche le vicende più brutte, ripulite e filtrate da questa spugna del cuore, possono acquistare una certa dolcezza e una punta di nostalgia.
Ormai quei dolori sono finiti e non possono più tornare. Si pensa a ciò che stava attorno a quel male: attorno al brutto c’era il bello della nostra infanzia.
Da lì era arrivata la carezza.
Mio figlio quel giorno era con me. Con un certo orgoglio gli avevo indicata la mia scoperta e incominciato a raccontargli che cosa succedeva quando suonava un allarme, in particolare se era notturno.
La mia casa era in un quartiere molto prossimo alla Bianchi; era la nostra sfortuna, perché la fabbrica allora produceva anche veicoli militari e l’aviazione alleata era in costante tentativo di metterla fuori uso.
La sirena dell’allarme svegliava i miei genitori. Avevo forse tre anni. Mi tiravano giù dal lettino, mi rivestivano in fretta e furia con quanti più indumenti possibili. Poi raccattavano le borse, che erano sempre pronte per ogni evenienza.
Io seguivo assonnato i loro movimenti svelti e nervosi. Non capivo e tutto quanto mi sembrava un gioco, anche perchè la discesa in cantina la facevo in braccio alla mamma o al papà o alla nonna, alla luce delle candele o di qualche torcia. Ci si accodava agli altri inquilini già sulle scale e si scendeva fino al locale sotterraneo allestito a rifugio.
La cantina era stata tutta imbiancata; le panche stavano lungo le pareti, ritenute il luogo più sicuro. Ci si accomodava su quei sedili cercando di mantenere unito il gruppo famigliare. Qualcuno ripeteva che se anche là fosse crollato: “o tutti salvi o tutti morti”. Ma io e gli altri bambini non ne capivamo il significato: per noi anche quello sembrava un gioco divertente.
Dopo il primo trambusto, le donne e i pochi uomini presenti, iniziavano a pregare. I grandi recitavano a voce alta il rosario, come nelle funzioni in chiesa e vi si univano anche quelli che là non si vedevano mai.
A noi bambini, se già non era successo, la cantilena della preghiera faceva tornare il sonno, perciò tutto quello che accadeva dopo i primi momenti me lo son fatto raccontare anch’io, quando sono stato un po' più grande. Proprio così: non riesco a ricordarmi di aver fatto mai il percorso al contrario, risalendo le scale dalla cantina fino al mio lettino.
Dopo la preghiera qualcuno si appisolava come poteva. Ma la maggior parte stava con l’orecchio attento, cercando di interpretare dai rumori quello che stava accadendo fuori.
Se si udivano i quadrimotori: “Sono lontani …”, “Si avvicinano!”.
Se cadevano le bombe con scoppi smorzati, distanti nessuno parlava, ma se erano boati forti e vicini era un continuo sgomento: “… Misericordia!” e un segno della croce …, “Questa è caduta sulla Bianchi!”.
Ad un certo punto tornava il silenzio, un silenzio più lungo: finalmente sembrava che l’incursione fosse finita e per fortuna eravamo tutti ancora là: vivi. Ma bisognava aspettare che il suono della sirena lo confermasse. Solo allora le famiglie ritornavano ai loro piani, ai loro appartamenti, più lentamente che nella discesa, tra sospiri di sollievo e saluti ormai rilassati.
Con mio figlio la storia si era fermata qui. Ma mentre raccontavo e ricordavo avevo la sensazione chiara e spiacevole che la carezza stava diventando ruvida, molto meno nostalgica. Anzi era tornata ad essere una schiaffo ... no, peggio: era un pugno forte nell'anima.
Colpa di un’immagine che mi assillava, sfuggente: durava solo pochi secondi e appena tentavo di afferrarla mi si confondeva nella mente.
Nei giorni successivi, però, sono riuscito a ricostruirla.
Una notte fu centrato dalle bombe il caseggiato in una via molto vicina. Il fracasso e lo scuotimento erano stati tremendi, fin nella nostra cantina.
Dal soffitto cadevano su di noi frammenti d'intonaco e tanta polvere bianca di calce.
Molti gridavano e piangevano.
Poi qualcuno più coraggioso era tornato sulle scale per verificare se c’erano stati crolli: ma la nostra casa sembrava ancora in piedi.
Dopo la sirena del cessato allarme tutti erano corsi al proprio piano a controllare i propri locali. Veramente: erano ancora intatti.
Il mattino dopo, però, chi si era avvicinato al luogo della casa abbattuta aveva visto tante rovine, tanta devastazione e sul marciapiede i corpi lì allineati: mamme, papà e bambini uno di fianco all’altro, coi vestiti strappati e la faccia imbiancata dai calcinacci.
Per errore mi avevano portato fin là. I bambini, si sà, sono curiosi e si intrufolano tra le gambe dei presenti, così per un attimo, ma anche meno, li ho intravisti anch’io.
Mi hanno subito trascinato via, cercando di distrarmi e farmi dimenticare quello che avevo potuto scorgere. E c’erano riusciti, ma la scritta “U.S. IN CORTE” che ho rivisto quel giorno aveva fatto riaffiorare il brutto ricordo.
E' difficile dimenticarlo. E' un pensiero maligno che cattura, stringe forte, forte fino a far male. E' difficile da mandar via: se cerchi di rimpicciolirlo ripete se stesso, come un frattale che puoi ingrandire o allontanare, ma lui ti riprodurrà insistentemente la sua stessa immagine.
Allora bisogna girare la pagina: bisogna pensare a cose belle!
E oggi ce ne sono per fortuna, oggi meglio di ieri: bambini, sorrisi sinceri ...
Allora, meglio oggi!
Meglio i nostri guai attuali: li supereremo.
Meglio la crisi, la politica inconcludente, le caste dei furbetti, i politici con la faccia di bronzo, le tasse, lo smog, … e chi più ne ha ne metta.
Meglio oggi, certamente!
G.A.