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La cosmologia
Di Pietro Planezio

Fin dai tempi più antichi l'uomo si è interrogato sull'origine dell'Universo.
Per quanto una mitologia od una religione siano antiche e rudimentali, contengono sempre un accenno a qualche evento che stia all'origine del mondo.
Questo desiderio di conoscenza, per la maggior parte della storia dell'Umanità, è rimasto confinato nell'ambito delle Religioni stesse.
Non è mai esistito un pensiero scientifico cosmologico nell'antichità, e tantomeno nell'Astronomia.
L'astronomo doveva fare calendari e prevedere la posizione degli astri vagabondi (pianeti) tra le cosiddette "stelle fisse".
Gli stessi modelli cosmologici che in passato sono stati un punto di riferimento (per esempio, il Sistema Tolemaico con la Terra al centro dell'Universo) erano aggiustati con sistemi anche complessi (equanti, epicicli, ecc.) ma al solo scopo di migliorare le previsioni dei moti celesti.
Col crescere e l'affermarsi delle Religioni, oltretutto, questo tipo di quesito è diventato, in un certo senso, illecito.
Per parecchi secoli non è più stato prudente porsi questo tipo di interrogativi.
Era (anzi, DOVEVA essere) sufficiente leggere i Sacri Testi.
Lì c'era scritto tutto quanto bastava.
A farsi qualche domanda in più si potevano anche correre dei rischi. 
Con la nascita della scienza moderna, all'epoca di Galileo, il problema venne per un po' accantonato.
Il metodo sperimentale, così meravigliosamente messo a punto da Galileo stesso (e per la verità non da lui enunciato), non consentiva neppure di avvicinarsi alla possibile risoluzione di temi di questo genere.
Del resto l'entusiasmo per la miriade di conoscenze che si andavano dischiudendo al pensiero umano, dall'astronomia alla Fisica, alla chimica, eccetera, erano già più che sufficienti a tenere in costante ebollizione i migliori cervelli dell'epoca.
L'immagine che si andava formando della Natura era completamente diversa da quella medioevale: il mondo aveva regole talvolta incomprensibili, casomai terribilmente complesse, MA COMUNQUE LE RISPETTAVA.
Questa era, in parole povere, la grande differenza dall'approccio precedente: una volta trovata la legge, si poteva contare sul fatto che le previsioni potevano e dovevano essere verificate.
("Fatta la Legge, trovato l'inganno" si riferisce a tutt'altro che alla scienza). 
Nel Settecento prendono corpo, dopo Newton, i cosiddetti "Principi di conservazione".
Conservazione della materia, conservazione dell'energia.
Tutto si trasforma, nulla si crea, nulla si distrugge.
Quando anche soddisfacenti teorie sulla termodinamica portarono il calore, sino ad allora misterioso, sotto il rassicurante ombrello delle suddette leggi di conservazione, la soddisfazione dilagò tra i fisici.
Non c'è niente di sacro in nessuna legge fisica, e nessuno avrebbe da obiettare se osservazioni incontrovertibili (ripeto, incontrovertibili) affondassero i principi di conservazione.
Ma sarebbe come la perdita di un parente caro.
Lo si accetterebbe solo se fosse veramente inevitabile. 
In questo contesto, ci si trovò ad affrontare una nota stridente. 
Tanto stridente, che per molti era preferibile far finta di non vedere.
Mentre le prime evidenze scientifiche mostravano chiaramente che la Terra doveva esser sicuramente molto, ma molto più antica di quanto non dicesse quell'abate che le aveva assegnato, seguendo le Sacre Scritture, circa seimila anni d'età, i fisici guardavano il Sole.
Il Sole consumava energia ad una velocità impressionante.
Una volta non era quantificabile, ma i progressi della termodinamica avevano messo in condizione di calcolarla con una certa attendibilità.
Se tutto il Sole fosse stato fatto del miglior combustibile esistente, comunque avrebbe potuto brillare a quel ritmo per poche migliaia di anni.
Troppo effimero per una Terra che pareva riscaldarsi al suo tepore da epoche immemorabili. 
Un discreto tentativo per giustificare una così grande dissipazione di energia si deve a Lord Kelvin (quello dei gradi, proprio lui).
Imponendo condizioni iniziali a dir poco grottesche, immaginò un Sole che si contraesse progressivamente sotto l'influsso della sua forza gravitazionale, diventasse cioè sempre più piccolo.
Disperdendo nello spazio circostante sotto forma di calore parte dell'energia (potenziale gravitazionale) che si liberava nel processo.
Anche così, pochi milioni di anni sarebbero bastati a portarlo allo stato attuale.
Pochi milioni sono sempre meglio che poche migliaia, ma la richiesta di coincidenze particolari per le condizioni iniziali era comunque eccessiva (tanto per dire, il Sole avrebbe dovuto esser tanto grande da "sfiorare" la Terra, e da quel momento cominciare a contrarsi: e proprio al ritmo giusto per irraggiare esattamente la quantità di calore richiesto).
Oltretutto, la contrazione dovrebbe continuare, ed anche se non osservabile in tempi brevi, avrebbe dovuto modificare il diametro del Sole nel corso della Storia.
E le cronache delle antiche eclissi mostrano che ciò non è avvenuto.
Per non parlare di Venere e Mercurio.
Dove avrebbero dovuto essere quando il Sole era tanto grande da occupare la loro orbita? Mah!
Ed arriviamo al nostro secolo.
La ricerca astronomica ha portato a conoscere milioni di stelle, ad osservare nebulose, pianeti, asteroidi, ma il problema dell'energia emessa dal Sole (e delle altre stelle, ormai) è ancora lì.
Per non parlare dell'origine dell'Universo.
Se non si sapeva spiegare da dove il Sole prendesse l'energia che riversava a piene mani nello spazio, a maggior ragione non si capiva da dove la prendessero, e da quando, tutte le miriadi di stelle che i telescopi, sempre più potenti, continuavano a svelare.
In un Universo che sembrava, oltre che sempre più grande, sempre più immutabile.
Eterno? Forse. E i principi di conservazione?
Certo, il problema della storia del Tutto è affascinante, si fa fatica a tenerlo fuori dai pensieri di una mente "curiosa" per definizione, qual è quella scientifica.
Oltre al fatto che a farsi certe domande ormai nemmeno più si rischia il rogo.
Ciò non toglie che qualsiasi ragionamento in proposito deve, comunque, NON TENER CONTO di tutti quei principi di conservazione che paiono così ben radicati nella fisica.
Anzi, che probabilmente SONO la fisica.
Tanto che, nell'ambiente scientifico, prese corpo la famosa regoletta: "Lascia perdere chi cerca messaggi nelle dimensioni delle Piramidi, e chi indaga sull'origine dell'Universo".
Il fatto, però, che un problema non venga affrontato non significa che quel problema non esista.
Non solo, ma come tutti i grandi interrogativi della Storia, buttato fuori dalla porta, rientra dalla finestra.
Fine della prima parte.

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