da LA REPUBBLICA, 23/9/1996

Tra fango e gol ecco la Juve
di MAURIZIO CROSETTI

Non ci sarebbero più stadi vuoti se le partite di calcio somigliassero a questa. Non ci sarebbero insidie televisive, agguati commerciali, vertigini mercantili, cadute d'amore, decoder, antenne paraboliche, tentazioni da salotto tiepido e comodo. Se il calcio riuscisse ad avvicinare se stesso a Perugia-Juventus, all' idea agonistica che l'ha animata, che le ha dato fuoco e colori, dietro ogni gradinata ci sarebbe una fila felice di gente in attesa. E in fondo non importa che abbia vinto la Juventus potendo perdere. Che il Perugia abbia perso potendo vincere, pareggiare, sorridere, imprecare, sperare, disperarsi. Che Zidane sia sempre uno spettro. Che i vecchi compari - Peruzzi, Del Piero, Padovano - valgano molto più delle nuove suggestioni. Che Allegri sia un compasso di calciatore. Che Negri si blocchi davanti alla porta facendo tutto benissimo, prima, e malissimo, durante. Che la Juve torni prima in classifica e ci voglia restare. Che la Juve, forse, non possa restarci. Che Galeone si voglia giocare fino in fondo la sua scommessa, sempre, e che ci siano cose più nobili di un risultato, di un punteggio. Tutto questo è vero ed è bello, ma la forza di un pomeriggio così sta altrove: forse nelle scarpe dei calciatori che pestano il fango dentro vapori di pioggia grigia, nelle zolle d' erba fradicia che sporcano le magliette di chi ci vola dentro, nelle corse inesauste di tutti, nel palo di Zidane dopo due minuti, nei tiri che Peruzzi para a Negri e nel terzo che va fuori, negli scossoni di cuore che sono pure la traversa di Pizzi, l'espulsione di Matrecano a gioco fermo (errore enorme), quella di Zidane, il gol annullato a Negri, quelli buoni di Padovano e Del Piero e Negri, tre reti in sei minuti, gli ultimi. Poi le parate, le scivolate, le svirgolate, gli impermeabili e gli ombrelli lucidi, il rigore di Porrini su Rapaic che l'arbitro non vede, le convulsioni e la bellezza di una partita avvolta da una luce stralunata di temporale. Tutti hanno voluto vincere, subito e sempre, ecco il senso di Perugia-Juve. Per mezz' ora ci hanno provato molto meglio i bianconeri. Nello stadio strapieno, i tifosi mangiavano nervosamente i Baci Perugina regalati a quintali e nessuno che leggesse il bigliettino. Palo di Zidane su punizione, colpo di testa all' indietro di Amoruso, stangata di Montero che Kocic alza d'istinto, tantissima Juve ovunque. Poi la partita svolta, Porrini stende Rapaic e per Cesari va bene lo stesso: non per i cento tifosi che alla fine faranno a cazzotti, separati e caricati dalla polizia. Il fuorigioco di Ferrara/Montero è un meccanismo grippato e Negri ci scivola dentro con gioia. Però centra sempre Peruzzi, smisurato nel chiudere gli spazi col suo corpo di ciclope. Così prosegue questa magnifica giornata all'inglese e adesso il Perugia è padrone. La Juve tiene palla, troppo. Boksic gira largo, si danna ma svirgola di nuovo. Amoruso è una piuma, molto meglio Padovano che ricompare in diretta dall'anno scorso, è lui quello che cacciò fuori il Real Madrid dal mondo dei sogni e adesso corre verso la porta del Perugia, accidenti come corre e come vola, un pallone benedetto gli ha dato Del Piero e lui lo appoggia in porta dopo quaranta metri di fango e furore. Vantaggio incredibile e giusto, nel calcio succede. Da un bel pezzo il Perugia è in dieci: è la discutibile svolta. Poi Cesari caccia anche Zidane, scavalcando a sinistra Lippi. "Non è vero, il francese ha giocato benissimo" mentirà poi l'allenatore. "Grande squadra, autoritaria, cinque pali in tre partite". Qui la Juventus non aveva mai vinto, nemmeno ai tempi del mito. Ma non sono meno belli questi, tempi più sporchi e cattivi e vivi, mentre Negri la butta dentro e Pizzi fa baciare la traversa al pallone, però è già tutto finito, non serve più, anche se oggi non è la cosa più importante. Qualcuno fischia e bestemmia. Molti applaudono. Tutti hanno deciso che torneranno.

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