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Raffaello Vignali, Presidente Compagnia delle Opere
Il Governo Prodi ha varato la
sua prima legge finanziaria e l’ha inviata alle Camere: si tratta di un
provvedimento assai difficile da condividere, sia nella impostazione
generale che nei contenuti specifici.
Innanzitutto è una legge più “politica” che finanziaria: più preoccupata
della sopravvivenza del Governo e quindi dei rapporti di equilibrio interno
alle forze della maggioranza che del rigore e dello sviluppo; che opera una
redistribuzione del reddito poi smentita nei fatti dall’aumento delle tasse
locali; che premia dipendenti pubblici e sindacati e punisce i presunti
ricchi, mentre non colpisce gli evasori e i veri ricchi.
Insomma, una legge più da lotta di classe da Anni Sessanta, che da sviluppo
per gli anni Duemila. Ma è veramente questo ciò che serve all’Italia di
oggi?
Quello che ci fa rientrare realmente in Europa non è appena il (pur
positivo) rientro nel parametro di Maastricht sul rapporto deficit/pil:
tutta Europa sta investendo sul capitale umano, apre spazi alla società,
alle imprese, al desiderio delle persone di dare un contributo attivo per
avviare una nuova fase di crescita. Questa è la prospettiva di sviluppo di
cui il Paese ha bisogno.
Ma questa prospettiva non si realizza certo togliendo ingenti risorse alla
società e allo sviluppo (pare che il prelievo ammonterà a circa 1 punto del
Pil) per affidarle allo Stato e ad apparati elefantiaci, costosi e
inefficienti (paradigmatico l’esempio della scuola: tra i paesi dell’OCSE,
siamo ai primi posti per spesa statale e agli ultimi per qualità
dell’apprendimento). Né attraverso il perseguimento di una presunta
giustizia sociale che rende tutti uguali perché tutti poveri e poco
istruiti.
Questa prospettiva accade, al contrario, se si realizza una forte mobilità
sociale che premi il merito, cioè dando più libertà e più responsabilità
alle persone, alle famiglie e alla società, perché tutti attraverso
l’educazione e il tentativo di costruzione e di risposta ai bisogni
contribuiscano ad un modo di vita più soddisfacente per tutti.
Per quanto riguarda lo sviluppo, abbiamo bisogno cioè di un sistema che
aiuti le imprese nel loro difficile compito di reggere alla competizione
internazionale.
I piccoli imprenditori, vero tessuto economico e occupazionale del paese,
sono colpiti nel loro reddito personale e nel reddito dell’impresa, trattati
come elementi antisociali, buoni solo per il fisco, invece di essere
sostenuti nella loro opera. Se sono positivi i provvedimenti proposti da
Bersani per sostenere l’innovazione attraverso il credito d’imposta e la
creazione di fondi che aiutino finanziariamente le imprese, lo stesso non si
può dire del TFR tolto alle imprese a beneficio dei conti dell’INPS: così si
produce solo un forte danno patrimoniale che peggiora le condizioni già
difficili di finanziare l’esistenza e lo sviluppo delle imprese.
Puntare sull’educazione come fattore di reale sviluppo economico e sociale
significa innanzitutto qualificare la spesa, dove è già alta, non
aumentarla: abbiamo bisogno non di nuovi insegnanti, ma di insegnanti nuovi
che abbiano a cuore i ragazzi e la loro educazione e di un sistema che
assicuri percorsi diversificati (non unitari, né tanto meno unici) di
istruzione liceale, tecnica e di formazione professionale, secondo i talenti
di ciascuno e che consenta libertà di scelta da parte delle famiglie. Così
come abbiamo bisogno di più risorse da investire per la qualità
dell’istruzione universitaria e post universitaria.
Sul fronte del Welfare, poi, occorre passare da uno Stato gestore ad uno
Stato regolatore che valorizzi le risorse reali della società. Che senso ha
parlare in astratto di soglie di reddito e di ricchezza senza tenere in
debito conto delle famiglie prima che dei singoli, della loro composizione
reale e delle spese che queste effettivamente sostengono per i figli e gli
anziani a carico? Così come abbiamo bisogno di rendere il settore non profit
più forte e autonomo dagli apparati pubblici per dare risposte innovative e
organiche ai bisogni delle persone e delle famiglie: il 5x1000, introdotto
lo scorso anno con un ampio consenso parlamentare, e che andava in questa
direzione, è scomparso dalla finanziaria.
Non vogliamo, né serve all’Italia, uno Stato che domini e regoli tutto e che
voglia realizzare una “società di dipendenti”, sottomessi al potere di
turno, nella quale, come diceva Eliot, sia inutile essere buoni. Abbiamo
invece, più che mai bisogno di sussidiarietà, cioè di più Società e meno
Stato: un contesto sociale, economico e politico che favorisca la libertà,
la responsabilità e l’impegno delle persone, delle famiglie, delle imprese.
E lasci decidere a questi dove allocare le risorse. Per il bene di tutti.
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Welfare Society:
«Finanziaria 2006: meno società, più Stato. Il Governo Prodi ha varato la
sua prima legge finanziaria e l’ha inviata alle Camere: si tratta di un
provvedimento assai difficile da condividere, sia nella impostazione
generale che nei contenuti specifici. Innanzitutto è una legge più
“politica” che finanziaria: più preoccupata della sopravvivenza del
Governo e quindi dei rapporti di equilibrio interno alle
forze della maggioranza che del rigore e dello sviluppo; che opera una
redistribuzione del reddito poi smentita nei fatti dall’aumento delle tasse
locali; che premia dipendenti pubblici e sindacati e punisce i presunti
ricchi, mentre non colpisce gli evasori e i veri ricchi»,
Raffaello Vignali, Presidente
Compagnia delle Opere, Novembre 2006
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