Terrorismo:

«Sono tornate le Br.
 Lettera aperta alla Cgil»

 

La battaglia della Cgil e della extra-sinistra è in realtà la lotta contro i lavoratori più deboli, giovani, donne, lavoratori del Sud. E' una riedizione del luddismo
 

 
di Giorgio Vittadini,



Il terrorismo riappare e, a detta degli esperti e delle dichiarazioni delle autorità, ha come primo obiettivo chi cerca di costruire un percorso più flessibile e più moderno del mercato del lavoro. È il residuo del marxismo rivoluzionario, dell’odio, dell’ideologia che vede qualunque realtà diversa da uno stato di stampo stalinista come una forma di sfruttamento. Tra chi si oppone al terrorismo c’è certamente la Cgil, sicuro baluardo della democrazia memore com’è della fermezza del Pci di 30 anni fa. Proprio perchè questo è chiaro e assodato, è possibile in un confronto democratico criticarne la strategia.


La Compagnia delle Opere ha una lunga tradizione nel campo dello sviluppo del lavoro, fin dai centri di solidarietà nati negli anni ’70. Dopo un percorso pluridecennale, tre anni fa si constatava che il carattere esclusivamente pubblico degli uffici di collocamento, le leggi, i regolamenti, i lacci, i laccioli via via posti dall’autorità pubblica per regolare il mercato del lavoro, erano un grandissimo ostacolo alla possibilità di trovare lavoro. In particolare il Ministero, dopo aver timidamente permesso la nascita di società di lavoro interinale e aver chiarito che non era illegale l’attività di centri per l’occupazione quali i centri di solidarietà, di fatto ha tentato di rendere inoperativa ogni iniziativa pensata nel campo, imponendo l’esclusività dell’attività. Chi faceva lavoro interinale non poteva fare formazione, chi faceva formazione non poteva fare ricerca attiva di collocamento etc... Ancora una volta la ricerca del lavoro dipendeva molto poco dalle caratteristiche del lavoratore e molto di più dai criteri egualitari, astratti, inefficaci, inefficienti, burocratici, corporativi, preistorici, ideologici dello statalismo. Per questo si è promossa una legge d’iniziativa popolare per cambiare queste norme. Molte delle preoccupazioni contenute in questa legge sono state recepite dal provvedimento sul lavoro, varato recentemente dal governo, nato dal libro bianco di Biagi e dalla collaborazione di numerose realtà sociali. Ora, la Cgil e l’estrema sinistra parlamentare sul mercato del lavoro, contro questi provvedimenti e in generale, conducono una battaglia di pura retroguardia, arrivando a un referendum sull’articolo 18 per le imprese sotto i 15 dipendenti. È difesa dei poveri e dei proletari contro i ricchi? Dubitarne è d’obbligo. Perché vedere il piccolo imprenditore come il nemico da combattere quando in realtà spesso è qualcuno che, partendo dalla sua creatività, crea lavoro, lottando spesso contro tutti e contro tutto? Come si fa a ritenere sfruttamento contro cui lottare qualcosa che è imposto dalla globalizzazione e da una concorrenza che immette nel mercato prodotti di paesi del terzo mondo ove il costo del lavoro è molto più basso? Come si fa a difendere il lavoro in grandi imprese in crisi quando magari si potrebbe lavorare in altre piccole imprese che crescono? (in fin dei conti Hp e Microsoft all’inizio erano piccole imprese…) Come si fa a ritenere regolabile la flessibilità che è imposta dal cambio dei tempi nell’innovazione delle tecnologie (si è passati da 40 a 5 anni)?


Come si fa a lottare contro il doppio canale nell’istruzione secondaria (formazione professionale alternativa alle scuole) quando Santo Versace (che se ne intende) scrive sul Corriere della Sera (lunedì 3 marzo) che «dobbiamo tornare a imparare le arti e i mestieri da giovani, non a vent’anni; alla formazione del Rinascimento, alle botteghe». Come si fa a ritenere nemici organizzazioni sociali che, spesso solo per motivi ideali, vogliono codificare strumenti che permettono a molte più persone di lavorare (in una situazione in cui il tasso di occupazione è il più basso d’Europa)? La battaglia della Cgil e della extra-sinistra è in realtà la lotta contro i lavoratori più deboli, giovani, donne, lavoratori del Sud; è una riedizione di quel luddismo che nel ‘700 distruggeva le macchine per impedire lo sviluppo. Puntare solo su un lavoro dipendente a tempo indeterminato nella grande impresa, tutelato dal collocamento pubblico, è semplicemente reazionario. Ma non basta. C’è una punta acuta del male. Non tutti, certo, ma alcuni, godono anche di privilegi, di finanziamenti nascosti, che gravano sulle pensioni e sul costo del lavoro. Sono orpelli che non si giustificano più per una difesa del lavoratore, ma solo come rendite di pensiero, occupazioni clientelari dello Stato, rese legali in anni di irresponsabilità. Questi sprechi sono legali, ma iniqui perché gravano sul singolo lavoratore, sull’imprenditore, sul cittadino, sullo stato per favorire lobbies del lavoro che vogliono perpetuare se stesse e le proprie ideologie. Democraticamente e pacificamente, ma decisamente, ci dobbiamo liberare di queste nuove tasse sul macinato e sul pane.

 
 

Terrorismo: «Sono tornate le Br.  Lettera aperta alla Cgil», di Giorgio Vittadini, Numero: 10 - 6 Marzo 2003

 

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