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Magdi Allam
Dopo poco più d’un anno che non appariva e non parlava dal
vivo in un audiovideo (è dal settembre 2003
che non accadeva), Osama bin Laden, l'uomo più ricercato della Terra, è
ricomparso per dire sostanzialmente che è ancora in vita e che sarebbe
ancora in grado di aggredire la superpotenza americana. Un'attenta analisi
del discorso indica che più che una nuova sfida di chi si sente forte
grazie all'arma del terrore è una manifestazione di debolezza di chi è
costretto a far leva sulla demagogia. Più che un proclama rivolto al
popolo americano e una minaccia al presidente Bush, è un messaggio ai
mujahidin. E’ un messaggio ai combattenti islamici ovunque nel mondo, ma
anche un monito al suo più temibile avversario, il tagliatore di teste Abu
Musa'ab al Zarkawi. Sorprende il fatto che il discorso di Bin Laden,
consegnato come sempre al fidato ed efficiente megafono di Al Jazira , sia
in definitiva una rivisitazione dell'attentato alle due torri di Manhattan,
un’enfatizzazione della causa palestinese mentre ignori pressoché
totalmente la crisi irachena.
Per un verso la materializzazione di uno spettro che taluni
davano infondatamente per morto potrebbe
essere di per sé sufficiente a rigenerare l'incubo del terrorismo,
rievocando il panico e l'angoscia dell'11 settembre. Lasciando intendere,
principalmente agli americani, che da allora non sarebbe sostanzialmente
cambiato nulla e che quindi Bush avrebbe fallito. Per l'altro verso
proprio quell'attentato, il più clamoroso della storia, ha segnato sia il
momento di maggior impatto del terrorismo sia l'inizio della sua curva
discendente. Da allora Bin Laden ha perso la sua roccaforte
nell'Afghanistan dei Talebani ed è crollato il regime di Saddam Hussein,
uno degli sponsor più attivi del terrorismo internazionale.
Ecco perché è più congrua una lettura del discorso di Bin Laden tutta
interna alla rete internazionale del terrorismo islamico.
Rispolverare l'11 settembre, il suo «capolavoro», è un voler riaffermare
la propria indiscutibile leadership. Ed è significativo che ciò
avvenga in concomitanza con l'annuncio che al Zarkawi avrebbe fatto un
esplicito atto di sottomissione a Bin Laden, modificando il nome del
proprio gruppo terroristico «Monoteismo e Guerra santa», in «Al Qaeda
della Jihad in Mesopotamia». Il fatto che Bin Laden si sia presentato per
la prima volta in abiti civili, con un costume che riecheggia l'alto
dignitario tribale, simboleggia la sua decisione di ergersi a leader
supremo sul piano dell'orientamento ideologico e della scelta politica.
Si
spiega così il declassamento della crisi irachena nel discorso di
Bin Laden. Un fatto di per sé strabiliante se si considera che l'Iraq è
stato trasformato nel fronte di prima linea della Guerra santa dei
terroristi islamici e nazionalisti iracheni. E' come un volersi smarcare
da un contesto che in qualche modo gli starebbe per sfuggire di mano o nei
cui confronti avrebbe comunque optato per un disimpegno. Viceversa
l'insistenza sulla causa palestinese appare del tutto strumentale. Quasi
un volerci mettere il cappello nel momento in cui quella polveriera sta
per esplodere. Risulta perfino paradossale sostenere che l'ispirazione per
l'attacco all'America gli venne nel 1982 in concomitanza con l'invasione
israeliana del Libano, quando Bin Laden aveva 25 anni e cooperava con la
Cia per il reclutamento dei mujahidin arabi da inviare in Afghanistan.
Di
fatto Bin Laden denuncia una debolezza e una divisione interna ad Al Qaeda.
In questo contesto diventa imperativo e vitale investire sul fronte
dei media. Destabilizzare il fronte interno dell'Occidente e del mondo
arabo con l'arma della propaganda costa meno e produce effetti più
incisivi delle autobomba. E lo può fare grazie a d Al Jazira che presenta
Bin Laden in modo asettico come il «leader dell'organizzazione Al Qaeda»,
quasi si trattasse di un ente civile come altri, mentre prende le distanze
da Bush e da Kerry affermando che entrambi promettono di combattere il
«sedicente terrorismo». Per Al Jazira il terrorismo non esisterebbe,
sarebbe un discutibile costrutto mentale dell'Occidente. Le vie del
terrorismo, che riesce a condizionare la nostra psiche e a determinare le
nostre scelte, sono infinite.
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