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di
Massimo Introvigne
“Come può una persona sana di mente credere che il popolo iracheno possa
avere fiducia nelle Nazioni Unite?”. Non è una dichiarazione di qualche
falco neo-conservatore di Washington. Lo si legge in un ampio sproloquio
di Jabbar al-Kubaysi, leader della cosiddetta “resistenza” irakena di cui
è noto l’ambiguo ruolo nella vicenda degli ostaggi italiani. La mozione
della Lista Prodi si fonda su un equivoco. Lascia intendere che il
passaggio alla “conduzione militare e politica” delle Nazioni Unite – in
assenza della quale chiede “il rientro del contingente militare italiano”
– possa disinnescare le operazioni terroristiche della sedicente
“resistenza” e facilitare la transizione democratica in Irak. È un punto
su cui concordano, o fingono di concordare, le sinistre di mezza Europa.
Purtroppo, gli unici a non essere d’accordo sono i diretti interessati.
L’ONU (che – sia chiaro –
può avere un suo utile ruolo in Irak, non “contro” ma “con” gli Stati
Uniti) si accosta alla polveriera irakena con notevoli perplessità. I
terroristi hanno già fatto sapere che continueranno gli attacchi con
rinnovato vigore anche dopo un’eventuale assunzione di responsabilità da
parte delle Nazioni Unite. Il tributo di sangue già pagato dall’ONU in
Irak mostra che fanno sul serio.
“L´ONU – continua al-Kubaysi – non è altro che un burattino nelle mani
dell´imperialismo americano”. Le Nazioni Unite sono al servizio del
“sionismo” e dell’“ordine mondiale imperialista”; gli attacchi
continueranno finché “finalmente i nostri paesi saranno liberati dall´imperialismo
e dal sionismo”. Se le intenzioni dei terroristi non fossero ancora
chiare, al-Kubaysi conclude: “Possiamo solo sputare sulla cosiddetta
comunità internazionale”.
Dal momento che agli sputi in faccia del sunnita al-Kubaysi fanno
riscontro analoghe prese di posizione dello sciita Moktada al-Sadr, si
pone qui un problema politico. Gli esponenti della Lista Prodi non
ignorano certamente come stanno le cose. Il passaggio dalla condizione di
“alleati degli Stati Uniti” a quella di “rappresentanti delle Nazioni
Unite” non cambierebbe di uno iota i rischi che corrono i nostri soldati:
le bombe dei terroristi non fanno distinzioni, come ha per tempo capito il
prode Zapatero. Lo scopo della “resistenza” non è quello di favorire una
transizione democratica e libere elezioni in Irak, dove l’Alleanza
Nazionale Patriottica di al-Kubaysi non otterrebbe neppure un seggio, e
anche al-Sadr – pure certamente più rappresentativo – nei sondaggi sta
sotto al dieci per cento. È precisamente il contrario: le bombe scoppiano
perché le elezioni si tengano il più tardi possibile o non si tengano
affatto. Chiunque vuole democrazia ed elezioni – Stati Uniti, Italia,
Nazioni Unite – per i terroristi è il nemico, e deve essere messo in fuga
a suon di morti.
A che cosa serve allora il “radicale cambiamento” invocato dai prodiani? A
nulla dal punto di vista della sicurezza dei nostri soldati in Irak e
della prospettiva di accelerare la transizione democratica. A molto per un
tentativo elettorale di tenere insieme le diverse anime della sinistra: di
lotta e di governo, di pacifisti e di “amici personali” dei terroristi. È
una posizione che potrà anche pagare alle elezioni, ma che non giova né
alla pace né al popolo irakeno.
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