11 Marzo 2004 |
La strage di Madrid: |
|
di Sergio Soave L’aver indicato precipitosamente la pista dell’Eta per gli orrendi attentati di Madrid è costato assai caro ai Popolari spagnoli, che in tre giorni hanno dilapidato un patrimonio di credibilità accumulato in otto anni. Ma se quello che è stato sconfitto è un errore di comunicazione, quel che ha vinto è “la verità”, come sostiene poco caritatevolmente il ministro degli esteri francese Dominique De Villepin? In realtà la tesi dell’assoluta estraneità del terrorismo autoctono ai disegni di destabilizzazione di Al Qaeda è altrettanto indimostrabile del suo contrario. Il portavoce di Batasuna, il movimento politico sciolto dalla magistratura spagnola perché considerato l’espressione “legale” dell’Eta militare, nel negare responsabilità basche, ha aggiunto che si è trattato invece di un episodio della “resistenza araba”. In questa definizione compiacente ai limiti dell’apologia di un massacro senza precedenti in Europa, che ha sterminato lavoratori pendolari, donne e bambini, è evidente una vicinanza politica che, se anche non si configura come complicità operativa, è egualmente assai preoccupante. Si può pensare a un processo di aggregazione, anche se forse non ancora organizzativo, tra le espressioni eversive di diversa origine sotto l’egemonia del terrorismo di matrice islamica? è presto per dirlo, ma è bene guardare con attenzione a percorsi culturali e ideologici che in qualche modo, nell’indicazione dei “nemici” comuni, America e Israele, vanno in quella direzione, più o meno consapevolmente. Per stare ai fatti di casa nostra, si può leggere quel che scrive Rossana Rossanda (che naturalmente non è né una terrorista né un’amica dei terroristi): «Ammettere che il terrorismo sia effetto dell’acuta umiliazione inflitta all’islam fin dalla guerra del Golfo, o che dilaghi tra i palestinesi perché l’occupazione dura da trent’anni – l’annullamento di sé dell’attentatore esprime l’intollerabilità dell’impotenza – denuncerebbe due responsabilità prime: quella degli Stati Uniti e quella del governo di Israele. Non lo ammette nessuna istanza internazionale, nessun governo occidentale». Da questa “analisi”, Rossanda deduce una critica al movimento pacifista, perché «il pacifismo condanna sia la guerra sia i terroristi» e perché non è abbastanza antiamericano e antisraeliano. Non vale neppure la pena di rilevare quanto questa visione sia distante dalla realtà. Va segnalato però che su questa concezione della “resistenza islamica” si costruisce ideologicamente l’avversione non solo alla destra o alla sinistra moderata, ma persino a quella estrema, visto che l’obiettivo polemico dichiarato è la scelta della non violenza proposta da Fausto Bertinotti come discriminante. La non violenza non avrebbe diritto di cittadinanza in una concezione basata sul conflitto di classe, letto ancora secondo la lezione (in realtà una delle tante letture possibili) di Karl Marx, quella della violenza levatrice della storia. Da Rossanda a Batasuna, passando per gli intellettuali francesi che hanno fatto di un pluriomicida terrorista un eroe della democrazia, rinasce in Europa il culto della violenza, proprio nei giorni in cui il vecchio continente è vittima della più sanguinosa delle stragi. Forse è l’ora di un po’ di “resistenza” democratica e non violenta. |
||
Terrorismo: «La strage di Madrid:Rinasce in Europa il fronte della giustificazione della violenza politica», di Sergio Soave, Tempi, Numero: 12 - 19 Marzo 2004 |