Terrorismo

11 Marzo 2004
La strage di Madrid

La strage di Madrid:

Triduo madrileno
 

Una strage di povera gente, attirata dal miracolo economico. Un grande sussulto popolare. Poi i girotondini locali capitalizzano politicamente lo smarrimento con l’appoggio dei media

 

 
di Amicone Luigi


Madrid. Man mano che si ricompongono i corpi e i volti delle vittime, si capisce che i terroristi hanno voluto massacrare e terrorizzare la base popolare, gli operai, gli immigrati, gli studenti delle periferie più disagiate, i pendolari che fanno la spola tra Madrid e le periferie più proletarie. E si scopre che accanto agli spagnoli, rumeni, filippini, ecuadoregni, peruviani, il terrorista marocchino ha ucciso tre suoi connazionali e correligionari, tra cui la ragazzina Sanae Ben Salah Imaddaouan, 14 anni, uccisa a Santa Eugenia e seppellita a Tangeri. Si scopre che le vittime erano tutti poveri lavoratori spagnoli e gente venuta a cercare fortuna nella Spagna della movida e del boom economico. Madri come Dima Gabriela Georgeta, 35 anni, ricomposta al “Tanatorio M-30” – un obitorio che sembra un aeroporto, gremito di folla, con annesso bar e locali numerati, asettici, simili a uffici, con quadri, poltrone, sedie e vetrate, dietro le quali sono sistemati i feretri per l’ultimo saluto di amici e parenti – che si guadagnava il pane a Madrid per sfamare suo figlio di dieci anni che sta a Limpiadora, Romania. Giovani come Enrique Garcia Gonzales, 29 anni, elettricista, immigrato in Spagna dalla Repubblica Dominicana, l’eroe che è stato investito dalla seconda esplosione nella stazione di Atocha mentre si stava prodigando per soccorrere le vittime della prima. O come John Jairo Ramirez Bedoya, 27 anni, che lavorava a giornata, scendendo tutte le mattine a Madrid dal sobborgo di Torrejon de Ardoz, per racimolare i soldi con cui avrebbe voluto ripartire per il suo paese natale, in Colombia, per aprire un negozio di fiori.

La tredicesima bomba
C’è poco da raccontare dopo un week-end a Madrid che inizia con la disperazione per la strage di duecento morti innocenti e finisce con le rose rosse di una vittoria elettorale che, forse, segnerà l’inizio di un’altra storia in Spagna e in Europa. Dopo la giornata di sangue dell’11 marzo, Pedro Pizzarro, poliziotto ventinovenne, della stazione di polizia di Valescas, ti porta dove era accorso lui, dieci minuti dopo lo scoppio della bomba. è la stazione di El Pozo, mentre lui, il poliziotto, è quello che, senza saperlo, si è portato in caserma lo zainetto che conteneva la tredicesima bomba, quella miracolosamente rimasta inesplosa, quella che miracolosamente ha aperto la pista allo stragismo islamista e che ha fatto arrestare tre marocchini e due indiani. «è peggio di quando ho visto il mio compagno ammazzato a Barcellona, freddato con un colpo di rivoltella alla testa da un terrorista dell’Eta. Veniva da spararsi in bocca davanti a quell’orrore di corpi straziati. E poi l’odore della carne bruciata, ce l’ho addosso da quel giovedì mattina e ti assicuro che non è come stare davanti alla tv. Anche solo ricordare fa soffrire». Le stazioni di un’unica Via crucis, quelle di El Pozo, Atocha, Sant’Eugenia, sono bardate di fiori, lumini accesi, facce di giovani e vecchi che reclamano un’impossibile ragione a tutto questo scempio. L’Eta ha aspettato troppo tempo a negare ogni responsabilità nell’attentato. E un video di rivendicazione, firmato Al Qaeda, è arrivato solo nella serata di sabato, settantadue ore dopo le esplosioni, e soltanto lunedì si saprà che uno dei marocchini arrestati sarebbe tra gli autori materiali della strage di Madrid e membro del commando del massacro di Casablanca. Tutto è arrivato troppo tardi, comprese le inutili polemiche, comprese le utili speculazioni politiche, compreso il voto che ha segnato la disfatta del governo che più di ogni altro nella storia della democrazia spagnola ha portato ricchezza, lustro e benessere alla società iberica.
è normale che le prime pagine dei giornali siano state inevitabilmente conquistate dalla straordinaria affermazione dei socialisti in tutta la Spagna; e anche, ciò che sorprende e preoccupa per la stabilità del quadro politico istituzionale (tant’è che la Borsa non ha reagito bene e il neo-premier Zapatero ha dovuto annunciare che si appresta a varare un governo monocolore che non ha una maggioranza parlamentare, ma dovrà trovare accordi programmatici con il Pp o con i nazionalisti catalani), dall’estrema sinistra catalana, tra i protagonisti di un “clima” elettorale così acceso che ha impedito perfino a Ferdinand Savatier, editorialista di El Pais e filosofo di riferimento dell’intellighentsia progressista spagnola, di prendere la parola in una conferenza all’università di Tarragona.

All'assalto dei popolari
Dopo l’orrore, la risposta popolare. Dopo le centinaia di uomini, donne e bambini fatti a pezzi nelle tre stazioni di un’unica Via crucis, El Pozo, sant’Eugenia, Atocha, fa bene sentirsi insieme e camminare lungo il Calle Goya di Madrid con due di quei 12 milioni di spagnoli scesi a dimostrare nelle piazze come in un cuor solo, le intenzioni della vita contro quelle di un potere fondato sulla morte. Poi la politica e l’ideologia si sono come impossessate del dolore e del disorientamento del popolo.
Il sabato di Madrid è tutt’altro che di silenzio e riflessione. Sono passate solo quarantottore dalla strage, solo ventiquattro da una mobilitazione popolare come non si era mai vista in Europa e, davanti all’enormità dell’attacco terroristico subìto, dalla decisione unanime presa dai leader politici di dichiarare chiusa ogni attività di campagna elettorale. E invece ecco l’amara sorpresa. Sabato, vigilia del voto, il tam tam di portavoci socialisti, giornali e tv che sostengono l’opposizione, chiama alla mobilitazione antigovernativa. La sera le sedi del partito di Aznar vengono prese d’assedio in tutta la Spagna da migliaia di manifestanti. Scandiscono slogan in nome della “verità e trasparenza”. Gridano «Aznar assassino». Mettono in conto al Pp la responsabilità della strage. Dicono si tratti di “manifestazioni spontanee” o di cosiddetti “movimenti autoconvocati”. In realtà sono raduni ben organizzati, occorrono simultaneamente in tutta la penisola iberica e dispiegano il variegato fronte “pacifista” che dopo aver avversato la guerra in Irak negli scorsi mesi ha ripetutamente manifestato per il disimpegno – anche politico, anche umanitario – dalla coalizione occidentale impegnata nella ricostruzione post-bellica di Baghdad. è sabato sera di un 13 marzo di vigilia elettorale di “silenzio e riflessione”. Almeno così prescrive la legge spagnola che vieta manifestazioni e comizi nelle 24 ore precedenti il voto. E invece grande è la confusione e il disorientamento. Nelle case dove arrivano le immagini delle chiassose proteste. E nei palazzi del governo, dove alla fine si decide di rompere ogni indugio e di comparire davanti alle telecamere per reagire all’operazione montante sull’onda dell’emozione causata dagli attentati. Il delfino di Aznar e candidato premier Mariano Rajoy accusa. I ministri del Pp ripetono: «Abbiamo detto quel che sapevamo, la pista dell’Eta era di un’evidenza logica per tutti, due mesi fa abbiamo sequestrato 500 chili di esplosivo con cui l’Eta voleva far saltare un treno, abbiamo detto che nonostante questa ipotesi privilegiata tutte le piste restano aperte, stiamo dando ai cittadini tutte le informazioni di cui disponiamo, sono le forze di polizia sotto questo governo che hanno arrestato i primi sospetti». Ma la miccia è innescata e il patto istituzionale tra i due grandi partiti, almeno per una notte lunga quanto i fantasmi della lontana guerra civile, vacilla. Il popolare Rajoy denuncia al comitato di vigilanza elettorale la violazione della legge, chiede ai manifestanti di abbandonare l’assedio alle sedi Pp, si appella alle autorità di polizia perché rompano l’accerchiamento. è tutto inutile. Una minoranza assai rumorosa e assai sostenuta dai media del gruppo Prisa-El Pais che controllano televisioni e la maggior rete radiofonica spagnola, la Ser, legittimano la “sollevazione spontanea”. Una sorta di ebbrezza “girotondina” si impossessa della Spagna alla vigilia del voto. Perfino gli speaker radiofonici, nelle trasmissioni sportive analoghe al nostro “Tutto il calcio minuto per minuto”, tengono aggiornati gli ascoltatori sugli ultimi sviluppi delle manifestazioni anti-Pp. Il resto è storia nota. Le manifestazioni di giubilo, le prime dichiarazioni del nuovo premier spagnolo («Ci ritireremo dall’Irak»), l’illusione che la Spagna sia uscita dall’incubo granguignolesco, la promessa di radiosi futuri di pace e prosperità. Ma la prosperità già c’era, ed è stata azzerata da dieci bombe. Ma la pace non c’è, c’è una guerra dichiarata agli “empi crociati e giudei”. Bisogna dire la verità adesso che il Pp di Aznar ha riconosciuto con stile e senza rancore la vittoria del partito socialista. è vero, come ha titolato il quotidiano ABC, hanno vinto «sfruttando l’emozione dell’11 marzo». è una lezione per tutta l’Europa. A partire dalle prossime europee in Italia ci aspettano tre anni di elezioni. Forse è bene che governo e opposizione ci riflettano a fondo sul week-end di sangue e politica di Madrid. Perché, quale credete sia l’analisi del voto in Spagna che stanno facendo le menti del terrorismo?
 
 

Terrorismo: «La strage di Madrid:Triduo madrileno», di Amicone Luigi, Tempi, Numero: 12 - 19 Marzo 2004

 

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