Attentato in Iraq - Nassiriya
La “resistenza” non
esiste, a compiere agguati sono stranieri, gli americani hanno
sbagliato a sciogliere l’esercito e gli italiani devono restare:
parola del vescovo di Kirkuk
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di
Casadei Rodolfo A Nassiriya c’è stata una manifestazione popolare con tanta gente che ha condannato l’attentato alla base italiana. Gli attentatori non sono iracheni, quasi certamente sono stati terroristi arabi di altri paesi, per lanciare un ammonimento ai governi che mandano soldati qui». Mons. Louis Sako è stato consacrato vescovo cattolico caldeo di Kirkuk da appena due giorni, ma è già disponibile a ragguagliare i giornalisti sulla situazione irakena attuale. Ha idee chiare sugli autori degli agguati, sugli errori degli americani, su quello che succederebbe se le forze straniere fossero ritirate. Monsignore, perché questa escalation di attentati, anche contro gli italiani nelle regioni sciite? Non sono gli sciiti a colpire: sono il gruppo più tranquillo e soddisfatto dell’esito della guerra. Prima erano emarginati dal potere e perseguitati, oggi possono aspirare alla sicurezza ed alla promozione politica. Gli attentati sono cresciuti a causa di un errore fatto dagli americani: hanno sciolto l’esercito irakeno, e così oggi ci sono tante persone disoccupate e prive di salario che per pochi soldi si mettono a disposizione degli stranieri e dei dignitari del vecchio regime che offrono loro somme interessanti per compiere attentati. Poi c’è il fatto che adesso siamo in tempo di Ramadan, e per i musulmani intransigenti riacquista importanza il precetto del jihad, la guerra santa contro gli infedeli invasori, che pensano di dover applicare all’attuale situazione irakena. Infine non dimentichiamoci che prima della guerra Saddam ha svuotato le carceri dai delinquenti, e ora vengono usati nella guerriglia. C’è una resistenza organizzata? Ci sono centrali di comando? No, non c’è una guerriglia organizzata. In Irak gli uomini legati al vecchio regime sono pochissimi. Sono di più i combattenti stranieri - qualcuno dice 5mila - che assoldano gli irakeni, gente semplice e priva di lavoro, per fare attentati. Ma non c’è una strategia di resistenza irakena, sono attacchi senza senso. Gli unici che hanno un disegno sono i combattenti stranieri: attaccare gli americani perché sono alleati degli israeliani e perché hanno occupato un paese arabo. Dove sono questi stranieri, da dove arrivano? Sono dappertutto in Irak, ma arrivano soprattutto dalla Siria, con la quale abbiamo un lungo confine che attraversa il deserto. Non so cosa pensi di questo il governo siriano, ma le cose stanno così. Tutti i componenti del consiglio municipale di Mosul dicono la stessa cosa: gli attacchi sono organizzati dagli stranieri, gli irakeni al massimo sono strumenti. Chi entra? Arabi o iraniani? Arabi di quali paesi? La maggioranza sono arabi, i loro paesi di appartenenza sono Siria, Giordania, Sudan, Arabia Saudita, Yemen. Gli iraniani sono pochi, perché gli sciiti sono il gruppo che ha ottenuto più diritti dalla caduta di Saddam Hussein, dunque non c’è ragione di destabilizzare. Chi ha compiuto gli attentati a Najaf e contro i leader sciiti? Gli sciiti pensano che si tratti di combattenti arabi sunniti, è stato arrestato un siriano, ma anche i feddayn di Saddam sono sospettati. Nell’attuale gioco politico i sunniti sono neutralizzati. Politicamente, in cosa stanno sbagliando gli americani? L’ho detto prima: hanno emarginato tutti coloro che hanno servito sotto il vecchio regime, anche se fra loro vi erano persone oneste e capaci, e si fidano solo degli oppositori, spesso gente che ha vissuto a lungo all’estero. Ma in questo modo tutto il processo di transizione avanza troppo lentamente, il numero dei disoccupati cresce anziché diminuire, non si vede come tante persone potranno essere reintegrate nella società, ed il malcontento cresce. Qual è invece il contributo americano più apprezzato dagli irakeni? L’abbattimento del regime di Saddam, su questo tutti sono d’accordo. Anche esponenti del partito Baath sono contenti che non comandi più Saddam. Poi gli americani hanno avviato la ricostruzione di palazzi ed infrastrutture. Ma propagandano poco questi loro successi. Gli americani, che controllano militarmente il paese, non riescono a fare propaganda? Adesso tutti, anche i beduini nomadi, hanno l’antenna parabolica, che prima era vietata. Ma non guardano le tivù irakene filo-americane, piccole e poco organizzate, ma Al Jazira ed Al Arabiya, che propongono una certa visione degli avvenimenti. Gli americani presentano i successi del governo sulla stampa e alla radio, ma tanti preferiscono guardare la tivù. I media irakeni sono ancora deboli. A che punto è il dibattito sulla democrazia in Irak? Gli americani sono sempre decisi ad avere un Irak democratico e moderno, e questo crea preoccupazione nei paesi vicini, che sono autocrazie. Anche la maggioranza degli irakeni vogliono la democrazia, ma non all’americana: non concepiscono lo Stato laico, vogliono una democrazia con una religione di Stato, l’islam. Si può trovare una mediazione attorno al concetto di “democrazia della società civile”, che metterebbe d’accordo tutti. Ma è possibile un sistema democratico dell’alternanza in un paese di radicate appartenenze? Gli sciiti, che sono il 65% della popolazione, vincerebbero sempre le elezioni. Al momento non è possibile, forse fra 50-100 anni. Prima ci vuole una lunga educazione al riconoscimento dei diritti umani. Adesso invece la cultura afferma il primato del religioso, dei diritti divini. Ci vorrà una lunga opera di formazione perché il popolo riconosca i diritti dell’uomo, della donna, del bambino, i diritti di proprietà, di espressione, di libertà di movimento, ecc. Non sono cambiamenti che piovono dal cielo, richiedono tempo. Dopo l’attentato di Nassiriya in Italia alcuni gruppi pacifisti e di estrema sinistra chiedono l’immediato ritiro delle truppe italiane. Cosa ne pensa? Sarebbe un errore. Sarebbe un tradimento della fiducia della gente di Nassiriya. Bisogna rimanere ed aiutare l’Irak a formare più poliziotti: il nostro problema è questo, ne abbiamo troppo pochi. E se a ritirarsi fossero tutte le forze straniere, americani compresi? Scoppierebbe la guerra civile e per l’Irak sarebbe la fine. Se lo spartirebbero i paesi vicini: iraniani, siriani, ecc. Diventerebbe una Palestina. Il sistema statale precedente si è disgregato: se non si vuole il caos, prima di andarsene bisogna ricostruire. E se le truppe straniere fossero caschi blu sotto il comando dell’Onu? C’è un problema di quantità e di efficacia. Non credo che i caschi blu sarebbero più numerosi degli americani e altrettanto preparati. Allontanare adesso gli americani sarebbe un errore, ma deve essere accelerato il programma di addestramento della polizia irakena e deve essere ricostituito l’esercito. Gli americani sono troppo lenti. Solo forze irakene potranno garantire la sicurezza in questo paese: la lingua e la conoscenza delle persone e dei luoghi sono qualità insostituibili, che gli stranieri non hanno. Bisogna arrivare a questo il prima possibile. |
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Terrorismo: «Attentato in Iraq - Nassiriya. Guerra civile se ci abbandonate», di Casadei Rodolfo, Tempi, Numero: 47 - 20 Novembre 2003 |