Attentato in Iraq - Nassiriya |
||
di Baget
Bozzo Gianni Non sembra l’Italia del Vittoriano di oggi la stessa che sventolava bandiere pacifiste per tutti gli angoli delle strade, dai balconi, dovunque esistesse uno spazio disponibile e in cui don Ciotti celebrava nozze cattoliche con stole pacifiste. Certamente il rapido cambio di scenario, in cui le bandiere nazionali sostituiscono i pseudoarcobaleni di giornate ormai lontane, è dovuto al grande compianto per i giovani morti a Nassiriya. Ma qualcosa è anche scattato che è forse la pietas in senso antico, la devozione verso la vita comune, verso l’appartenenza nazionale così lacerata. Dopo gli anni ’40, io vidi le bandiere italiane tornare alle finestre, e in gran numero, quando l’Italia battè a Madrid la Germania nei campionati mondiali di calcio. Mi meravigliò la comparsa di tricolori ma mi confortò l’idea che tanti li avevano conservati. Chi ha vissuto i giorni tra l’8 settembre ’43 e il 25 aprile ’45 sa cosa significa la “morte della patria”. L’agonia dell’Italia divenuta campo di battaglia dei due schieramenti mondiali fu una sofferenza che va ben oltre la memoria sia della Resistenza che della Repubblica sociale italiana. Così si spiega il fatto che per decenni il tricolore sia stato la memoria di una identità rimossa nella sofferenza e nella vergogna, nell’umiliazione sia verso gli antichi alleati sconfitti sia verso i nuovi alleati vincitori. Nei tricolori esposti oggi, vi è più della compassione verso gli uomini morti e le famiglie colpite da un dolore temuto, la perdita senza ritorno. Vi è il sentimento che quei morti ci hanno ridato il diritto di essere nazione innanzi agli occhi del mondo e a noi stessi. Gli italiani combatterono con coraggio sia la guerra fascista che la guerra antifascista, ma la nostra umiliazione fu appunto aver combattuto valorosamente tutte e due. è ben evidente che la tenuta innanzi al terrorismo islamico onora coloro che la sostengono perché il terrorismo islamico è una causa infame. Oggi, grazie ai morti di Nassiriya, l’Italia entra a pieno titolo in una grande battaglia che disonora quegli europei che non vi partecipano e che pure ne traggono dei benefici, perché solo la presenza della coalizione dei volontari permette la nascita di un Irak indipendente e unito che tutti a parole desiderano. I morti di Nassiriya hanno posto fine alla “morte della patria” perché hanno dato al Paese il sentimento di essere una nazione che combatte per una giusta causa, non costretto ma liberamente, non per necessità ma per scelta. Ci ha colpito il modo in cui non soltanto la Chiesa italiana ma il Papa stesso, che aveva taciuto il carattere religioso dell’attentato alle Torri gemelle, ha reagito con vigore, indicando che avverte la sfida al bene del terrorismo islamico. La Chiesa avverte che l’attentato suicida è oltre i limiti dell’umano, anche se motivato in nome di una religione. Nulla vale la perdita di giovani vite, ma nulla può togliere da quel seme il suo frutto: ricevere come un dono per l’esistenza di una nazione e della sua dignità quello di una morte che non aveva ragione. |
||
Terrorismo: «Nassiriya cancella la morte della patria », di Baget Bozzo Gianni, Tempi, Numero: 47 - 20 Novembre 2003 |