Ground Zero

«Bartlett:
Il pompiere di Ground Zero»
 

Ha portato la croce durante la Via Crucis a New York. Da quel momento è nata un’amicizia inaspettata e commovente che gli ha fatto varcare l’Oceano. «Per me quella è stata fin da subito un’occasione per manifestare pubblicamente la mia fede cattolica: fossero presenti in sei, in cento o in tremila per me non cambiava nulla


di L. D.



«Loro non cercavano John Bartlett - sorride - loro cercavano soltanto un pompiere» New York, Via Crucis 2002. L’idea era questa: che fosse uno di loro, uno degli eroi di Ground Zero, a portare la croce. Un bellissimo simbolo, un’idea nata da gente vivace, su questo non c’è dubbio. Ma quello che è venuto dopo non si poteva immaginare. Un fatto presente. Una storia che procede per una forza che non è nostra. La bellezza, celebrata al Meeting, è questo. È un fattore in più. Un fattore che oltrepassa tutto. Anche la nostra vivacità. Tutta l’intelligenza con cui sappiamo guardare le cose, tutta l’intelligenza cristiana che abbiamo sarebbe niente, zero, se non tenessimo conto di quel Fattore, che fa tutto, che è tutto, ora. Siamo al Meeting, in sala stampa. Lo dico perché fa fresco e si sta bene, e poi perché quando sono in sala stampa sto sempre con Delu e Giuliani, miei ex-allievi. Delu sognava di conoscere Bartlett perché vuol fare anche lui il pompiere, ma proprio adesso se n’è andato per incontrare una matricola del suo corso di laurea, a Lugano. Perciò siamo solo in tre: lui, io e Riro Maniscalco, che mi fa da interprete perché il mio inglese è misero.

Perché hai deciso di fare il vigile del fuoco?
Beh, ci sono tante ragioni che spingono un uomo a fare questa scelta, ma in fondo in fondo io credo che ci sia in tutti noi qualcosa di simile. Prima di mettermi a fare questo mestiere io riconoscevo nei vigili del fuoco una specie di contentezza in quello che facevano.

Da dove veniva questa contentezza?
Questo l’ho capito dopo. Prima li vedevo in azione e dicevo tra me: questa è gente contenta. Adesso posso dirti perché io sono contento. La mia contentezza nasce dall’amicizia che fa parte della vita quotidiana di noi pompieri. E anche dalla natura stessa del nostro lavoro: servire il bisogno.

Hai sempre fatto il pompiere?
No, prima lavoravo in un ufficio ed ero triste. Desideravo insegnare - cosa che ho anche fatto, per qualche tempo. Insegnavo biologia. Fu un’esperienza di grande soddisfazione ma, ahimé, la scuola dove insegnavo era una scuola cattolica, e con lo stipendio che prendevo non riuscivamo a campare. Però non ho smesso di cercare un lavoro che corrispondesse in qualche modo al mio desiderio di pienezza.

Come hai fatto ad incontrare gli amici di Cl?
Mi ha telefonato Tanzi. Cercavano uno che fosse un pompiere per portare la croce alla Via Crucis.

Ti conoscevano già?
No. Erano arrivati al mio nome tramite amici di amici di amici. Io però ho detto subito di sì. Avevo un gran desiderio che la mia fede cattolica potesse definirmi completamente. Sapevo che loro non cercavano John Bartlett, ma un pompiere qualunque. Ma per me questa è stata fin da subito un’occasione per manifestare pubblicamente la mia fede cattolica: fossero presenti in sei, in cento o in tremila (come è stato; ndr), per me non cambiava nulla.

Poi c’è stata la Via Crucis…
Aver fatto parte di quell’avvenimento è qualcosa che si può sintetizzare con un’unica parola: gratitudine. Chiunque avrebbe potuto trovarsi al mio posto. Invece è toccato a me. Subito dopo quel gesto ho voluto conoscere quelli che l’avevano organizzato. Il seme di amicizia che era stato piantato in me stava crescendo. Quelli che fino a quel momento erano solo nomi sentiti per telefono sono diventati volti, e dietro quei volti c’era una vita in carne e ossa, una vita in cui vibrava lo stesso entusiasmo per la fede che avevo io. Ero felice che anche loro desiderassero conoscermi, ma ero soprattutto io che volevo conoscere loro. Non solo: volevo che anche le mie figlie e mia moglie potessero conoscerli.

Dopo tutti questi fatti il tuo modo di lavorare è rimasto lo stesso di prima o è cambiato?
Beh, innanzitutto dopo l’11 settembre per tutti noi, e soprattutto noi vigili del fuoco, è iniziato un cammino di cambiamento di cui non si sa bene dove ci porterà. Alcuni se ne rendono conto, altri meno, ma le cose stanno così. Prima il lavoro era per noi qualcosa di fisso, qualcosa di già definito. Adesso non è più così. Io ho perso molti amici nella tragedia delle Twin Towers, e questa è una ferita che mi porto addosso. Le famiglie segnate da questi eventi sono tante: io e altri colleghi le andiamo a trovare, i rapporti tra noi si sono intensificati, e questo è un cambiamento della carne, nel senso che passo il mio tempo in modo diverso, e che la mia giornata è segnata da cose che non avrei mai pensato di fare. Stamattina sono stato ospite di una casa di recupero di Pesaro. Il responsabile di quella casa mi ha chiesto se in tutta questa tragedia c’è stato qualcosa di positivo. Bene, il positivo è quello che ho cercato di dirti. L’incontro con quei ragazzi stamattina, a Pesaro, è pur sempre un frutto inaspettato di quella tragedia. Loro guardavano me come il rappresentante di una compagnia che si è donata fino al sacrificio della vita per aiutare gli altri, ma al tempo stesso io me ne stavo lì, con gli occhi spalancati a bermi tutto il bene gratuito che loro stavano offrendo a me e, attraverso me, a tutti i miei compagni di lavoro.

Qualcuno dei tuoi compagni di lavoro ha già conosciuto questi nuovi amici?
Risponde Riro per lui: «L’8 settembre, nella chiesa di St. Peter, davanti a Ground Zero, ci sarà un momento di preghiera promosso da Cl, al quale John ha già invitato tutti i suoi compagni».

Un mio giovane amico, che era qui un secondo fa, vuol fare il vigile del fuoco. Cosa gli diresti?
Come si chiama?

Delu.
Dì a Delow che venga prima a parlare con me.

Ground Zero: «Bartlett: Il pompiere di Ground Zero», 24 agosto 2002