Terrorismo |
La tragedia di Queens.
QUELLE MIE ORE DI ANGOSCIA |
di Vincenzo La Gamba
The “day after” a Belle Harbor ha avuto un effetto diverso perché vissuto in prima persona, sebbene simile a quello dell’11 Settembre. Questa volta le emozioni sono forti perché mi toccano da vicino e dentro. Vai a lavorare la mattina e non sai cosa ritroverai tornando a casa la sera. Lunedì mattina è arrivato il momento di augurare a tutti la buona giornata. Io e i miei figli, Joe e Maria Itria, usciamo lasciando a casa mia moglie Isabella che non lavora perché le scuole sono chiuse in occasione del Veteran’s Day. Da questo momento il racconto è quello che mia moglie mi farà più tardi. Mentre prende il caffè, sente un boato talmente forte da far tremare la casa. Va via la luce, il telefono non funziona. Cosa sarà successo? “No, Mio Dio non può essere! E’ mai possibile che queste tragedie non finiscono più?” Isabella esce di casa impaurita e si ritrova accanto ai vicini. Sarà stato un terremoto? No. Vedono del fumo nero più in là rispetto all’isolato, sulla 138.ma Strada. Arrivano le prime voci: é caduto un aereo tra la 130.ma e la 131.ma Strada. Ancora sette isolati e.... Al lavoro la notizia mi colpisce profondamente. Provo a chiamare ma il telefono è muto. Io e i miei figli non possiamo contattare mia moglie, che nel frattempo è ancora impietrita per quanto accaduto. Salgo in macchina e compio il tragitto col cuore pieno d’ansia. Dal ponte che congiunge Howard Beach e Broad Channel scorgo il fumo che sale nero dalla parte della penisola di Rockaway. Mi vengono in mente le immagini del World Trade Center. Sono passati solo due mesi anche se capisco che quanto è appena accaduto non è delle stesse proporzioni. Almeno mi sembra. Vorrei essere già lì... ma non sembra essere possibile. Le notizie della radio indicano, infatti, che i due ponti, Marine e Cross Boulevard, sono chiusi. Vivo momenti di rabbia, frustrazione, paura e ansia, ma anche di speranza. Poi i ponti vengono riaperti al traffico e finalmente posso riabbracciare Isabella. La trovo impaurita ma salva. E’ un abbraccio lungo. Poi ringrazio Dio che tutto è OK in famiglia. Sul posto della tragedia mi sono venute in mente le scene di “Via col vento” con le case in fiamme, il fuoco minaccioso, la gente impaurita. Ancora una volta i vigili del fuoco si adoperano in modo superlativo. Riescono con abilità e professionalità a domare le fiamme e a contenerle. Non fosse per loro i danni sarebbero maggiori. La comunità di Belle Harbor, che pur non dimenticando i 70 morti nelle Torri Gemelle, si ritrova ancora una volta esterrefatta , incredula, terrificata. “Ma perché noi? Non abbiamo sofferto abbastanza negli ultimi due mesi?”. Solo più tardi si è saputo che non è stato un atto terroristico. Ma i danni materiali sono tanti. Peggio di tutto è la perdita dei 260 passeggeri di quel volo American Airlines 587 diretto nella Repubblica Dominicana. A questi occorre aggiungere 6 o 9 persone di Belle Harbor, di cui si può supporre l’identità anche se nessuno ne è certo. Pare trattasi di cinque adulti e di quattro giovani. Una probabilmente è la segretaria della Chiesa di Saint Francis de Sales. Il suo pastore, Monsignor Martin Geraghty, stava celebrando la messa quando dopo l’offertorio (alle ore 9,17) una ragazza è entrata in chiesa gridando: “Uscite tutti, uscite! È caduto un aereo a un isolato di distanza”. Mons. Geraghty, un prete di origine irlandese, che ha studiato all’Università Gregoriana di Roma, e parla perfettamente l’italiano, esce fuori con i paramenti e alza le mani al cielo invocando Iddio per la sua pietà e misericordia. Una scena indescrivibile si presenta davanti ai suoi occhi. Si reca sul luogo della tragedia per dare conforto ai sopravvissuti. E’ terribilmente scioccato ma la sua guida e la sua fede danno speranza. Esercita il suo ruolo con grande umanità. Non si ritira certo adesso che la “sua” comunità è stata colpita al cuore. Dopo aver partecipato a più di venti celebrazioni funerarie nella chiesa di Saint Francis de Sales, per le quasi 70 vittime delle Torri Gemelle, Mons. GeraghtYy ricomincia. Ma questa volta è più difficile: la tragedia l’ha vissuta in prima persona. Tutti ringraziano Dio che la chiesa e la scuola cattolica di Sant Francis de Sales, frequentata da oltre 700 bambini (record assoluto di frequenza quest’anno) non è stata rasa al suolo, forse solo per miracolo perché l’aereo è precipitato come un sasso anziché planare, il che avrebbe causato un immane sciagura a Belle Harbor . Vado a vedere il cratere lasciato dall’impatto profondo 10 metri, e largo circa 100 metri dove sono morte 269 persone. La comunità di Belle Harbor non piange solo i suoi figli, ma anche le vittime di origine dominicana che erano su un aereo pieno, segno che la gente non ha paura degli attentati terroristici e segue i consigli di chi sostiene che non ci sia alcun pericolo a volare. Ma quanto crudele è il destino! Non è stato un attentato terroristico ma un guasto meccanico. Cambia qualcosa? Assolutamente nulla. Sono morte lo stesso 269 persone. Nella gente di Belle Harbor si riaprono delle ferite che stavano per essere rimarginate. Oggi si sono aperte più profondamente. Nei loro occhi si intrecciano recenti immagini che sembrano girate più per un film e che invece sono reali, con la morte come soggetto dominante, e con la distruzione come scenografia del terrore. Più tardi sulle vie di Belle Harbor vedo decine e decine di mezzi dei network televisivi nazionali, ma anche quelli minori, venuti da altri Stati. I network di lingua spagnola sono presenti in gran numero. Belle Harbor era fino a ieri sconosciuta al resto del mondo. Oggi, quell’area che assieme a Rockaway Park e Neponsi (direttamente collegate) conta (secondo le stime locali) circa trentamila famiglie, è nuovamente a lutto. Questa volta non si hanno lacrime per piangere perché ne sono state versate tantissime negli ultimi due mesi. Mi viene voglia di spaccare il mondo per la rabbia. Poi subentra la paura: è proprio quello il sentimento che sta avendo un effetto traumatico nei giovanissimi. Proprio quei giovani che si sentivano protetti in questa zona peninsulare baciata da un mare e una spiaggia incantevole, attorniata dalla Baia di Jamaica, collegata da due ponti. Una penisola di paradiso, oggi parte di un capitolo triste. Sicuramente si respira aria di sgomento, di sconforto, ma anche di rassegnazione. La vita a Belle Harbor è ricominciata normale nel “day after” anche se ha ricevuto un altro colpo mortale. Il lutto continua. Quanto accaduto questa volta ha direttamente colpito il cuore di una comunità fondamentalmente religiosa (sono molti anche gli ebrei) e sa reagire nei momenti di crisi con dignità, coraggio e forza d’animo.
Ma tutti gli abitanti si pongono la
stessa domanda: ”Quando si
porrà fine a questo stato di cose?” |
di Vincenzo La
Gamba,
New York, 15.11.2001