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di
Mina
Non
lo avrebbero mai immaginato. Dalle spelonche
dell’Afghanistan tutto era stato previsto. I tempi
dell’attacco alle torri, la visibilità mediatica, le
reazioni occidentali e il terrore che, in qualche modo,
cerchiamo di controllare. Ma non avrebbero mai potuto
ipotizzare lo scatenamento dei dibattiti. Se l’Occidente ha
un punto di vantaggio sulle altre culture, questo sta
proprio nella mania della discussione, anche sui cadaveri
ancora caldi.
Da
settimane i salottini della tv e i fogli dei giornali
gonfiano di parole. E tra un «distinguo» e un «lancio
fresco fresco d’agenzia», risorgono pure i fantasmi di Locke
o di Voltaire, che si ripresentano ad un distratto Occidente
con i loro saggi o trattati sulla tolleranza. Li si cita
come maestri infallibili e teorizzatori di un atteggiamento
di rispetto per ogni diversità. Anche la più lontana.
Ma,
come al solito, la realtà viaggia su altri binari. E
nella ricca e tollerante provincia emiliana può accadere
quello che è stato segnalato in una lettera al settimanale
«Tempi». «Siamo in una scuola media, esattamente in una
terza classe, verifica in classe di matematica. Una
ragazzina, prima di accingersi a svolgere il compito, si fa
il segno di croce. L’insegnante vede il gesto, va su tutte
le furie, la redarguisce dicendole che non deve più
permettersi di fare certe cose in classe perché incutono
paura e disagio negli altri. La ragazzina replica dicendo,
con coraggio, che siamo in Italia e che c’è libertà di
religione. Non è stato sufficiente. L’insegnante, forte del
suo ruolo, ha replicato dicendo che quella non è religione e
per punirla le ha imposto di cambiare banco e di sedersi
vicino a compagni di classe con i quali lei fa fatica».
Avrà
fatto buone letture, quel docente illuminato. Avrà
seguito corsi d’aggiornamento sull’educazione alla legalità
e sul rispetto della diversità. Magari sarà anche andato a
qualche passeggiata pacifista con la kefiah intorno al
collo. Ma il gesto di una ragazzina arrogante gli sconvolge
i suoi quadretti mentali. A furia di amare le belle e nobili
idee, si sarà dimenticato della concretezza di una persona.
E il fastidio per una diversità imprevista gli ha fatto
saltare tutti gli schemi. Magari continuando a teorizzare
che i diritti dei musulmani sono sacrosanti e che lo chador
o il burqa sono simboli di una diversità da rispettare.
La
storia delle ideologie è lì a dimostrarlo.
L’applicazione astratta dei principi, anche dei più nobili,
trascina con sé l’odio del piccolo particolare che non
rientra nel modello previsto. Si teorizza il rispetto, fino
all’estremo esito dell’annullamento di ogni identità. E a
furia di proclamare l’assolutezza delle Idee, si finisce per
odiare le persone. Se è possibile non riconoscere la
concreta diversità di una ragazzina figlia della propria
terra, figuriamoci che cosa accade, concretamente, con chi è
realmente «altro» da noi. Da qui, dalla tanto sbandierata
tolleranza, si arriva all’odio e alla guerra, con l’assurdo
paradosso di partire da un giusto presupposto. Anche
Robespierre amava così tanto le nobili idee di «liberté,
fraternité, égalité», da tagliare le teste a chi non le
amava intensamente come lui.
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