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Il mio 11 settembre

La voglia di scappare


di Mina

In margine all’attentato terroristico portato agli Stati Uniti 11 Settembre 2001.


Il mio irrilevante punto di vista non interessa a nessuno, come è giusto che sia. Ma anch’io, nel mio nulla, cerco barcollando di riemergere con grande fatica da uno sconquasso psicoemozionale che mi ha lasciato stupefatta e dolente, più che atterrita. La assoluta, totale, feroce impotenza, che in altre occasioni mi pesava moltissimo, questa volta mi viene sorprendentemente in soccorso. Non è brutto, in questa occasione, sapere che potrebbe essere proprio la mia impotenza a salvarmi. Io non c’entro e non voglio entrarci, anche se la consapevolezza di essere codardi non è una bella compagnia.

E’ tempo di riassunti, di esami di coscienza, di stravolgimento di scale di valori, è tempo di cercare motivi accettabili per una sopravvivenza che non mi faccia sentire soltanto colpevole spettatrice di qualcosa che, per Dio, non avrei mai voluto vedere. Ma la voglia di scappare si fa sempre più imperativa. Altrove. Con l’anima, col pensiero, con l’intelligenza e anche necessariamente con la consistenza fisica. Altrove. In un luogo dove poter ancora avere la forza di guardare un fiore, dove vedere crescere un albero, dove sorridere, dove poter continuare a fare il mio lavoro che amo e che mai come in questo momento mi sembra uno stupido, inutile lusso.

E pensare che questa terra mi piace così tanto. Mi piace lo struggente andamento di una vita normale. Mi piacciono gli uomini, tutti, uno per uno, di qualunque colore siano. Mi piace aver voglia di andare a vedere il mare. Mi piace farmi sorprendere dal talento dell’uomo. Mi piace accarezzare la testa pelata di chi mi dorme accanto. Mi piace e mi attardo a pensare agli occhi dei miei figli. Mi piace invecchiare. Quel pomeriggio dell’undici settembre, dopo aver camminato come un animale in gabbia per due ore, ho capito che l’altrove è proprio qui, dentro di me, è sul volto dei miei figli, di mia madre, dei miei amici e allora, ridete pure, mi sono messa a cucinare dei piselli per la cena.

Perché il mio compito è quello di continuare a fare il mio dovere di brava formichina, occupandomi delle piccole, improrogabili cose di tutti i giorni. Con grande fatica, con le lacrime agli occhi, sentivo che mi mancava la terra sotto i piedi e cercavo un pezzo di pavimento per poter fare il passo successivo, quando la routine mi è venuta in soccorso con la dolcezza delle abitudini nelle quali mi abbandono volentieri. E quel piatto di piselli era come una cattedrale nella quale rifugiarmi.

Mina
La Stampa, 29.09.01