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Bin Laden, il passionale

di Ferdinando Camon

L’attentato terroristico portato agli Stati Uniti 11 Settembre 2001.

Nell'appello di Bin Laden c'è il suo DNA. Il discorso di Bush («Non avrò pace se prima non avrò fatto giustizia»), è stato giudicato forte'. Tenendo conto del diverso destinatario (Bush parla a gente che crede nella democrazia, Bin Laden a gente che crede nella teocrazia), il discorso di Bin Laden è altrettanto passionale e travolgente. Esaminiamolo.


«Ho ascoltato con dolore le notizie dell'uccisione di alcuni nostri fratelli»: nessun cenno agli uccisi americani. Non contano. Ignorandoli, educa a ignorarli. Non dice mai: «Non sono stato io»: lascia credere che sia stato lui. Se lo credono autore della strage, lui diventa più grande. Il messaggio viene da questa grandezza.


"E' un'aggressione dei crociati americani": la parola "crociata" è ripetuta quattro volte. In un testo così breve, è una frequenza altissima. Bin Laden usa "crociata" e "croce" in senso altamente negativo, sufficiente a scatenare la sollevazione di chi ascolta. La parola "crociata" era appena stata pronunciata da Bush nel senso opposto: per riunire le forze dell'Occidente contro il male. E' dunque una parola ambivalente. Uno dei due ha sbagliato a usarla. Chi? Bush: doveva sapere che il termine richiama una ferita antica e mai chiusa, in tutti gli arabi e in tutti gli islamici. Nell'integralismo di Bin Laden la "croce" è il simbolo del male. In questo momento i talebani tengono chiusi in carcere otto europei, capitati per un'opera umanitaria, addosso a uno dei quali è stata trovata una croce: una colpa scandalosa, che vale l'impiccagione.


«Crociati americani e loro alleati sul suolo mussulmano»: non è musulmano solo il popolo, ma anche il suolo. Si profana quel suolo camminandovi sopra con simboli incompatibili. E la profanazione esige il lavacro.


«I figli dei martiri sono miei figli»: il leader si alza a padre collettivo, indossa il ruolo di protettore di tutta la nazione islamica. Gli islamici immiseriti e impotenti sono scaduti al ruolo di orfani: lui è il padre ritrovato.


«Il Profeta ha detto»: recuperando le parole del profeta, taglia alla radice ogni sospetto di deviazione: il suo è l'Islam originario e incorrotto. Lui fa la guerra in quanto si sente Islam. Perciò è una guerra religiosa. La guerra religiosa non salva una terra o una gente: «è per la salvezza di Dio». E' come se Dio fosse la posta in palio sul campo di battaglia: chi cade cade per salvarlo. Dunque viene raccolto subito dalle mani di Dio, e premiato. Si afferma la contiguità e l'immediatezza fra sacrificio (o martirio) e premio (o paradiso). «Trionfare sulle forze degli infedeli»: fedeli sono solo gli islamici, tutti gli altri non sono fedeli di altre religioni, con pari dignità, ma infedeli, da schiacciare. Le forze degli infedeli sono la tirannia, per il fatto che le forze dei fedeli sono forze di Dio, unica fonte del diritto e del giusto. Quello che noi sentiamo come massimo scontro fra integralisti e noi (teocrazia-democrazia), Bin Laden lo rovescia: democrazia = tirannia. La guerra santa è giusta anche da un punto di vista politico. Non è che la santità religiosa la renda buona, essa è buona anche perché combatte la tirannia. Il sistema che sta dietro questo discorso può vivere nel mondo dove c'è il sistema che sta dietro il discorso di Bush, solo se non lo vede. Se lo vede, cadono le Due Torri. Se il sistema americano vede il sistema di Bin Laden, salpano le portaerei. Quel che sta succedendo ha una sua coerente fatalità.


Ferdinando Camon
Il Giorno, 25-09-01