Nell'appello
di Bin Laden c'è il suo DNA. Il discorso di Bush («Non
avrò pace se prima non avrò fatto giustizia»), è stato
giudicato forte'. Tenendo conto del diverso destinatario (Bush
parla a gente che crede nella democrazia, Bin Laden a
gente che crede nella teocrazia), il discorso di Bin Laden
è altrettanto passionale e travolgente. Esaminiamolo.
«Ho
ascoltato con dolore le notizie dell'uccisione di
alcuni nostri fratelli»: nessun cenno agli uccisi
americani. Non contano. Ignorandoli, educa a ignorarli.
Non dice mai: «Non sono stato io»: lascia credere che
sia stato lui. Se lo credono autore della strage, lui
diventa più grande. Il messaggio viene da questa
grandezza.
"E'
un'aggressione dei crociati americani": la parola
"crociata" è ripetuta quattro volte. In un
testo così breve, è una frequenza altissima. Bin Laden
usa "crociata" e "croce" in senso
altamente negativo, sufficiente a scatenare la
sollevazione di chi ascolta. La parola "crociata"
era appena stata pronunciata da Bush nel senso opposto:
per riunire le forze dell'Occidente contro il male. E'
dunque una parola ambivalente. Uno dei due ha sbagliato a
usarla. Chi? Bush: doveva sapere che il termine richiama
una ferita antica e mai chiusa, in tutti gli arabi e in
tutti gli islamici. Nell'integralismo di Bin Laden la
"croce" è il simbolo del male. In questo
momento i talebani tengono chiusi in carcere otto europei,
capitati per un'opera umanitaria, addosso a uno dei quali
è stata trovata una croce: una colpa scandalosa, che vale
l'impiccagione.
«Crociati
americani e loro alleati sul suolo mussulmano»: non
è musulmano solo il popolo, ma anche il suolo. Si profana
quel suolo camminandovi sopra con simboli incompatibili. E
la profanazione esige il lavacro.
«I
figli
dei martiri sono miei figli»: il leader si alza a
padre collettivo, indossa il ruolo di protettore di tutta
la nazione islamica. Gli islamici immiseriti e impotenti
sono scaduti al ruolo di orfani: lui è il padre
ritrovato.
«Il
Profeta ha detto»: recuperando le parole del profeta,
taglia alla radice ogni sospetto di deviazione: il suo è
l'Islam originario e incorrotto. Lui fa la guerra in
quanto si sente Islam. Perciò è una guerra religiosa. La
guerra religiosa non salva una terra o una gente: «è per
la salvezza di Dio». E' come se Dio fosse la posta in
palio sul campo di battaglia: chi cade cade per salvarlo.
Dunque viene raccolto subito dalle mani di Dio, e
premiato. Si afferma la contiguità e l'immediatezza fra
sacrificio (o martirio) e premio (o paradiso). «Trionfare
sulle forze degli infedeli»: fedeli sono solo gli
islamici, tutti gli altri non sono fedeli di altre
religioni, con pari dignità, ma infedeli, da schiacciare.
Le forze degli infedeli sono la tirannia, per il fatto che
le forze dei fedeli sono forze di Dio, unica fonte del
diritto e del giusto. Quello che noi sentiamo come massimo
scontro fra integralisti e noi (teocrazia-democrazia), Bin
Laden lo rovescia: democrazia = tirannia. La guerra santa
è giusta anche da un punto di vista politico. Non è che
la santità religiosa la renda buona, essa è buona anche
perché combatte la tirannia. Il sistema che sta dietro
questo discorso può vivere nel mondo dove c'è il sistema
che sta dietro il discorso di Bush, solo se non lo vede.
Se lo vede, cadono le Due Torri. Se il sistema americano
vede il sistema di Bin Laden, salpano le portaerei. Quel
che sta succedendo ha una sua coerente fatalità.