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Giulio Andreotti:
<<Italia mediatrice con i Paesi arabi>>


di Guglielmo Nardocci

L’attentato terroristico portato agli Stati Uniti 11 Settembre 2001.


Giulio Andreotti è probabilmente lo statista che più a lungo di altri nel mondo ha vissuto, e spesso gestito, il difficile rapporto con il mondo arabo, la collaborazione con gli Usa e, negli anni bui, il confronto con i terroristi.

Senatore, il Papa ha rivolto un appello perché la crisi sia affrontata costruttivamente. È possibile in tale frangente?

«Nei momenti difficili - e Dio solo sa quanto lo sia quello attuale - non giova alzare la voce, minacciare e fare la faccia feroce. La forza la si deve affermare nel diritto e in un disegno rinnovato per sanare vecchi e nuovi mali dell'umanità. Del resto, è commovente l'America che si ferma perché tutti preghino insieme. Sono le grandi risorse a cui ci si deve rifare nelle congiunture drammatiche».

La crisi di Sigonella e quella Usa-Libia: la storia ha dato ragione alla sua prudenza, opposta alla fretta americana. Cosa si può fare in un dramma molto più grande come quello attuale?

«Intanto vi è una priorità: con i Paesi vicini vanno coltivate relazioni e rimossi pregiudizi molto più che con gli altri. Proprio con la Libia noi abbiamo pagato più di tutti l'effetto delle decisioni Onu; riducendo, ad esempio, da 17.000 a 3.000 le presenze italiane (mentre gli inglesi salivano do 2.000 a 6.000). Abbiamo però mantenuto sempre un filo di comunicazione. Dini, da ministro degli Esteri, si è recato più volte in Libia. Anche Ruggiero è andato a Tripoli subito dopo la sua nomina. Ma attorno alla Libia vi è oggi minore diffidenza internazionale.Tra l'altro lo Libia ha promosso un movimento di Unione africana, difficile ma molto interessante».

Tutti dicono: nulla sarà come prima... 

«C'è chi lo ritiene, ma io lo considero solo come una spinta o trovare efficaci strumenti di sicurezza collettiva».

In passato l'Italia ha svolto un ruolo di mediazione con i Paesi arabi, pur nel rispetto delle alleanze. Sarà così anche questa volta?

«Certamente. E la nostra vocazione naturale, dettata da ragioni ideali più che da interessi materiali».

Ritiene che il premier Berlusconi sia troppo filoamericano?

«Ognuno ho uno stile e un suo metodo. Ma nei contenuti non ci sono rilievi critici da fare».

Nascono e si rafforzano sentimenti antiarabi: lei crede, come già credeva Giorgio La Pira, in questo dialogo, difficile ma indispensabile?

«E essenziale che non si confonda il confronto Nord-Sud (ricchi e poveri) con il rapporto Cristianesimo-lslam. Purtroppo è un errore (o una malefica tentazione) in cui molti cadono. Dobbiamo aiutare a costruire un sistema diffuso di rispetto - non uso la parola tolleranza, che non mi piace - che impegni tutti. La Pira è stato esemplare e ha lasciato una traccia profonda. Non a caso il defunto re del Marocco mi chiese se poteva testimoniare nel processo di beatificazione. E so che lo ha fatto».

Il dialogo fra le grandi religioni può aiutare?

«Certamente, è un elemento essenziale. Lo definirei però necessario, ma non sufficiente».

di Guglielmo Nardocci
Famiglia Cristiana, N° 38 - 23 Settembre 2001