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Siamo
in una situazione di grave tensione, di scontro sociale.
Il tema è la riforma della legge sul lavoro, per cui
governo e imprenditori vorrebbero una maggiore flessibilità,
mentre il sindacato teme i licenziamenti e l’insicurezza.
È in vista uno sciopero generale sul quale, dopo lunghe
discussioni, sembrano unite le confederazioni di tradizione
comunista, socialista e cattolica. I commentatori sempre
sottolineano la “legittimità” della posizione del
governo, come di quella dei sindacati. In effetti, il
governo fa quello che deve fare - cambia le leggi - e i
sindacati usano un diritto ampiamente riconosciuto - quello
di sciopero. Perché insistere allora sulla legittimità,
quando questa appare ovvia? Perché il disagio e la paura
sono grandi; certamente tutto è legittimo, ma è
altrettanto oscuro o almeno incerto come prospettiva. È
rispuntato il terrorismo, con un consulente del governo
ammazzato, per quanto apparentemente stimato da tutti.
Cosa
sta succedendo? Il governo affronta lo sciopero generale
in quanto ritiene che l’avversione alla riforma sulla
legge del lavoro sia il pretesto di una politica di
opposizione irriducibile, determinata a usare della piazza,
se non per questa occasione, per un’altra. Il sindacato
dice, invece, di apprestarsi a una prova di forza per
l’esclusiva tutela dei diritti dei lavoratori. Tuttavia,
la posizione dei sindacati - soprattutto della componente di
tradizione comunista, la Cgil - non appare così limpida. Lo
sciopero generale va contro a un governo che è stato
democraticamente eletto dalla maggioranza dei cittadini;
cerca pertanto di fermare l’espressione operativa della
volontà di tale maggioranza, creando un conflitto abnorme.
Inoltre: se è vero che la quota di lavoratori messa a
rischio dalla proposta di riforma è relativamente piccola e
comunque protetta dal ricorso alla magistratura; se è vero
che gli iscritti al sindacato sono per metà pensionati, non
direttamente interessati alla proposta di riforma; se è
vero che la leadership della Cgil, attraverso la
dimostrazione della propria capacità mobilitante, vuole
egemonizzare l’opposizione di sinistra; se è vero tutto
questo, il carattere politico dello sciopero generale è
fortemente presente.
Ma
i problemi sono ancora più grandi. Le forze che
esprimono il governo, per quanto cariche di spirito
innovatore, lasciano ancora perplessi a riguardo della loro
capacità di assicurare un futuro al paese e soprattutto a
se stesse.
Lo
sciopero generale arriva al culmine di una serie di
manifestazioni tanto acri contro il governo, quanto
espressioni di una opposizione non in grado di proporre un
modello compiuto e alternativo di società. In
quest’ultimo caso siamo di fronte a una protesta che è,
per cultura, ideologica ma debole, riflesso di quel pensiero
debole che tanto affascina gli intellettuali di sinistra,
non solo italiani. Un progetto ideologico debole diventa
facilmente preda di ambizioni personali e di gruppo, di
interessi corporativi, di rivendicazioni confuse e
demagogiche, di pulsioni violente. Come disse don
Giussani qualche anno fa, l’Italia
appare un paese “intossicato”, incapace di liberarsi del
veleno che si porta dentro.
Cosa
fare allora, innanzitutto per vivere e per ristabilire gli
elementi dignitosi di un progresso pacificante? Non si
tratta tanto di riscoprire ideologie e disegni forti, questi
hanno già fatto abbastanza danni. Si
tratta di riscoprire il valore della tradizione culturale,
imprenditoriale, solidaristica, di cui il nostro paese è
ricco, se non altro per la lunghissima storia che ha.
La tradizione è un dato di esperienza storicamente
verificata e certa delle sue realizzazioni, che sono quelle
di cui, di fatto, il popolo vive: dai circoli
associativi, alle scuole, agli ospedali, alle imprese, alle
cooperative, in cui gli italiani hanno profuso energie,
spesso contro uno Stato che ha guardato il loro sforzo con
indifferenza e sospetto. Attestarsi sulla tradizione e sul
sano empirismo che da essa deriva, richiede un’intensa
opera educativa che riaccenda una coscienza del presente,
perché i dati del passato, se non sono resi presenti, non
interessano a nessuno. Nonostante tutto, le esperienze in
cui questa coscienza rivive, sono presenti in movimenti e
gruppi che non hanno cessato di costruire, anche quando
tutto sembrava perduto. Bisogna
avere il coraggio di ripartire da qui; bisogna che chi
comanda, chi regola, chi lavora e anche chi protesta,
comunichi non semplicemente un insieme di idee astratte, ma
la tradizione di opere liberamente realizzate.
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