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di
Rino Cammilleri
Giusto
trent'anni fa, nel suo celebre discorso ad Harward,
Aleksandr Solgenitsin, stilò un durissimo atto d'accusa
contro l'Occidente e i suoi miti moderni. Detto da lui,
fierissimo anticomunista, non si poteva equivocare: la
filosofia del "mercato" non poteva, né può,
essere un valido antidoto contro le ideologie totalitarie.
Tra le altre cose, il fresco premio Nobel se la prese anche
con l'ipocrita fondamento "morale" che sosteneva,
e sostiene, la pervasività dei massmedia: "il pubblico
ha diritto di sapere". Solgenitsin rivendicò
all'umanità il diritto, ben più importante, di non sapere
quel che è inutile o, addirittura dannoso.
E
ci sarebbe da aprire un'approfondita parentesi per
analizzare quando e se quel che è inutile non è anche
dannoso. Nel caso del delitto di Cogne abbiamo un chiaro
esempio di ciò contro cui metteva in guardia Solgenitsin.
Ogni giorno nel mondo, purtroppo, vengono uccisi dei
bambini, senza che la cosa occupi per settimane le prime
pagine dei media. A un certo punto, chissà perché, i
riflettori si accendono su di un singolo caso e
l'"opinione pubblica" viene trascinata ad
"appassionarsi" su di esso. Ma non è stata lei a
scegliere di farlo. Inutilmente il notissimo psichiatra Vittorino
Andreoli, pur con la prudenza che gli è consueta, ha
avvertito del rischio che si generino un'attenzione e
interesse morbosi sulla vicenda.
Egli
sa bene che esistono, in qualunque società, i più
fragili, e che questi sono più numerosi in quelle
"complesse" come la nostra. Sa bene che costoro
sono i più a rischio per quell'"effetto eco"
causato dai media e che non di rado fa da moltiplicatore
dell'horror. Gli esperti in "comunicazione
sociale" conoscono perfettamente il meccanismo che fa sì
che, per esempio, all'indomani di un suicidio strombazzato
ai quattro venti, nelle settimane successive ne seguono
parecchi altri compiuti con le stesse modalità.
Si
è per lunghi anni puntato il dito contro l'ipocrisia del
regime fascista: questo, imponendo la sordina ai cronisti di
"nera", avrebbe teso a mostrare un'immagine
edulcorata dell'ordine pubblico nazionale. Può darsi che
questa sia stata davvero la motivazione, ma il risultato era
anche un altro: smorzare la morbosità, diminuire le
eventuali imitazioni. Infine, last but not least, azzerare
per quanto possibile le potenzialità ansiogene dei media.
Ma oggi il "quarto potere", per fortuna, non ha più,
in Occidente almeno, la mordacchia di Stato. Sono i suoi
operatori a decidere di autocensurarsi se gli interessi che
stanno per toccare sono troppo potenti per loro. Qualcuno va
avanti a suo rischio, e allora abbiamo il meglio che la
"funzione di controllo" può offrire. Molto più
sicura la "notizia" di "nera", che basta
poco a rendere "clamorosa".
Così,
vediamo i penosi assedi attorno a due genitori, la selva
dei microfoni e le domande insistenti formulate da gente
che, magari, ha a casa bambini della stessa età della
vittima e che morrebbe di esaurimento se venisse sottoposta
alla stessa pressione mediatica giorno e notte. Quando
finalmente il "giallo" verrà risolto, il pubblico
starà meglio? A parte il fatto che i riflettori si
sposteranno altrove, resta quel che ho sentito personalmente
dire a una ragazzina: "E' chiaro che è stata la madre;
ormai usa così".
E'
la semplicità con cui è stato proferito questo giudizio
ad essere agghiacciante. Ma non solo perché testimonia un'assuefazione
all'orrore.
Dietro c'è il sottofondo
di ansia e angoscia continue per tutto quel che di male
potrebbe succedere a noi,
visto il mondo come va (in realtà, visto quel che ci viene
trascelto e mostrato), un'ansia e un'angoscia che attendono
solo di esplodere da qualche altra parte. Con qualcuno che
spera di trovarsi lì in quel momento, per farci lo scoop.
Sbattendosene allegramente del nostro
primario diritto a non sapere quel che non ci serve.
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